I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI ♦

Capitolo 9: Il travolgente successo delle storie cantate dai cantastorie.

L’eco di quella straordinaria serata percorse l’isola in un baleno. Durante l’estate e fino a quando il tempo fu clemente fu un via vai di visitatori. Tutti volevano incontrare Zenone e la piccola Kalliope, le loro navi venivano colme di doni, supplicavano perché ripetessero il racconto.

«Siamo disposti ad aspettare giorni pur di ascoltarvi».

Per la verità, Zenone non era capace di dire no a nessuno, Kalliope, poi, si aggirava tra gli ospiti come il pavone che aveva trovato l’anima gemella.

In altre parole, le difese erano cadute ancor prima di essere alzate.

Di nuovo fu Kalliope a organizzare il nuovo evento, che si svolse nel giro di pochi giorni.

Le stesse emozioni, lo stesso trionfo. Zenone e Kalliope erano portentosi nell’inventare sempre cose nuove, toccando tutte le corde, dall’amore alla morte, dall’amicizia ai miracoli della natura; la scena passava da grandi donne Cassandra, Criseide, Briseide, Andromaca, Elena agli eroi, dagli Dèi, sempre in conflitto tra loro allo spettacolo degli atleti in gara agonistica[1].

Nell’estate lo spettacolo fu ripetuto dieci volte.

Zenone e Kalliope non sapevano più dove mettere i doni e lo stesso Leonida non era mai stato così contento. I commerci nel villaggio prosperavano. Piccole osterie, venditori di statuine con le immagini di Kalliope e Zenone, tessuti e vesti filati dalle donne del villaggio, le riparazioni delle navi.

Nell’ultima esibizione c’era un commerciante fenicio, padrone della nave con la quale era venuto, che chiese a Zenone se volesse venire l’anno prossimo negli altri due villaggi dell’isola, erano molto grandi e gli abitanti ne sarebbero stati entusiasti, sicuramente avrebbero pagato un compenso. Poi, avrebbero visto cos’altro fare, le altre isole erano a un passo. La sua nave poteva arrivare fino in Attica o in Egitto.

«Verrei io stesso a prenderti, il mio nome è Agenore», disse il fenicio.

Prima che Zenone potesse aprir bocca, Kalliope, rispose: «l’anno prossimo verremo sicuramente».

Già sapeva come impiegare il tempo dell’inverno.

Prima bisognava pensare al matrimonio tra Dafne e Zenone e c’era da fare un pensierino anche a quello dello zio Kyros, anche se molti dicevano che sarebbe stato tempo perso. C’era da lavorarci.

Poi, doveva sviluppare la sua grande idea. Nessuno doveva saperlo, aveva intenzione di scrivere i racconti recitati o cantati, in sei mesi ne poteva fare almeno rotoli.

Non si trattava d’impegni particolarmente gravosi, pensò Kalliope, Dafne e Zenone si guardavano dalla mattina alla sera con gli occhi da pesce morto, scrivere non le faceva fatica, Kyros non le dava pensiero, c’era tempo per trovargli una fidanzata, era ancora molto giovane.

***

Il matrimonio tra Dafne e Zenone venne celebrato alla fine dell’estate in un tripudio.

Kalliope era particolarmente felice, ma per celare i suoi sentimenti andava dicendo a tutti che ora poteva avere una stanza in più, non sapeva dove mettere i doni degli ammiratori. Girava intorno allo zio, magnificandogli le gioie del matrimonio, ma non era aria.

***

Iniziata la buona stagione Agenore venne a prenderli con la sua nave. Dafne voleva che il fratello andasse con Zenone e Kalliope, ma Kyros non ne volle sapere: «sei tu che devi andare con Zenone e la bambina, ormai ha nove anni e sarà lei a proteggervi».

Nessuno di loro era mai andato negli altri due villaggi dell’isola, gli avevano detto che erano molto più grandi del loro, ma ora che li avevano visti gli erano sembrati enormi, uno di essi dal nome Mitilene era destinato a diventare una città tra le più importanti della Grecia.

Agenore gli aveva messo a disposizione una grande e bellissima casa, doveva essere molto ricco, lo conoscevano tutti.

L’accoglienza fu entusiastica. Tornarono a riecheggiare le baruffe tra le Dee, i combattimenti cui gli Dèi partecipavano con ardore, la stessa Afrodite veniva ferita e Zeus si adirò, ordinando a tutti di non immischiarsi nelle vicende degli uomini, Mentore, tra i più saggi degli Achei, consiglia di recarsi da Achille per convincerlo a riprendere la guerra, dalle sorti incerte.

Zenone descrive le corazze dei guerrieri, lo scudo[2] di Achille forgiata da Efesto, i vestiti delle donne, riporta i discorsi tra i guerrieri mentre combattono, la violenza tremenda, gli episodi di cavalleria.

Gli spettatori non si rendevano conto che davanti a loro si stavano creando le tessere del mosaico del nuovo mondo, di cui non potevano sospettare l’esistenza.

***

Dafne e Kalliope erano felici, avevano conosciuto innumerevoli cose nuove, ma a nessuna delle due era sfuggito che Zenone era assorto, stava sempre con Agenore, parlavano di continuo. Kalliope, alla quale era capitato talvolta di stare con loro, sapeva che Agenore aveva viaggiato molto, aveva visto molte città e popoli e Zenone si abbeverava alle sue conoscenze.

Kalliope, però, sentiva che c’era qualcos’altro, non sapeva cosa, ma l’avrebbe scoperto.

***

Agenore propose di andare nelle isole vicine. Zenone ne era fortemente tentato, ma aveva capito che Dafne aveva paura e smaniava di tornare a casa: «Amico mio, è tempo di tornare. Abbiamo deciso di partire dopo le due rappresentazioni già programmate. Vedremo l’anno prossimo. Tu, però, non ci lasciare, torna con noi, abbiamo ancora tante cose da dirci».

Agenore non aveva né moglie né figli e accettò volentieri l’invito.

EZIO CALDERAI                                                                     (CONTINUA)

[1] Guarda caso termine greco.
[2] Per una volta anticipiamo i tempi. Ne vale la pena per dare conto di una congiuntura unica, mai più ripetuta. Quando Omero descrive lo scudo di Achille, opera del divino artigiano Efesto, crea con i versi (Iliade XVIII 478-508) una scultura, un bassorilievo universale, finemente cesellato, dove è rappresentata la vita degli uomini, nei momenti felici, balli, e tristi, funerali, civici, la funzione della giustizia, la natura, il sole e la luna, le costellazioni, chi legge è come se avesse, davanti agli occhi, con la sensazione di toccarla, la vita, la cultura dell’VIII a.C..

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