“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – L’UOMO CRUCIVERBA. Avventura con Ulisse (seconda parte)
di MICHELE CAPITANI ♦
Ulisse è un cruciverba, in cui le parole spesso non combaciano le une con le altre, e se a un certo momento sembra di arrivare a una definizione, magari non era quella, e devi conseguentemente rivedere tutte le altre.
La prima difficoltà, permanente ed estenuante, è l’aleatorietà con cui lui ricorda informazioni e fatti, e scava, dalla sua formidabile casa, documenti di importanza in genere irrilevante, talvolta dubbia, ma a volte ciclopica.
Pochi giorni dopo che ce l’ho fatta a fuoriuscire dal buco nero che è la sua abitazione, Ulisse torna alle docce del sabato portandomi il foglio dell’esorcismo; l’ha trovato, dunque! E dunque qualcosa da quel coacervo stratificato è pure estraibile. Come per Bastiano nella miniera di immagini…
Leggo, è la relazione di un sedicente prete: “Caro Ulisse, purtroppo, dalla telediagnosi, risulta che i tuoi mali sono causati da un malocchio (fattura) di cui sei vittima. Per liberartene, ti consiglio di trovare un sacerdote che ti esorcizzi; di fare un pellegrinaggio a un Santuario della Vergine più vicino. Ivi farsi celebrare cinque Sante Messe per le anime più abbandonate del purgatorio, ascolterai la Santa Messa e farai la Santa Comunione. Ogni sera, poi, dirai tre Ave Maria. Da Parte mia ti ricorderò ogni giorno nella Santa Messa. Ti benedico” (segue firma indecifrabile).
Questo per dire del secondo problema: l’incapacità di Ulisse a distinguere parassiti e benefattori, carte importanti e scartoffie inservibili, priorità nei comportamenti e nell’assunzione di farmaci. In quest’uomo buono, tutto è confusione, tutto è confezionato per benino in uno scoraggiante ginepraio mnemonico-patologico-burocratico-abitativo. Questo secondo capitolo della nostra storia con lui, perciò, è sostanzialmente un primo resoconto dell’impresa ingenua e improba che tentiamo, se non di districarlo, perlomeno di mandarci sopra un po’ di illuminazione per iniziare a penetrarlo.
La “audace ingenuità” di cui dobbiamo essere dotati per fare servizio coi marginali non significa solo attaccare bottone con chiunque, in ogni contesto, e in qualsiasi condizione, anche sospetta (abitativa, familiare, igienica, mentale, economica, giudiziaria…); significa segnatamente volersi ficcare in roveti come questo, per dargli una potatura, e cercare di regalare a questa mite e sofferente persona almeno un poco di tranquillità. E risolvere qualche problema, o solo attenuarlo, chissà.
Premetto che tutte le informazioni le scopriamo nell’arco di un intero anno, ponendoci al centro d’una rappresentazione interpretata da tre avvocati, due dirigenti della P.A., un assessore, quattro medici (tra Centro Salute Mentale e medici legali), amici, alcuni impiegati, varie altre figure, e un paio di Caaf (curiosamente ne restano fuori i Servizi sociali, non essendo lui residente).
Bene: Ulisse ha sessantacinque anni, ha due figli anch’essi forse in roulotte, forse dalle parti del Tiburtino (fino a sgombero contrario), sicuramente problematici anch’essi; inutile chiedere da quanto tempo non li vede. Era sposato regolarmente con una donna dell’ex-Jugoslavia, che poi tornò al suo Paese (mica chiederete per l’esattezza quale paese, vero?); neanche sappiamo se si sono separati ufficialmente.
I capoversi su lavoro e salute vanno accorpati: lavorò come imbarcato sui traghetti, ove risulta già aver avuto problemi mentali almeno dal 1985 (una delle carte che riesuma dai suoi scavi archeologici domestici); dichiarato definitivamente non idoneo a navigare nel 2011.
Non si sa quanti anni abbia maturato, comunque adesso percepisce una pensione sociale in attesa del riconoscimento dell’invalidità. Secondo Paola del Centro Salute Mentale, lui stesso ignora se una pensione d’invalidità già la prende. La sua avvocata di Grosseto ci dice che è pendente una causa per il riconoscimento di tale requisito; d’altra parte le consulenze mediche sono tutte favorevoli, si attende perciò la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, in autunno, e da lì scatterà l’assegno ordinario.
Il CSM lo segue perché schizofrenico, dandogli farmaci e sonniferi. Due o tre anni fa venne anche ricoverato a psichiatria, tramite Tso, per il gas lasciato acceso in casa. E tacciamo di altri acciacchi tipici dell’età.
Fin qui il cruciverba è impegnativo però procede, tramite domande, telefonate, confessioni, carte, informazioni forniteci sia da lui sia da chi un po’ lo conosce. Le vere dimensioni degli incroci e dello schema da completare, però, si iniziano ad afferrare approfondendo le grane della casa: l’Ater gli ha fatto causa in quanto abusivo, dopo la morte della madre che era assegnataria. Lui non ha infatti titoli per restare, non essendo state espletate a suo tempo le pratiche per subentrare a lei. La prossima udienza sarà a fine settembre, e la sentenza pare che arriverà dopo circa tre mesi; lo spettro dello sfratto comincia a farsi concreto, ed è per questo in sostanza che è venuto da noi: perché manca qualcuno che regga le fila di questo guazzabuglio, e gli stia vicino nell’avanzare delle insonnie e delle ansie…
Parlando con l’avvocato, concordiamo che per settembre dovremo: 1) capire la situazione dell’invalidità (la visita di giugno a Roma va male perché manca un documento, che Ulisse ovviamente non ricorda qual è!); 2) avere attestazioni dal Centro Salute Mentale; 3) evitare, per ora, di chiedere la residenza, poiché dichiarare un altro domicilio potrebbe anche rivelarsi un boomerang; 4) stilare una lettera della Comunità di Sant’Egidio attestante che Ulisse vive un effettivo disagio sociale e usufruisce dei nostri servizi.
Frattanto, però, il presidente stesso dell’Ater ci tranquillizza, interpellato dalla dottoressa del Csm, dicendo che si sta per varare una sanatoria. Ma quando? E soprattutto: varrebbe anche per il nostro uomo, che non è residente e oltretutto rischia a breve di risultare a tutti gli effetti un abusivo?
Allora approfondiamo il discorso sulla residenza: la gentile impiegata dell’Anagrafe ci spiega che in questi casi per ottenerla servono: 1) regolari ricevute dell’affitto pagato all’Ater (e Ulisse le ha, prodigiosamente, peccato che non siano a suo nome ma della madre, defunta non si sa da quanto); 2) contratto di immondizia e acqua, cioè le utenze comunali, che però non ha, anzi, non ha nemmeno più l’acqua; paga solo la corrente, ma ai fini della residenza non conta un fico secco, come non conta il fatto che era stato residente qui ma solo fino all’82.
Coraggio, mio estenuato lettore, possiamo farcela…
Primi di ottobre. Tramite Sara, che lavora all’Ater, ho un colloquio col Dirigente, il quale mi chiede di Tonio, uno dei nostri amici della strada (lui stesso un giorno gli ha portato una coperta); il dirigente sa benissimo pure la situazione di Ulisse, lasciandomi sorpreso con questa conoscenza tanto specifica, essendo lui a capo di un istituto che interessa migliaia di persone; sa anche che è quel tipo che va in bici, e che a volte è venuto proprio qui a chiedere, di persona. E manifesta subito l’intenzione di risolvere il problema: la casa attuale prima o poi andrà lasciata, per forza, ma c’è un appartamentino del Comune, in centro, che nessuno vuole perché è piccolo: si piglierebbero in tal modo due piccioni con una fava, dando a lui una casa altrimenti inutilizzata, e liberando per altri il suo attuale appartamento. Telefona lì per lì alla Vicesindaca che si dice d’accordo; occorrerà l’attestazione del CSM sul fatto che è seguito per via delle sue patologie (altrimenti l’intervento non rientra nell’emergenza abitativa), e poi la residenza, ma a quella si interesserà Sant’Egidio.
Allora torno da Paola al CSM, la quale riflette: «Servirà anche una qualche strategia per fargli abbandonare tutto il suo ciarpame e masserizie; in parte potrebbe comprimerlo nella nuova sistemazione, in parte che ne so…» Anche perché, alla fin fine, l’alternativa non è amena: aspettare le forze di Ps, per poi finire in strada. L’udienza di settembre non sappiamo com’è andata…
Certo che, se la cosa si risolverà, significa che è bastato un colloquio di un quarto d’ora con un dirigente per risolvere tutto; e allora, se era tanto facile, non glielo si poteva proporre senza che venissimo noi? Mica per altro, giusto per non trovarsi un anziano schizofrenico sulle strade della città. Per prevenire il lieto evento della nascita di un nuovo senza-fissa-dimora.
***
Le residenza ahinoi non può essere concessa: la Dirigente dell’Anagrafe sostiene che si creerebbe un problema perché, con tutta la gente che attende con gli artigli in fuori per avere una dimora, se si sapesse che è stata data a un occupante abusivo, Dio solo sa le reazioni… il suo ufficio verrebbe assalito da belve talmente inferocite da doverle calmare gettando carne cruda; e non le si può dare torto. Solo che, se attendessimo che Ulisse venisse sgomberato, allora paradossalmente avrebbe tutti i requisiti di senza-dimora, dunque come associazione potremmo richiedere ‘sta residenza maledetta. Lei concorda: è assurdo, pertanto mi chiede di metterla in comunicazione direttamente col suo omologo della case popolari.
Sempre tramite Sara, dopo pochi giorni sappiamo che si sono accordati per la non necessità della residenza, poiché l’appartamentino del Comune non lo vuole nessuno. Siccome è sotto sequestro, ci dice Sara, bisogna attendere il dissequestro (che è stato già chiesto, ora dipende dal Tribunale); lei riesce anche a vederlo, scoprendo che non è in buone condizioni poiché era stato malamente occupato, ma forse è un motivo in più perché lo sistemino presto, sapendo che sarà dato a qualcuno (il Comune ha già stanziato una somma congrua). Nella grande odissea di Ulisse, la piccola odissea della casetta coi sigilli la seguirà Sara.
Invece Alessia si aggiorna con l’avvocato: può essere altresì utile produrre (prima della sentenza, che pare sarà a gennaio) qualcosa sul fatto che avrà una casa: magari lo “sfratto” diverrà esecutivo solo quando sarà pronta.
A questo punto non capiamo quanto la situazione sia davvero drammatica, ma senza dubbio è confusa e snervante. Come in ogni groviglio insolubile, affiorano anche proposte variegate, bislacche e improponibili. Secondo qualcuno, alle perse si può cercare una roulotte usata, solitamente ci si arriva con qualche centinaio di euri, anzi ci sarebbe anche una roulotte celeste, che da qualche tempo è spuntata in un canto del vastissimo parcheggio della stazione, e che appare sempre chiusa e disabitata (ma dentro è stracolma di roba). Non si riesce a saperne altro…
Ulisse confessa che gli spiace lasciare casa, e qui gli tocca un bel rimbrotto: gli ricordiamo che per certi versi è un privilegiato. Ma, oltre che di finire sulla strada, forse teme davvero di dover lasciare tutto quel tumore ipertrofico di oggetti, la metastasi di cianfrusaglie che gli blocca la vita.
‘Sti tira-e-molla non sono un toccasana per le sue insonnie e angosce, così che un giorno ci confida:
«Non riesco a mettere a posto questa mia vita…»
«Non sei l’unico» lo rassicura Alessia («Miche’, mi sono sentita molto solidale con lui!»).
Mi sa proprio che va fiorendo un qualcosa definibile, senza improprietà, come “amicizia”: questa parola vilipesa ed espropriata, prostituita a tutti i significati più ridicoli e superficiali, o ambigui e torbidi, è adesso adeguata ai rapporti tra noi e questo singolare personaggio, tanto inadeguato alla vita quanto al suo epico e altisonante nome. Ma in fondo è sempre l’amicizia curiosa e dissimmetrica tra noi volontari e le persone a cui offriamo servizio.
Amicizia significa anche essere liberi di avere un parlare franco, come quando Alessia lo rimprovera esplicitamente di voler fare le cose da sé, come andare alle visite o agli sportelli, per poi combinare solo casini, più di quanti non ve ne siano già. Spesso gli dice, inoltre, che l’abitazione in quelle condizioni proprio non va, per questo lei si rifiuta di prestargli una stufetta («Con tutta quella carta e quella roba…»); lui, a onor del vero, fa comunque dei tentativi di alleggerire casa: un martedì sera, all’incontro di noi volontari, mi porta un rotolo di nastro adesivo! Indi alle docce (ma dopo qualche settimana) una bustina con una dozzina di penne, trovate o disseppellite chissà dove: solo una o due scrivono ancora, ma a noi sembrano passi da gigante, e ci fanno tenerezza: ci paiono come i tentativi di un animaletto timidissimo di mettere il capino fuori dalla tana.
La volta dopo porterà degli evidenziatori, più secchi dei bastoncini di liquirizia, ma noi cominciamo a volergli davvero bene.
Lo conosceremo anche meglio: scopriamo che i giornali li trova perlopiù facendo il giro dei treni fermi a fine giornata. E gira molto in bicicletta, sempre portandosi appresso il suo sciame di problemi.
Torneremo una seconda volta in quel portento che è casa sua, io e Alessia (ma non ci verrà mai concessa un terza udienza), e mi regalerà qualcosa: io gli avevo chiesto un portasigari, che da quant’è vecchio potrebbe essere in cuoio di mammut, ottenendo bensì solo il sigaro che sta dentro, ormai prossimo allo sgretolamento, poiché il portasigari lo vuole regalare a un non meglio precisato «qualcuno della strada». Ma è già un miracolo essere riuscito a portarne fuori qualcosa, ed essere entrati: non vuole rinchiudersi in quella pazzia di accumulo, ce l’ha chiesto lui di andare!
***
Febbraio: la causa con l’Ater è vinta. La stessa avvocata non si spiega come ciò sia potuto succedere, sarà in grazia della sua patologia, sarà che l’Ater non vuole smuovere le acque e ritrovarsi alle prese con la tivù delle lacrime, sarà che boh, non lo so; né è dato di sapere se l’ente ricorrerà in appello; sicuramente, se lo farà passeranno mesi, o anni. Se non lo farà, resta comunque in piedi la proposta del nuovo alloggio (ma anche qui permane l’incognita del quando, tra dissequestro, e poi avvio e svolgimento effettivo dei lavori). Per ora questo conta: ancora per parecchio tempo il buon Ulisse dormirà in un letto e non su una panchina (sempre che non ricominci a bere i suoi maledetti caffè serali).
E questo grossomodo è tutto, almeno finora.
Ah no, dimenticavo: scopriamo che la roulotte celeste e in apparenza abbandonata… è sua! Un coerente pied-à-terre, filiazione della casa, ed egualmente inzeppata di logore carabattole casalinghe.
Ora, caro lettore, io non ho idea se sei riuscito a star dietro a tutti i vari passaggi, le ipotesi e i desideri, le carte e le parole, in queste seicento passeggiate nei boschi burocratici e mentali. Se ci sei riuscito, sei indubbiamente stremato, e con te, lo siamo anche noi.
Esausti però felici, se non di aver risolto i tanti e ingombranti problemi di Ulisse, perlomeno di aver un poco aiutato questo cruciverba senza schema né soluzione, quest’omone enigmatico e mite, ad avere un’esistenza libera dall’ansia di diventare un barbone.
Almeno per adesso.
.(fine)
MICHELE CAPITANI
Che viaggio appassionante, contagioso, intriso di realtà che raramente tocchiamo con mano. Complimenti
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