Il Pd alla ricerca dell’identità perduta
di ANDREA BENEDETTI MICHELANGELI ♦
Le preoccupazioni per il governo più a destra della Repubblica, certo, ma anche – soprattutto per chi ha
cuore e testa da quella parte – per il destino di una sinistra confusa, annacquata, impalpabile quasi. Una
sinistra divisa in tre tronconi e alla ricerca di spazi di manovra che le garantiscano un’esistenza. Una crisi
italiana e insieme europea, considerato che un po’ ovunque, se si eccettua la Gran Bretagna dove il Labour
sta beneficiando dei disastri etici ed economici dei Tories, le forze progressiste sono alla ricerca di ragioni
per vivere e di ceti da rappresentare.
Qui da noi, complici i “sacrifici” responsabili del Pd, pronto a partecipare a governi tecnici di qualunque
estrazione, al punto da rinunciare perfino ai suoi fondamentali, il problema appare più serio. Tanto che nel
suo discorso di insediamento Giorgia Meloni non ha avuto difficoltà a prefigurare un programma, peraltro
piuttosto fumoso, per un governo conservatore che abbracci un periodo di almeno dieci anni. Cosa può e
deve fare dunque la sinistra per organizzarsi ed evitare che la sua sia un’opposizione di facciata,
inconsistente, ma soprattutto per tornare a incidere sulle tendenze sociali di questo paese? La domanda
appare ancor più pertinente, considerato che il Pd è ormai in fase congressuale e che in quel consesso, mai
come questa volta, sarà fondamentale effettuare precise scelte di campo. Rimanere ancora in mezzo al
guado, temo equivarrebbe a un ruolo definitivamente marginale di questo partito, se non addirittura alla
sua sparizione per inutilità.
Qualche giorno fa, durante uno dei tanti talk show politici che vanno di moda in tv, mi è capitato di
intercettare una interessante tesi del sociologo Domenico De Masi, tra i primi a spiegare l’ascesa dei 5
Stelle e a simpatizzare per quel movimento. De Masi in sostanza sostiene che in Italia esistono tre sinistre: il
Pd che rappresenta il progressismo agiato, quello ormai diventato simbolico delle Ztl (le Zone a traffico
limitato delle città, le più vivibili); il M5S che rappresenta invece le fasce più povere della popolazione e le
ha gratificate con il Reddito di cittadinanza; Verdi e Sinistra italiana che di fatto rappresentano l’ala
prettamente ambientalista. Lo stesso sociologo nel suo intervento si è augurato che le tre sinistre
continuino a vivere e possibilmente a dialogare e allearsi, creando un fronte realmente progressista e in
grado, in prospettiva, di governare.
Tesi condivisibile? Per ciò che concerne la prospettiva, mi sentirei di definirla azzardata; quanto all’analisi,
invece, mi sembra corretta. E da questa il Pd dovrebbe ripartire per rinnovarsi e reiventarsi. Mi sembra
evidente che i Dem raccolgano un consenso – più forzato che convinto, in realtà – in quella sacca
intellettuale della sinistra che di guardare a destra e ai populismi di sinistra non vuole proprio saperne. Ma
si tratta anche di quegli elettori, quei cittadini che di fatto non credono più nella forza propulsiva del
partito. Perfino le voci più illuminate di questo campo, e penso su tutti a Valter Veltroni, faticano a
disegnare un futuro concreto per il Pd. Si parla genericamente di ripartire dal mondo del lavoro, senza
spiegare però quali settori cercare di andare a rappresentare e quali proposte mettere in campo per
incidere drasticamente su un mondo sempre più precarizzato. Quindi, sì, partire da lì ma con idee chiare e
slogan attraenti. Per riuscirci, però, secondo me urge un prerequisito: eliminare le correnti e liberarsi della
“zavorra” renziana. Non lo dico per offendere, ma per chiarire una volta per tutte. Renzi non ha perseguito
politiche di sinistra. Legittimo, ma con il Pd non c’entrava e ci entra ancora meno ora che si deve costruire
una sinistra moderna, capace di intercettare diseguaglianze, storture, bisogni. Perciò scremare il partito e
renderlo unito negli obiettivi, nelle politiche. Successivamente aprire una sorta di “casting” per la nuova
classe dirigente, tornando a pescare dal basso, cioè professioni e mestieri come si faceva una volta. Persone
che conoscano le realtà più povere, le abbiano vissute, che sappiano “sporcarsi le mani”. E soprattutto
ricominciare a “presidiare” il territorio, nel senso che un partito di sinistra deve essere presente – sempre –
essere capace di ascoltare, solidarizzare con le fasce più in difficoltà, rappresentarle e sostenere idee e
proposte che siano effettivamente di crescita per chi è in difficoltà per nascita e chi in questi anni ci è finito.
Poi, certo, continuare, ma con convinzione, le battaglie per i diritti civili. Non solo difendendo quelli
faticosamente conquistati (la sola difesa si trasforma spesso in battaglie di retroguardia, in realtà), ma
battendosi con forza per quelli ancora da conquistare. Ce ne sono tanti e finora per mantenere non meglio
identificati equilibri interni ed esterni, tali rivendicazioni sono state solo sussurrate e mai urlate. Insomma:
io dico che si dovrebbero riconoscere i diritti, ma gli altri non vogliono, quindi…
Credo che solo in questo modo il Pd possa ritrovare una sua ragione di vita politica e determinare, dal
governo o dall’opposizione, i cambiamenti di cui la nostra arretrata società avrebbe un gran bisogno. Se poi
continueranno a esistere altre sinistre (ma quella ambientalista, francamente, potrebbe essere riassorbita,
anche qui assumendo posizioni nette seppur non preconcette), si dovrà certo tentare il dialogo e anche
l’alleanza, con l’obiettivo però di rimanere la guida di questo campo e di dettarne la linea politica. Non per
sete di supremazia, bensì per storia, peso specifico, capacità globale di rappresentanza. Con la destra –
questa destra – al potere, credo sia davvero l’ultima chiamata. Non rispondere vorrebbe dire rassegnarsi a
un futuro senza ideali e la prospettiva di battersi, nella migliore delle ipotesi, solo per qualche battaglia di
piccolo cabotaggio.
ANDREA BENEDETTI MICHELANGELI
L’analisi di De Masi che ho ascoltato anche io e che mi sento di condividere in parte, così come fai tu, dimentica un blocco. L’alleanza elettorale Sinistra Italiana -Verdi non è soltanto la parte prettamente ecologista del campo. Sarebbe riduttivo e purtroppo, se fosse così, non avrebbe preso nemmeno quella già importante ma residua percentuale.
Credo di annoverare tra coloro i quali hanno votato quella compagine anche chi crede, come me, che l’ottica femminista e trans femminista non possa essere relegata nel calderone indistinto dei diritti civili sussurrati e non urlati. E questo ha a che fare con il casting. Il pd ha tra le sue fila la territorialissima e globalissima Elly Shlein, che è sicuramente lontana dalla giacca e cravatta delle ztl, è punto di riferimento per amministratori e amministratrici locali ed è paladini dei diritti della comunità Lgbtq+a.
È una parte così preziosa e insondata, perfino nelle analisi.
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