Colletti bianchi alla riscossa

di PATRIZIO PAOLINELLI

“Neoplebe, classe creativa, élite. La nuova Italia” è un libro ambizioso. Scritto a quattro mani dal sociologo Paolo Perulli e dall’urbanista Luciano Vettoretto si propone di aggiornare l’immagine della società italiana, che, a parere degli autori, ancora oggi la si interpreta con vecchi concetti, vecchie categorie, vecchi modi di vedere.

D’altra parte è innegabile che se si pensa all’Italia di pochi decenni fa e la si paragona a quella di oggi le differenze sono notevoli. Va detto tuttavia che lo sforzo di interpretare i cambiamenti sociali cambiando le chiavi di lettura è uno sport in voga da decenni nel mondo intellettuale. Dunque, sotto questo punto di vista Perulli e Vettoretto sono in buona e numerosa compagnia. Ciononostante il loro lavoro si fa apprezzare per almeno due nette prese di posizione: l’ostilità nei confronti del neoliberismo; la proposta di una nuova alleanza contro l’élite.

Santo Cielo! Siam davanti a dei rivoluzionari? Niente paura, Perulli e Vettoretto non intendono fare alcuna rivoluzione. Sono due intellettuali liberal-progressisti che sostengono l’ideale di una società dalla prosperità inclusiva all’interno di un modello di sviluppo capitalistico meno predatorio dell’attuale; modello che guarda all’economia classica e da cui il neoliberismo si separa ogni giorno di più.

Questa posizione ha una causa molto seria: lo sfilacciamento della storica alleanza tra ceto dominante e ceto medio. Sfilacciamento che va a vantaggio delle élite borghesi. Le quali, vaporizzato lo spettro del comunismo, non hanno più bisogno di un compatto blocco borghese e stanno iniziando a sbarazzarsi dei loro antichi alleati lasciandogli sempre meno opportunità di benessere. Perulli e Vettoretto non ci stanno. E in quanto studiosi aggiornano il quadro relativo alla composizione della società italiana per poi invitare i colletti bianchi alla riscossa.

Attraverso quale griglia analitica avviene tale aggiornamento? Ovviamente, alla base c’è lo sforzo dei due autori di non avere nulla a che fare con la teoria del conflitto di ispirazione marxista. Tuttavia il conflitto è contemplato, ma nella prospettiva interclassista dell’interesse comune. E così, per illustrare quella che chiamano La nuova Italia, Perulli e Vettoretto non ricorrono alla variabile del reddito ma a quella delle professioni (129 indagate sulla base di dati Istat). Di conseguenza preferiscono utilizzare il concetto di strato anziché quello di classe (a cui però devono spesso ricorrere seppur in maniera asettica).

Gli autori vestono tali scelte metodologiche con numerose e originali formule linguistiche finalizzate sia a sterilizzare il concetto di lotta di classe sia a liquidare l’eredità di Wright-Mills. Alcune di queste formule sono davvero esilaranti. Una su tutte: al posto di classi sfruttate e povere Perulli e Vettoretto utilizzano l’espressione “segmento negativamente privilegiato”. Negativamente privilegiato? Sì, avete letto bene. Ma chi sono i negativamente privilegiati? La neoplebe operaia e impiegatizia senza qualificazione, il proletariato dei servizi e dell’agricoltura.

Ed eccoci giunti alla mappa della nuova Italia. Una mappa molto complicata, talvolta un vero e proprio rompicapo proprio perché condizionata dalle troppe ambivalenze, dalle troppe contraddizioni delle professioni e  che comunque proviamo a sintetizzare così: 1) l’élite è costituita da uno strato  che comprende: i livelli decisionali alti sia pubblici che privati;  imprenditori e rentier; capitale finanziario e multinazionali; 2) il ceto medio è uno strato definito classe creativa e fa riferimento soprattutto all’economia della conoscenza; 3) la neoplebe appena incontrata è tutto il resto, ossia una magmatica maggioranza che comprende: vecchi ceti medi, piccola borghesia, operai e impiegati dequalificati, il proletariato dei servizi e così via.

Ricostruito il profilo dei tre strati sociali il problema politico principale per i due autori consiste nella separazione dell’élite dalla classe creativa. Ovvero da un ceto medio che progressivamente scivola verso il basso nella distribuzione della ricchezza. Rispetto ad altre riflessioni sugli stessi temi la novità contenuta nel libro di Perulli e Vettoretto consiste nel fatto che la separazione tra ceto medio ed élite è data ormai per definitiva. E lo è perché l’élite ha rinunciato alla cultura illuminista e borghese di un tempo. Addirittura nel rapporto con la neoplebe l’élite si comporta in maniera premoderna restaurando la relazione preborghese padrone-servo.

Da un certo punto di vista non si può non concordare con Perulli e Vettoretto. Solo che la loro prospettiva non è l’uguaglianza, la giustizia sociale, l’emancipazione dei lavoratori. Ma regolare i conti tra classi socialmente vincenti e che fino a ieri andavano a braccetto. Purtroppo l’élite non possiede la ghiandola della gratitudine e nella corsa all’accaparramento della ricchezza sta andando sempre più per conto suo lasciandosi alle spalle i ceti medi.

Seguendo le preoccupazioni degli autori di “Neoplebe…” ci sembra che la strada imboccata dall’élite sia quella indicata da Canetti, secondo la quale il potente vuole sopravvivere a tutti anche a costo di vivere da solo in una città deserta. Allo stesso modo il regime concorrenziale teorizzato e praticato dai neoliberisti conduce al monopolio – l’asso pigliatutto – espellendo dalla città del benessere i ceti medi per non parlare della piccola borghesia. In altre parole, l’1% della società minaccia di mangiarsi tutta la torta. O quasi. E se così sarà una pietra tombale verrà posta anche sulla più tenue speranza di un ritorno della società opulenta in cui prosperavano i ceti medi. I quali non scompariranno, ma non possono più coltivare il sogno di considerarsi classe dominante-dirigente nel senso gramsciano del termine.

La ricostruzione della stratificazione sociale italiana partendo dalle professioni è per alcuni versi interessante, ma non convince come modello di interpretazione complessivo. E non convince per almeno tre motivi: 1) perché ignora la natura socialmente distruttiva del capitalismo; 2) perché se l’analisi sociale non è fondata sui rapporti di forza tra le classi non si decifrano compiutamente i mutamenti; 3) perché sono disorientanti i distinguo a cui ricorrono Perulli e Vettoretto per definire la forza del ruolo, il livello di prestigio e la ricchezza reale di numerose figure professionali prese in considerazione. Per esempio, annoverare gli idraulici fra la neoplebe ci pare discutibile. Forse non sul piano del prestigio, ma certo non su quello del reddito. E da sempre cosa conta di più nel mondo borghese?

Al di là delle questioni metodologiche (che pure sono determinanti), veniamo alla domanda politica di Perulli e Vettoretto: come sostituire le élite restando una società capitalista? La risposta è audace: la classe creativa dovrebbe proporsi come classe generale e allearsi con la neoplebe. Ovviamente la neoplebe dei mestieri qualificati, ma sottostimata e sottoretribuita. In questa nuova coalizione non sembrano inclusi gli ultimi, operai e impiegati senza qualifica, proletari dei servizi e dall’agricoltura. I borghesi restano pur sempre distinti e distanti dai poveri, pardon, dai negativamente privilegiati.

PATRIZIO PAOLINELLI

  1. Perulli, L. Vettoretto, Neoplebe, classe creativa, élite. La nuova Italia, Laterza, Bari-Roma 2022, 195 pagg.)

https://spazioliberoblog.com/