AD ANTONIO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Generazione fertile quella di chi ha appreso l’arte sul campo. Si nasce con la passione dell’inselvatichito, dello spazio aperto, dell’intrigo della boscaglia ma poi ecco che ti ingegni a scovare le antiche reliquie di civiltà celate tra le rocce ed il fogliame. I Monti tolfetani sono stati sono stati la culla per tanti animi appassionati  dell’antica impronta umana. Così lo è stato il nostro litorale sassoso ed irto di cocciame.

A partire dal dopoguerra alcuni angeli della ricerca calpestarono in lungo ed in largo coste e monti raccogliendo ciò ad altri poteva sembrare inutile pietrisco.

Si deve a loro se molti accademici e membri di pubbliche istituzioni tributarono riconoscimenti allo spirito di intrapresa culturale della nostra città. Fernando Barbaranelli, Odoardo Toti, Antonio Maffei, nomi che hanno proseguito nel tempo la traccia meritorio di Salvatore Bastianelli.

Antonio entrò, assieme a tanti altri giovani, nella Centumcellae per diventarne poi  nel 1991 presidente.

Autore di tante pubblicazioni tutte intese a narrare la protostoria dell’arco del Mignone e della portualità litoranea. La “carta archeologica del territorio”fu il suo impegno decennale. Ma sarebbe riduttivo soffermarsi sull’autore degli studi che certo saranno ricordati attraverso una edizione che sarà dovere, di chi lo ha apprezzato ed amato, realizzare.

 E’ l’uomo che qui vorrei rammentare e far conoscere.

E ritorno, dunque, alla campagna, al suo grande amore. E lo farò rivolgendomi direttamente all’amico di tante avventure.

Antonio, vorrei commuoverti rammentandoti  un nome, Codata delle Macine. Il ricordo della gioventù turba il tuo stato d’animo?

Vuoi che aumenti la tua agitazione?

 Ecco allora che ti rendo inquieto oltremodo col descriverti l’irsuta vegetazione che ti inebriava: l’elce nera, i ginestrai  gialli, l’irto peruzzo ed i biancospini, gli olivastri, le rosse sughere, i faggi del monte Elceto. Eri, tra noi, l’esperto dell’erba: sapevi distinguere evitando il nocivo così da dare all’acquacotta il suo sapore arcano. Artigiano dei coltelli sapevi cavar fuori dal corno dell’animale il manico appropriato. Quando, seduto su un masso di trachite, ti concedevi il riposo dopo una lunga ricerca i tuoi occhi brillavano di fronte al fuoco improvvisato, alla carne arrostita, al vino che scorreva.

 Erano ore intense, ricordi?

 I compagni ti affiancavano a circolo nel folto del bosco. Luni sul Mignone, il Vesca, Passo Viterbo e Piantangeli, Norchia, San Giovenale, Pian Sultano: debbo proseguire? No! Ti vedo  pieno di gioiosa mestizia, col cuore troppo gonfio di rimpianto.

L’inverno sta arrivando, Antonio.

 Avremmo dovuto celebrare l’antica liturgia, accanto al fuoco di legna profumata. A dirci le vecchie cose d’un tempo passato che non ci passava mai. Nel nostro bosco di lecci, di faggio, di mortella, di ceraso marino. Ricordi?

 Ed infine, un ultimo piccolo ricordo e poi basta, perché più non si può per non essere sommersi dalla mestizia, troppo pericolosa per la nostra età!

Dove hai ficcato la tua “lancia pecorina”che ti faceva divenire tutt’uno coll’antico villanoviano che tanto desideravamo di incontrare da qualche parte nel bosco tolfetano?

I tuoi amici ti salutano, caro vecchio Antonio.

A presto.  

CARLO ALBERTO FALZETTI