“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI  –  SPORT: MOTORE PER LA PARITÀ’ DI DIRITTI E GENERE

di STEFANO CERVARELLI  ♦

Nel 1995 il Mondiale di Rugby servì a trasformare il Sudafrica, che l’apartheid aveva diviso tra bianchi e neri, in uno Stato unito, coeso.

Famosa al tal riguardo la frase di Nelson Mandela: ”Lo sport può creare speranza dove una volta c’era solo disperazione. E’ più potente dei governi nell’abbattere queste frontiere”.

Per decenni uomini illustri di sport lo hanno ripetuto, ogni qualvolta si presentava  l’occasione e se lo sport è riuscito nell’intento di abbattere le frontiere, di creare spirito di fratellanza e solidarietà tra gli atleti, farli sentire uniti, quantomeno in occasione di eventi sportivi, si può dire altrettanto per altri aspetti dei rapporti sociali e di ciò che è prettamente legato ad interessi politico-economici?

Per rimanere in campo sportivo devo dire che indubbiamente ci sono situazioni, create dai calendari delle manifestazioni, dove (e gli ultimi mondiali ne hanno dato prova)  si trovano a fronteggiarsi squadre o atleti (negli sport individuali) appartenenti a nazioni tra le quali non intercorrono proprio rapporti “ idilliaci”;  eppure al di là  di un tono agonistico un po’ più elevato non si è andati oltre; come d’altra parte era accaduto  precedentemente in gare individuali,  dove la competizione  è finita con una vigorosa stretta di mano, se non addirittura con un abbraccio e gesti di solidarietà.

Lo scorso mese, in coincidenza con le festività natalizie, l’attenzione di tutto il mondo è stata rivolta, come ben sapete, al Qatar dove si sono svolti i Mondiali di Calcio, massima manifestazione sportiva, dopo le Olimpiadi,  anche se i più ortodossi continuano a considerarla la prima: ma così non è, almeno per interesse prettamente sportivo; se poi la questione la si osserva da un punto di vista prettamente commerciale, forse hanno ragione loro.

I Mondiali, dunque, in ossequio ad interessi ai quali accennavo sopra, si sono disputati in un Paese dove la sharia viene applicata al Diritto di famiglia, dove le donne che rimangono incinte di un figlio illegittimo corrono il rischio, alto, di essere incarcerate, nel Paese dove l’omosessualità è un reato.

Chi è che non ha visto la foto di Messi trionfante, di Messi che riceve la mantellina a mo’ “d’investitura”, delle accoglienze, per le quali è difficile trovare un aggettivo, riservate ai Campioni del mondo al loro ritorno in Argentina? Chi non ha visto l’immagine di Cristiano Ronaldo che rientra piangendo negli spogliatoi (si consolerà, ben presto, con l’ingaggio favoloso ricevuto dall’Arabia Saudita).

Si tratta di immagini destinate ovviamente ad entrare, oltre che nella storia del calcio, nella storia dell’Argentina (e del Portogallo…).

Ma per quanto lo si voglia, non saranno certo queste, o soltanto queste, a ricordarci  questo insolito Mondiale giocato d’inverno.

Ci saranno anche quelle delle proteste a favore dei diritti civili, sia sul campo che sulle tribune; tanti capitani delle squadre  avrebbero voluto scendere in campo con al braccio una fascia arcobaleno con la scritta: ”One love” per dimostrare in tal modo la loro vicinanza e solidarietà ai diritti LGBTQI+.

Ad impedirne la messa in atto è stata proprio, pensate, la FIFA nel nome di una grigia, ipocrita retorica che vuole lo sport lontano da ogni forma di protesta e presa di posizione in materia sociale e dei diritti.

Così facendo, paradossalmente, il divieto ha avuto l’effetto di dare maggiore risalto all’iniziativa, tanto che questa si è trasferita sugli spalti.

Contemporaneamente, e qui mi ricollego a quanto dicevo prima sulla diversa sensibilità che attraversa i protagonisti sportivi, i calciatori dell’Iran si sono rifiutati di cantare l’inno e lo slogan sulle bandiere dei tifosi iraniani: “women, life, freedom” ha preso a riecheggiare per le vie di Teheran dal giorno dell’uccisione  di Masha Amini.

Ma veniamo al nostro Paese. La situazione ovviamente non è quella Qatariota o Iraniana, ma non per questo lo sport non ha dovuto non vedersela con atteggiamenti sessisti che considerano le attività fisico-sportive come terreni, direi domini, riservati ai maschi.

E’ appurato storicamente, tanto per dirne una, che caratteristiche corporee dovute alla gestazione e all’allattamento, oltre gli stereotipi sulla delicatezza e fragilità (!) femminili sono stati ipocritamente innalzate come barriere poste a limitare la partecipazione femminile alle attività sportive.

Retaggi del passato? Forse, ma ancora oggi, nel nostro Paese, gli sport maschili sono più remunerativi e seguiti, a dispetto dei migliori successi ottenuti dalle donne. L’esempio più eclatante lo troviamo nella mancata partecipazione, per ben due volte di seguito, ai Mondiali di Calcio della nazionale maschile, obiettivo invece centrato dalla rappresentativa femminile.

Per non dire poi del mai troppo deprecato luogo comune che vuole che ci siano “sport da femmine” che valorizzano caratteristiche e doti come la grazia, l’armonia, la leggerezza, e sport “da maschi” in cui si ritrova l’esaltazione delle doti virili.

C’è uno slogan che recita così: “ La soluzione ai problemi dello sport risiede nello sport stesso” ed è proprio, ritengo, ispirandosi a questo, che le atlete italiane stanno riuscendo nell’impresa di abbattere stereotipi, pregiudizi, ottenendo successi olimpici e mondiali.

In questa ottica mi sento in dovere di rivolgere un pensiero ed un augurio alla scalatrice iraniana Elaz Rekabi,  che per aver gareggiato ai Campionati Europei di Arrampicata Sportiva senza indossare il velo è stata vittima di rappresaglie culminate nella distruzione della sua casa.

Agorà ha voluto iniziare il nuovo anno con queste poche righe per ricordare (ma non credo che serva) l’impegno che abbiamo noi tutti: impegnarci, ognuno con le proprie risorse, le proprie forze, le proprie possibilità, per tenere sempre accesa l’attenzione sul rispetto e riconoscimento dei diritti delle minoranze e delle donne, con particolare riguardo, per quest’ultime, al mondo dello sport.

Concludo, con le parole della poetessa statunitense Maya Angelou :“Con la certezza delle maree. Come le speranze che volano alte. Nonostante tutto mi alzo. Mi vorresti vedere distrutta?”.

STEFANO CERVARELLI

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