“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – FIGLIO DI……..A
di STEFANO CERVARELLI ♦
Questo non è un articolo vero e proprio, è la fotografia di un degrado sociale che sta impadronendosi sempre più di settori della nostra vita, compreso, purtroppo, lo sport, nella fattispecie il calcio.
Un tristissimo episodio infatti è avvenuto durante una partita del campionato Juniores, quindi ragazzi al disotto dei 18 anni.
Lo squallore dell’episodio è ancora più grande in quanto vede come protagonista un allenatore
della persona cioè che per primo ha il compito, oltre che di allenare, di educare, sopratutto con il comportamento, i suoi giocatori, ad un comportamento di massimo rispetto e civiltà proprio nell’ambito dei rapporti sociali, tanto più quando questi avvengono su un campo sportivo dove i protagonisti sono i giovani, facendo capire, per prima cosa, che l’avversario non è un nemico da sopraffare in qualunque modo.
Spesso però succede che l’allenatore “sacrifica“ il suo ruolo di educatore alla conquista della vittoria, in qualunque modo avvenga, spinto in questo però anche dal fatto che oggi, purtroppo anche nei campionati giovanili, la vittoria è quello che conta, l’unico metro di giudizi e lui, l’allenatore, non ha nè la forza nè, diciamolo, la volontà di tirarsi fuori da questo circolo vizioso. Ma d’altra parte quando la possibilità di fare carriera passa unicamente attraverso le vittorie, senza badare a come arrivano, i ragazzi, i giovani saranno sempre un mezzo per realizzare le proprie aspirazioni.
Non sto dicendo che tutti gli allenatori siano così. Ho conosciuto tanti completamente diversi, ma pure tanti che, pur allenando squadre giovanili, con tutto quello che significa questo ruolo, percepivano come risultato unico la vittoria, dimenticandosi di tutto il resto; il discorso ci porterebbe lontano, ma è ora di tornare all’episodio in questione che, appunto, come dicevo all’inizio, fotografa quanto ho detto, più di mille parole.
Quello che segue è il testo di una mamma di un calciatore ripetutamente offeso dall’allenatore della squadra avversaria, con lei presente tra il pubblico in tribuna.
“ Sono la mamma di un ragazzo che gioca nelle juniores regionali dell’Emilia Romagna. Durante l’ultima partita di campionato sono avvenuti fatti che ho ritenuto davvero spiacevoli. Mi domando come sia possibile che un allenatore possa ripetutamente dire ad un ragazzo: “figlio di p…” senza che nessuno, neppure l’arbitro intervenga. Chiedo scusa se ho usato questa volgare terminologia ma è esattamente quello che più volte ha detto l’allenatore a mio figlio e non solo questo.
Ciò che più mi ha indignato non è stata solo l’indifferenza dell’arbitro, ma anche di tutti coloro che erano in campo. Aggiungo anche che, a fronte del mio dissenso, c’è stato chi tra il pubblico ha giustificato questo atteggiamento maleducato e fuori luogo dell’allenatore affermando che è una “tattica per fare innervosire il giocatore” e qualcuno ha aggiunto “quello che succede in campo resta in campo”.
UNA TATTICA???? QUELLO CHE AVVIENE IN CAMPO RESTA IN CAMPO???? Bene, affermo con profonda convinzione che non è così! Innanzitutto questo Signor allenatore non conosce nulla del malcapitato ragazzo che si è trovato a giocare sulla fascia di fianco alla panchina da cui urlava senza il minimo buon senso queste offese. Cosa ne sa lui di sua mamma? Potrebbe essere morta o malata. Si rende conto che i ragazzi si sentiranno autorizzati ad utilizzare questa terminologia dal momento che lui per primo la utilizza? Detto questo mi sono domandata: ma se questa frase fosse stata rivolta all’arbitro o a qualsiasi persona adulta presente in campo quale sarebbe stata la reazione? Un ammonimento, un’espulsione dell’allenatore? Perchè se la stesa frase viene rivolta ad un ragazzo deve passare in sordina? Non credo che nessuno non abbia sentito. La frase è stata detta diverse volte e, ripeto, gli insulti sono stati diversi.
Racconto questo episodio perchè faccio parte di quella schiera di persone che crede nello sport, quello che insegna, aiuta, unisce. Vorrei invitare a riflettere sull’indifferenza di fronte a questo episodio ma soprattutto vorrei che l’allenatore in questione la smettesse di rivolgere frasi di questo tipo perché feriscono la dignità delle persone a cui sono indirizzate, me compresa, quella mamma cui ieri ha dato della p….na diverse volte.”
Dalla lettera appare evidente che sebbene il protagonista principale dell’ingiustificabile episodio è stato l’allenatore, non è mancato chi ha dimostrato una certa “comprensione” nei suoi riguardi, arrivando addirittura a sostenere che si trattava di una tattica!
Questo mi porta a delle brevissime riflessioni, sicuro che saranno le stesse di chi legge.
La prima: se tra il pubblico c’è stata una fredda reazione al comportamento dell’allenatore, anzi… questo non fa altro che confermare, purtroppo, il degrado nel quale siamo immersi.
La seconda riflessione è d’ordine più tecnico. Un allenatore che ricorre a quello stratagemma (offendere per innervosire) per vincere la partita è, senza ombra di dubbio, un allenatore mediocre, spinto nel suo agire solo dalla bramosia della vittoria; i suoi dirigenti dovrebbero tenerne conto, ma avendo uno come lui nella loro società, non credo che siano di pasta diversa.
Ed infine, ma perché nessuno di quelli che stavano nella panchina della squadra del ragazzo non è intervenuto? Le risposte potrebbero essere tante…ognuno provi a dare la sua.
Infine, rifacendomi dell’interessante conversazione apertasi giorni fa sul blog a proposito del merito, penso che bisognerebbe parlarne un momentino anche riguardo lo sport. Probabilmente i miei amici del blog distanti, non certo per loro colpa, ci marcherebbe, dalle realtà esistenti sui campi di gioco e nelle palestre, troverebbero senz’altro argomenti di discussione.
STEFANO CERVARELLI
Bravo,
Non hai fatto un articolo, ma hai posto una problematica delicatissima e attualissima che investe il mondo e gli operatori sportivi.
Il problema evidenziato rappresenta un comportamento, purtroppo diffuso, cui spesso sono oggetto, soprattutto, a livello giovanile, ragazzi che, oltre ad imparare la tecnica, dovrebbero imparare a divertirsi e formarsi, non solo dal punto di vista sportivo-motorio, ma, anche e soprattutto, da quello relazionale, civile, nel rispetto delle regole e dell’avversario. Il problema non è risolvibile attraverso sanzioni arbitrali e/o squalifiche, ma attraverso un’azione educativa preventiva che investe non solo lo sport, ma la scuola, la famiglia, la visione culturale dello sport che dovrebbe rappresentare un fine educativo fondamentale nella formazione di un giovane e non essere un mezzo per raggiungere il successo, a tutti i costi. Qui, però il discorso si amplia e coinvolge le federazioni sportive, le società sportive, i mass-media, le famiglie, che considerano lo sport, e il calcio in particolare, un’occasione di riscatto economico-sociale e una via privilegiata per raggiungere il successo e facili guadagni economici.
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Grazie Massimo per il tuo chiaro intervento, che condivido pienamente.
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