“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – LA FINESTRA DI ANTONIETTA

di MICHELE CAPITANI

La vecchia Antonietta sta in finestra, come tutte le mattine; ormai fatica a camminare, quindi al suo piano terra passa il tempo così, dopo aver sbrigato le poche faccende della casa.

«Nonna, ma vuoi che te lo rimedio un televisore?» le aveva chiesto un giorno l’ultimo nipote rimasto, prima di partirsene anche lui per l’estero. Lei aveva detto di sì, più per accogliere quel pensiero gentile che per vera necessità, perché il suo vero televisore è la finestra sulla strada: all’altezza della gente che cammina, Antonietta si sente anche lei in mezzo alle persone, come quando era giovane e andava a fare la spesa, aspettando poi il figlio che tornava da scuola, e poco dopo il marito.

Fino a che il sole non giunge a batterle in viso, nelle lunghe ore della mattina Antonietta sta lì come guardando davvero un televisore, soffermandosi su qualche programma più interessante, come quando compaiono il signor Giorgio con Pietro, che scendono dalla casa-famiglia con le loro bizzarre camminate, diretti chissà dove, o una massaia di ritorno dal mercato, o qualcuno che va scaricando un ingombro, o che trasporta un carico che si capisce subito che prima o poi qualcosa gli cadrà di mano; le piacciono anche quei bambini molto piccoli che hanno appena imparato a camminare e già scappano via felici, e subito dietro i genitori che li rincorrono con il loro amore trafelato.

Antonietta a volte pensa che la finestra sia anche meglio del televisore, perché in tivù non può mica parlare coi personaggi, come invece fa con Bibbo, il senegalese che vende calzini e fazzoletti; o con Pasquale, che gira col furgone delle mozzarelle, sempre imbronciato, ma che ogni tanto gliene regala una; oppure la maestra Ilaria, che andando e uscendo da scuola devia volentieri dal tragitto per venire a sentire come sta Antonietta, visto che fino a pochi anni prima la incontrava in giro, e non si è mai abituata a vederla ferma dietro quella finestra.

Certo, stare così sulla strada, senza sbarre, le fa anche paura; la sera non si addormenta mai tranquilla. Anche per questo le piace essere amica di quel ragazzo negro, perché magari qualche suo amico poco di buono a lei non la deruberebbe. Lui è bravo, ma sugli immigrati se ne dicono talmente tante.

Morto sul lavoro il suo povero marito, e finito suo figlio dapprima in America, e poi in un altro paese di cui non ricorda mai il nome, Antonietta talvolta si sente inutile, e questo problema alle gambe l’ha ancor più immalinconita; il problema dei vecchi che si sentono inutili l’ha visto in una trasmissione, anzi era come se si rivolgessero proprio a lei; è stata l’unica volta, pensa, che la televisione le ha parlato.

Invece in finestra le sembra che tutto sia, almeno un po’, come un tempo, e anche più indietro nella sua vita, come quando da piccola accompagnava la mamma al mercato, per vedere i colori e le scritte e la gente. O più tardi, quando doveva “mettere insieme il pranzo con la cena”, come avrebbe detto sua nonna, per sfamare i suoi due uomini di casa.

***

Stamattina vede entrare nel portone del suo palazzo un uomo, mingherlino e vestito un po’ a casaccio, con pochi capelli, che le ricorda qualcuno; quest’uomo ha un che di già visto… Antonietta non può definirlo uno sconosciuto, ma vai un po’ a cercare chi è, con tutta la gente che ha visto transitare per quel portone e per la via lì davanti, nei decenni.

Con lui c’è una giovane donna, più sicura di sé, che sembra che lo stia guidando.

La mattina dopo, quell’uomo, da solo, le ripassa davanti, lentamente, e con gli identici abiti di ieri. Antonietta lo saluta, lui risponde al saluto ma continua a camminare. Ora l’ha visto bene, è ancora più sicura di averlo conosciuto in passato, eppure non riesce proprio a ricordarsi nient’altro.

I giorni appresso lui le passa sempre davanti, finché lei si decide a chiedergli:

«Ma lei abitava da queste parti, una volta?»

«Ho sempre abitato qui. Ma non mi riconosce? Signora Antonietta, io so’ Mario, un amico de su’ figlio, se ricorda?»

Mario, oddio… certo che Antonietta si ricorda. Ha una stretta al cuore per non averlo riconosciuto, tutto vorrebbe meno che dargli un dispiacere, deludendolo, povero ragazzo.

«Scusami, ti sei fatto grande…»

«Eh sì, un bel po’. Ora devo andare, buona giornata».

Se lo ricorda sì: Mario con suo figlio e gli altri ragazzini stavano sempre a giocare lì fuori, quando i palazzi di fronte ancora non c’erano, e passavano pochissime macchine.

Il giorno seguente, proprio mentre Antonietta sta rovistando in una cassettiera per cercare delle vecchie foto, sente bussare alla finestra: è Mario insieme alla ragazza che l’aveva accompagnato due giorni prima.

«Signora Antonietta, le volevo presenta’ la mia amica, Anna»

La giovane donna le dice, sorridendo:

«Lei è la famosa Antonietta, piacere!»

Antonietta arrossisce: famosa lei! E perché mai?

«Ragazzi, entrate, vi faccio un caffè».

«Signora, io devo anda’ a lavora’. Lo prende Anna, così vi conoscete».

Stavolta è la ragazza a rimanere un po’ confusa, però accetta. Antonietta è contenta, e non appena le apre la porta le viene voglia di chiederle qualcosa su quel ragazzo, che ormai in realtà è un uomo. Ha capito subito che quella non è la sua “donna”, difatti ora Anna le spiega di far parte di un’associazione che si occupa di malati mentali:

«Per esempio, gestiamo la casa famiglia qua davanti, dove sta il signor Pietro, lo conosce? So che ha sempre abitato in questo quartiere».

«Sì. Ma Mario è tornato a vivere qui, no?»

«Sì, perché la casa qua sopra è rimasta sua».

«Ah, bene».

«Voi conoscevate la famiglia?»

«Sì. Oddio, una famiglia che non era una famiglia… il padre a un certo punto sparì, e nessuno l’ha più visto. E poi, quello che è successo qualche anno dopo, l’avete saputo?»

«Sì, c’è stato il processo, e comunque Mario è uno che racconta un sacco di cose».

«Me lo ricordo bene quel bambino: ogni volta che mio figlio ne combinava una e poi tornava qui, si portava appresso anche Mario, era come se volevano fare a mezzi con la sgridata che gli toccava. E succedeva uguale, quando era Mario a fare danni. Insomma, questo nel tempo che erano piccoli e giudiziosi, perché poi, quando era più grandicello un giorno lo iniziavi a vedere che si portava qualcun altro sul motorino, sempre ragazzi che non ci piacevano, e il giorno appresso aveva un giubbotto troppo di valore per lui, e insomma sempre qualcosa di peggio; a un certo punto lo sapevano tutti che se la faceva con gente che te la raccomando. Meno male che mio figlio, pure se a scuola era un po’ lazzarone, ci ha sempre avuto la testa a posto, infatti quando ha trovato un lavoro che spesso lo mandavano fuori, io e mio marito eravamo contenti perché si allontanava da qui».

«Antonietta, ma vi ricordate di quando poi morì la madre di Mario?»

«E come no… vabbe’, tanto lo sapevamo tutti che un giorno succedeva qualcosa di brutto. Il padre se n’era andato da tanto tempo, la sorella si era messa a fare cose brutte, e Mario dicevano tutti che spacciava, e forse si drogava pure lui. Di quel giorno in verità io ricordo solo che avevo sentito trambusto per le scale, e quando ho avuto il coraggio di aprire la porta, l’avevano già portata via. Ma lei ci crede che era stato lui? Come si fa a uccidere la madre?!»

«Guardi, noi Mario non lo conosciamo da tanto tempo, ma sembra che con la testa “ci sta”, solamente che si è rovinato con le droghe. Forse quel giorno ha avuto uno scatto, magari stava in astinenza; sinceramente, non è che abbiamo voglia di sapere proprio tutto. A noi l’ha affidato il giudice dopo tanti anni che era chiuso nell’ospedale giudiziario; dopo che ha finito il lavoro, ci viene ad aiutare nei servizi che offriamo. Ci siamo affezionati perché è gentile, e te lo chiede proprio, di stargli vicino. A vederlo ora, mica ce lo immaginiamo facilmente come poteva essere a quei tempi».

«Ma quindi, adesso è libero?».

«È in affidamento a noi; ha anche un lavoro al magazzino dell’ospedale»

«Meno male che ci siete voi. Dove hai detto che stava prima?»

«In un posto abbastanza triste… una struttura per psichiatrici che hanno commesso reati violenti. Anche per questo era contento di venire  con noi».

Qualche giorno dopo, Antonietta trova delle foto in cui c’è anche Mario, quindi, quando lo rivede passare davanti alla finestra, lo invita a entrare:

«Oggi non posso, sora Antonie’, sono uscito prima da lavoro perché alla casa-famiglia serve una mano».

Ci prova il giorno successivo, ma lo sente rincasare troppo tardi, lei ha già chiuso la finestra; e i giorni seguenti non riesce mai a farlo entrare, o perché lui passa a orari scomodi, o perché ha sempre da fare. Alle volte passa anche Anna, sempre gentile, ma anche lei ha sempre fretta.

Ma tanto, Antonietta in fondo è felice per Mario, pensa che in carcere e poi in quell’altra struttura le ore devono essere state lunghe, e vederlo che adesso aiuta gli altri e si fa aiutare le sembra una cosa buona. Le foto che ha trovato, dove ci sono lui e suo figlio, be’, un giorno o l’altro verrà l’occasione per dargliele.

***

Dopo qualche mese, arriva una settimana in cui, però, Antonietta non vede mai né lui né Anna. Si chiede che fine abbiano fatto, e comincia a essere preoccupata per lui: avrà combinato qualcosa?

Lo vede infine passarle davanti:

«Ciao Mario! Come stai? Non ti ho più visto».

«Buongiorno. No, sono stato da mia sorella qualche giorno».

«Ah, non sapevo che ancora abitava qui».

«Sta dall’altra parte della città».

«È qualche giorno che non vedo neanche Anna».

«No, ormai ci passo qualche volta all’associazione, ormai non ci ho più bisogno».

«Ah, bene».

«Sì, gliel’ho detto: loro mi hanno aiutato tanto, si sono presi cura di me, però adesso sto bene, e anche se prendo meno medicine non mi vengono pensieri strani».

«Ma lavori sempre?».

«Sì. Mi pagano… insomma, sto bene. Arrivederci».

«Ciao Mario».

Proprio il mattino seguente suonano alla porta; è Anna:

«Sono venuta a trovarla, mi invitate sempre a entrare ma io vado sempre di corsa…»

«Sei una cara ragazza, hai fatto bene; mi fa piacere».

«Voi come state? Noi siamo presi dai problemi dei nostri amici, e non le ho chiesto mai di voi».

«Sto come una vecchia! Ci ho i miei acciacchi, e queste gambe che mi reggono poco, ma insomma va bene. A parte che mio figlio non lo vedo quasi mai, non mi lamento. Senti, ma Mario? Mi ha detto che non viene più da voi».

«Questo è un grande problema».

«Allora non è una cosa buona».

«Mario non ha capito bene che il giudice l’ha fatto uscire proprio per questa nostra proposta: l’affidato a noi per un anno, quindi lui non può a un certo punto diminuire i farmaci, illudersi che non ha più problemi, e non venire più ai servizi: se non sta all’accordo, il giudice lo rimanda dentro. E se torna dentro, può solo peggiorare. Ora invece sta insieme agli altri, c’è anche chi gli si è affezionato; migliora anche nella salute».

«Lui veramente pareva tranquillo, dice che ormai sta meglio».

«Il problema però è proprio questo: sta meglio perché segue il programma, e se lo interrompe di sua iniziativa starà male di nuovo, potrebbe anche ricominciare a bere o a farsi, e soprattutto finirà un’altra volta detenuto. E stavolta ci starebbe per un bel po’ di tempo…»

«Povero ragazzo. Come si può fare?»

«Eh, il modo forse ci sarebbe, ma stiamo cercando di usare un’altra strategia. Il fatto è che… senta, signora Antonietta, io glielo dico, ma faccia conto che non le ho detto nulla, va bene?»

«Va bene, cara. Però dammi del tu, ti prego».

«Ci provo. Dunque, il guaio adesso è la sorella di Mario, avete presente?»

«Sì, anche se è tanto che non si fa vedere da queste parti».

«Be’, lei ci ha un figlio, sulla trentina, che vorrebbe mettere ad abitare nella casa qui sopra, che è rimasta assegnata a Mario, e quindi ha cominciato a convincere il fratello che sta meglio, quindi non deve più venire da noi, tanto ci ha un lavoro ed è autonomo, e bla bla. Solamente che lei glielo dice perché sa che se non tiene fede all’accordo, il giudice lo rimanda dentro, e il figlio si infila qui, cioè in casa di zio Mario. Bella roba, eh?».

«Ma sai, noi la famiglia la conoscevamo, e non è che mi stupisco molto che quella lì possa fare certe carognate al fratello. Ricordo anche il nipote: per un periodo, ma tanto tempo fa, avevano abitato insieme, lui e Mario; sanno tutti che è uno spacciatore e un tagliagole».

«Ecco. Ora noi dovremmo andare da Mario, fargli leggere nuovamente la sentenza del giudice, dove è scritto tutto, e aprirgli gli occhi su quanto è infame la sorella. Pensi che la sentenza lui ce l’ha, ma non la ricorda, o non la trova. Quanto può essere influenzabile ‘sto ragazzo?»

«Quindi non glielo dite?»

«Io vorrei, non sa quanto vorrei! Però poi che succede?»

«Non so. Che succede?»

«Bisogna pensarci molto bene, c’è il rischio che lui fa un gesto violento perché si sente fregato da una di famiglia. Oppure chi fa il gestaccio è lei, o il nipote di Mario, contro di lui o contro qualcuno di noi perché gli rompiamo le uova nel paniere. Certo che se continua a non rispettare la sentenza, noi dobbiamo segnalarlo, ma ci dispiacerebbe, anche perché la daremmo vinta a quella stronza. Scusi eh».

***

Antonietta ha deciso, ha deciso subito, appena Anna è uscita. Non c’è stato bisogno di pensarci: glielo dirà lei, a Mario, non appena lo vedrà tornare. Non importa che ore saranno, né le importa se dovrà sforzarsi con le gambe, da non camminare poi per una settimana intera. Non importa se dovrà salire fino a casa sua per aiutarlo a cercare la copia della sentenza.

No, perché ha deciso di salvarlo. Perché, guardando le vecchie foto di quando era giovane, che ha tratto dalla cassettiera, le è venuto in mente che quando Mario iniziò a frequentare giri sbagliati, era lui stesso che diceva a suo figlio di non aggregarsi, di restare lì perché i suoi genitori ci sarebbero rimasti male. Mario andava a fare chissà quali malefatte, ma era rimasto tanto amico di suo figlio, da non volerlo con sé.

Lo farà lei, insomma, perché non le va quel ragazzo che giocava con suo figlio torni in galera, o in che altro postaccio; e non le va che quello spacciatore del nipote e la prostituta della sorella l’abbiano vinta, e tornino in quel palazzo, dove adesso si vive così tranquilli.

E poi, Antonietta pensa che così può anche proteggere Anna e chiunque possa subire le ire del nipote.

Tanto, ormai cosa ha da aspettarsi? Stare in finestra ad aspettare una lettera del figlio dall’altro capo del mondo, che le dice che forse nemmeno questo Natale riuscirà a venire? O che un passante la saluti e scambino due chiacchiere? O che le gambe le facciano, per una volta, un poco meno male e riesca ad arrivare fino al mercato?

Anzi, ora che ha deciso di aprire gli occhi a Mario, rivelandogli i progetti dei suoi bei parenti, sente di non provare nemmeno più paura abitando da sola al piano terra. Solo quando c’era suo marito aveva quella sensazione, di non avere paura di niente.

E se stavolta le succederà qualcosa di brutto, sarà stato per un buon motivo: per proteggere il bimbo Mario, e l’adolescente Mario, e l’uomo Mario.

Se invece non accadrà niente, si rimetterà alla sua finestra, come sempre.

MICHELE CAPITANI

https://spazioliberoblog.com/