Fenomenologia gaddiana..ma non solo.

di CATERINA VALCHERA

Le recenti, grottesche manifestazioni neo-fasciste a Predappio, con l’inneggio delirante al duce da parte di nostalgici dell’ultima (o prima?) ora, proprio perché passate quasi sotto silenzio o liquidate come espressioni di goliardia (i partecipanti al raduno illegale andavano allora manganellati come gli studenti universitari..) in prima battuta mi hanno portato alla mente un passaggio de La Ginestra leopardiana, dove il poeta, riferendosi ai circoli neo-progressisti e cattolici della Napoli del suo tempo, sentenzia: ”Non so se il riso o la pietà prevale”. In seconda battuta, però, mi hanno ricordato Carlo Emilio Gadda, l’”ingegnere fantasioso” e il suo velenoso, dissacrante pamphlet intitolato Eros e Priapo, sciaguratamente  – ma ovviamente – scritto post res perditas. Esattamente tra il 1945 e il 1946, pubblicato però molto più tardi, nel 1962. Un feroce libello psicanalitico contro il duce (anzi Kuce in linguaggio gaddiano) che, tra satira e amarezza, demistifica gli aspetti più triviali del machismo fallocratico del regime, come si evince già dal titolo. A ispirarlo un’indignatio alla Giovenale, una furia realistica accompagnata da una vena altrettanto forte di espressionismo che tale realtà gonfia, dilata, ipertrofizza fino a svuotarla di senso, a disseccarla proprio nel terreno delle sue più diffuse mitologie e simbologie. Il milanese più umorale e risentito della letteratura novecentesca non è certo riconducibile a posizioni progressiste e democratiche, ma la sua scrittura ha una tale forza demolitrice, tutta fondata sul detonatore della lingua “spastica” (come è stata definita dalla critica), che invita a prescindere da valutazioni di tipo ideologico o politico. Dal punto di vista economico, lo scrittore, che meglio di qualunque altro ha dipinto le contraddizioni della borghesia meneghina, era arroccato su posizioni di destra, tanto da voler scongiurare l’avvento del centro-sinistra per paura di perdere i suoi risparmi. Eppure l’ingegnere bilioso, capace di pastiches linguistici incredibili, in questo trattatello polemico diventa monotonale, come se conoscesse solo il timbro della furia iconoclasta. E lo fa per distruggere  soprattutto Lui (chiamandolo nei modi più caricaturali:Batrace, Pirgopolinice, il Fava, il Bombetta, il Gran Khan) e il suo narcisismo priapesco. Gadda non sembra voler colpire le vicende del ventennio, l’orribile guerra  e la sconfitta, ma svelare e mettere alla berlina  il vanto amatorio,  il prevalere nella cultura fascista di “un cupo e scempio Eros sui motivi di Logos”. A una disamina esterna tutta la ventennale soperchieria è contraddistinta dai caratteri estremi della scempietà, della criminalità puerile, della mancanza di senso e di cultura storica[..] Essa è una netta retrogressione…verso una fase involutiva, bugiarda, nata da imparaticci, da frasi fatte,dall’abitudine di passioni sceniche, da un ateismo sostanziale che vuole inorpellarsi di una “spiritualità”e “religiosità”meramente verbali [..]Una lubido, una foja pittorica e teatrale ha condotto l’Italia al sacrificio durante il catastrofico ventennio, non una ratio, [..], una coscienza etica, uno spirito religioso. [..] Ecco, a me pare che, pur attingendo anche al suo serbatoio pulsionale -venature misogine comprese- nel suo incontenibile sfogo Gadda sia riuscito a colpire il regime e il suo capo direttamente al cuore. Il centro propulsore di tutta quella costruzione simbolica e ideologica -sostiene- non era nella mente, ma nel basso ventre. Nessuna disciplina e “illuminazione da la lampada e dal liquore di Atena”; di nessuna sublimazione dell’amore fu capace Pirgopolinice il glorioso[..] ma solo di priapesca per quanto funesta vantardigia: questa fu la sua atonia o astenia etica, e la sua colpa prima, a parità con l’atonia dell’intelletto. Ancora più tranchant proprio perché assume un tono quasi didattico è l’analisi di Gadda allorchè trapassa dal piano dell’Eros individuale a quello collettivo: mancanza di qualsivoglia sublimazione dell’impeto erotico nella ricerca e nella costruzione del consenso. È lecito chiedere alla moltitudine l’assenso e..il premio del suo plauso e del suo riso di femmina: non è lecito ripetere sistematicamente da una scenica lubido e da lo stupro ululante che le consegue, quello afflato o “inspirazione” a gestire la cosa pubblica che è invece degli anni, del dolore, e del raziocinio. Ora a me pare che- lasciando da parte qualunque giudizio schiettamente politico – nei tentativi contemporanei di risuscitare le vecchie “glorie” e di riproporre vecchi “raduni” permanga qualcosa di quell’impulso erotomane primitivo e rozzo. Il dispiegamento dei soliti simboli, la frenesia delle nuove “Sofonisbe fanatizzate”, l’infantilismo speranzoso della neo -“ragazzaglia”, ormai incanutita,  corrispondono ancora alla rappresentazione che Gadda, “anche se non era uno psichiatra” ci ha consegnato. Una volta per tutte.