I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.

di EZIO CALDERAI

Capitolo 7:  I preparativi dell’evento.

Kalliope sapeva a memoria i racconti di Zenone. Avrebbe voluto dirgli, ci penso io, ma non era il caso, Zenone era più bravo, o meglio, a cantare era più bravo di lei, aveva una voce profonda, calda, la sua per ora era quella di una cornacchia.

Pensò di dirgli: a che serve cantare basta scandire le parole con intensità e chiarezza ed io per questo sono imbattibile. Poi ci rinunciò. Già una volta Zenone le aveva spiegato che, fin dai tempi in cui la sera narrava le imprese degli Achei nell’accampamento, cantava. Gli ascoltatori sentivano meglio e lui ricordava con più facilità le parole.

Kalliope era troppo intelligente per essere gelosa, figuriamoci di Zenone, competitiva sì, era la sua natura. Quando saliva a bordo di una nave ne pretendeva il comando, le sue torte erano le più buone, i suoi funghi i più fragranti. Si sarebbe potuto continuare all’infinito.

Mentre per Kalliope c’era solo da spartire i ruoli, Zenone era ancora preda dei suoi dubbi: era il caso di dividere con estranei le sue esperienze personali, quasi mai felici? Poi un brivido lo percorse da capo a piedi. E capì. Non doveva narrare una storia personale, ma un confronto tra popoli. Non si trattava di vendette, ma di contrasto tra modelli di vita diversi, di conflitti per l’egemonia. L’avrebbe narrata quella storia, l’alba di un mondo nuovo, al meglio delle sue capacità. Gli uomini del futuro dovevano sapere di quali eventi fossero figli.

Capitolo 8: La voce e la cetra danno vita alla leggenda dei cantastorie.

Il giorno fatidico era giunto. Kalliope era stata premiata. Una serata bellissima, l’aria trasparente, lo slargo circondato da torce, pur se ancora sbiadite dalla luce del tramonto, la luna stava per salire.

Una meraviglia!

Poco a poco lo slargo si riempiva. In pochi minuti non ci sarebbe stato più posto. Ormai dovevano stringersi come sardine e arrivarono a occupare il poggio davanti al porto. C’erano molti forestieri.

Sul podio salì Kalliope per annunciare il programma della serata.

Zenone, disse, avrebbe narrato, cantando, una piccola parte della terribile guerra tra la Città di Troia e gli eserciti achei. Prima, però, avrebbe raccontato come fosse scoppiate la guerra e chi l’avesse causata. Zenone l’affiancò, correggendola, per una volta: «Non sarà così, il racconto iniziale lo farà Kalliope, nessuno è più bravo di lei».

Con quelle parole Zenone aveva acceso l’ultima e la più bella delle torce che circondavano l’orchestra[1], il visino di Kalliope, che non se l’aspettava, ma non si perse d’animo.

Il tempo di impadronirsi della scena e iniziò a narrare la storia straordinaria dell’aspra disputa tra tre delle Dee più potenti dell’Olimpo, Era, Atena e Afrodite, per il primato della bellezza.

[1] Per i greci l’orchestra era quello che noi chiamiamo palcoscenico.

Ecco cosa accadde, disse, guardandosi intorno da attrice consumata.

Si sa, anche le Dee sono donne e si sa che il punto debole delle donne è la bellezza, strumento per mettere gli uomini ai loro piedi. La disputa durava da tempo immemorabile, ciascuna delle tre era convinta di essere la più bella, ma come misurare questa dote eterea?

Difficile misurare la bellezza, sottolineò, con sapida malizia la bambina.

La mancanza di uno strumento adatto aveva sempre impedito di portare a termine il cimento.

La rivalità si riaccese quando, al matrimonio di Teti e Peleo sull’Olimpo, la Dea Discordia, che non era stata invitata – vorrei vedere, aggiunse Kalliope, suscitando l’ilarità degli spettatori – irruppe nella sala e gettò sul tavolo una mela d’oro e con sfrontatezza disse: «il premio per la più bella».

Questa volta, soprattutto per non dare soddisfazione a Discordia, il cimento non si poteva evitare.

La difficoltà rimaneva la stessa, ma questa volta fu Zeus in persona, stanco delle scuse che le tre prendevano tutte le volte, a dettare le regole: «C’è nella terra tra Europa e Asia il regno di Troia; uno dei figli del Re Priamo, Paride, ha fama di essere l’uomo più bello del mondo sarà lui l’arbitro e deciderà chi tra voi è la più bella».

Interrompendo il racconto, Kalliope, sottovoce, quasi fosse una confidenza per il pubblico, disse: «Zeus è il re dell’Olimpo, ma della mentalità delle donne non capisce molto, e infatti non aveva capito che era meglio l’incertezza che il verdetto, finché non ci fosse stato tutte e tre erano autorizzate a sentirsi la più bella del mondo, dopo, insoddisfatte, si sarebbero guardate in cagnesco».

Ormai, però, Zeus aveva parlato. Hermes fu incaricato di organizzare l’incontro.

Si sa, concluse Kalliope, dalla notte dei tempi per vincere una gara di bellezza s’imbroglia, non si esita neppure di fronte alla corruzione. Era promise a Paride la potenza, Atena la saggezza, Afrodite la donna più bella del mondo, Elena, figlia di Zeus. sposa di Menelao Re di Sparta, fratello di Agamennone, Re di Micene.

Paride, tradito dalla giovinezza, scelse la promessa di Afrodite, che gli indicò dove trovare e come prendere la donna più bella del mondo.

«La scelta decretò la rovina di Troia, che ora vi racconterà Zenone», furono le sue ultime parole.

I compagni di scuola circondarono Kalliope in delirio, avrebbero voluto portarla in trionfo, ma non sapevano come fare. Anche i grandi, ammirati, non le staccavano gli occhi di dosso.

Si fece avanti Zenone, sistemò la cetra e intonò la storia più straordinaria che fosse mai stata raccontata. La flotta achea che sbarca davanti alle mura di Troia, i nove lunghissimi anni di guerra, il feroce contrasto tra Agamennone e Achille, che aveva indebolito l’esercito acheo, la tregua armata tra i due, gli ultimi decisivi cinquanta giorni che segnarono le sorti della guerra.

Al termine, Zenone, sfinito, si lasciò cadere su una sedia.

Sembrava che il tempo si fosse fermato.

Chi stava sul poggio ebbe il privilegio di vedere dall’alto i volti delle donne e degli uomini del Villaggio e quelli dei numerosi forestieri presenti: immobili, gli occhi spalancati, la bocca semi aperta, rapiti dall’intensità del racconto.

Quell’attimo durò un’eternità. Ne seguì un’esplosione liberatoria di entusiasmo, i nomi di Zenone e Kalliope si inseguivano nell’aria portati dagli applausi, ciascuno avrebbe voluto esprimere la propria ammirazione, ma non era facile in quella confusione.

Fu solo il primo degli innumerevoli successi di Zenone. Per carità, anche di Kalliope.

EZIO CALDERAI                                                                     (CONTINUA)

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