Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – La mamma del garibaldino. Carolina Pizziconi Bonafede
di ENRICO CIANCARINI ♦
Caro figlio
Mi duole oltre ogni credere non poter inviarti a volo di posta la storia di Civitavecchia che con la carissima tua del 30 prossimo passato mi chiedi: ma come fare? Io ne aveva portato meco una copia dottamente scritta in piccol volume dal Cav. Pietro Manzi, e che erami tanto più cara perché donatami dallo stesso autore; ma la smarrii. Per appagarti adunque in una brama che trovo lodevolissima, trattandosi della tua patria, al dì d’oggi maggiormente interessante per il vivo commercio e per il moto de’ battelli a vapore che di continuo vanno e riedono, non trovo altro espediente che accennarti in succinto quanto la sfuggevole mia memoria ha ritenuto ad esso riguardante e credo basterà…
È intitolato Cenno storico di Civita-Vecchia l’articolo che venne pubblicato il 27 settembre 1845 sul periodico bolognese Il Piccol Reno Foglio settimanale con sottotitolo Lettera di Carolina Bonafede al suo figlio Luigi datata Bologna 6 agosto 1841.
Nelle quattro pagine dell’articolo, l’autrice somministra al figlio numerose notizie storiche su Civitavecchia, compresa la leggenda dell’Ottimo Consiglio sotto la quercia a Cencelle, e fornisce anche alcuni dati autobiografici:
Io ho quivi passati quattordici anni di mia vita, cioè dagli undici ai 25; mi sono maritata, rimasta vedova, rimaritata, sempre nel militare, per cui non vi ho parentela di sorta; ma sempre ho scorto esservi amata come propria cittadina, ed onorata come ospite, cosicché quando l’ottimo tuo patrigno fu destinato al Comando di questa Piazza, s’io anelava vedere la giustamente decantata Bologna, altrettanto dolevami lasciare la cara Civita-Vecchia, di cui serberò ognor grata ricordanza”.
Chi è Carolina Bonafede e qual è il suo rapporto con Civitavecchia? Per rispondere a queste domande utilizziamo il saggio di Maria Cecilia Vignuzzi La Storia come missione familiare: la vita e il racconto di Carolina Bonafede, inserito nel volume Famiglia e nazione nel lungo Ottocento italiano (2006) e la scheda Pizziconi Bonafede Carolina curata da Marina Zaffagnini e pubblicata nel sito internet Storia e memoria di Bologna nel novembre 2021.
Carolina Pizziconi (o Pizzigoni) nasce a Piacenza il 7 agosto 1811 (o 1812 per la Vignuzzi) dal gioielliere Gaspare e da Antonia Antinori. Dovendo sfamare una famiglia numerosa, a quattro anni i genitori l’affidano alla zia materna Teresa Antinori e a suo marito il cavaliere Luigi Cirri, ufficiale pontificio di stanza prima a Roma e poi a Civitavecchia. Nella città portuale riceve la limitata istruzione che allora era riservata alle giovani di estrazione borghese come afferma lei stessa: “l’educazione delle fanciulle, che di molto manca pure al dì d’oggi, per lo addietro era ancora più imperfetta: il vero bello lo gustai troppo tardi”.
Giovanissima, a 15 o 16 anni, sposa Vincenzo Sabatini, anche lui ufficiale di reparto a Civitavecchia. In tale occasione scopre di non essere figlia di Teresa e di Luigi e di avere dei fratelli a Piacenza.
Il 15 maggio 1828 nasce Luigi e il 7 agosto 1830 Vincenzo, che prende il nome dal padre scomparso sei mesi prima. Carolina non indossa gli abiti da vedova per molto: il 15 giugno 1831 sposa il capitano Marco Aurelio Bonafede, di guarnigione a Civitavecchia, quarantenne e vedovo anche lui, già combattente nell’esercito napoleonico con cui partecipa alla campagna di Russia. La Zaffagnini suggerisce che “è probabilmente grazie al Bonafede che Carolina comincia a sviluppare l’interesse per la storia e lo spirito di patria”. La Vignuzzi scrive che fu Bonafede “vicino agli ambienti carbonari mazziniani bolognesi, a iniziare l’educazione patriottica della scrittrice”
Negli anni civitavecchiesi, grazie al suo status sociale, Carolina ha accesso ai salotti più vivaci della città, forse frequenta anche quello della Marchesa Calabrini. Qui incontra e conversa con Pietro Manzi e Benedetto Blasi, come ricorda nella lettera al figlio. Anche i due intellettuali civitavecchiesi, stimati in tutta la Penisola, possono averla incoraggiata ad approfondire gli studi storici e letterari. Soprattutto Manzi era un apprezzato traduttore di classici greci e storiografo.
Carolina trasloca a Bologna agli inizi degli anni Quaranta del XIX secolo a causa del trasferimento di sede del marito. Nel 1843 i moti di Savigno mettono in cattiva luce suo marito nei confronti delle autorità ecclesiastiche. Vignuzzi rileva che “si era rifiutato di ordinare il fuoco contro i giovani patrioti e per questo era stato destituito dalla carica”. L’anno dopo Bonafede muore per cause imprecisate, addirittura si sospetta un avvelenamento. La vedova accusa il colonnello dei carabinieri pontifici Stanislao Freddi di aver impedito al marito di recarsi a Roma ad illustrare le sue ragioni e a intercedere per gli arrestati del tentato moto rivoluzionario. Per coincidenza Stanislao Freddi è originario di Civitavecchia, dove nacque il 17 gennaio 1782. Giuseppe Monsagrati, che ne ha curato la scheda nel Dizionario Biografico degli Italiani (1998) scrive che il Freddi era un accanito nemico del movimento carbonaro e mazziniano in Romagna: “era sorretto da una ideologia che lo assimilava ai maggiori esponenti e vessilliferi della reazione e del legittimismo”.
Rimasta di nuovo vedova, Carolina, pur soccorsa dagli amici bolognesi, per sostenersi decide di dedicarsi alla scrittura e alla ricerca storica, forse quello che considerava “il vero bello”.
Nel 1845 dà alle stampe il suo primo libro: Cenni biografici e ritratti d’insigni donne bolognesi in cui auspica “un nuovo modello di istruzione femminile: basato da una parte sullo studio delle materie cosiddette virili – i classici, il latino, la filosofia, la storia e il diritto – dall’altra su un metodo di apprendimento innovativo che sviluppasse l’interesse e il ragionamento negli alunni”.
Negli anni successivi pubblica altre opere legate alla storia e a personaggi di Bologna. Nel 1862 è fra le fondatrici della Società patriottica femminile di Bologna dove muore il 6 giugno 1888.
L’opera che la inserisce nel contesto letterario e storico del Risorgimento e la consacra madre patriottica è Memorie biografiche di Luigi Sabatini Bonafede dettate dalla madre dell’estinto Carolina Bonafede nata Pizziconi in cui ripercorre la vita del suo primogenito fino alla morte: Luigi Sabatini Bonafede il 1 ottobre 1860 è ferito gravemente sotto le mura di Capua alla testa dei suoi zuavi garibaldini con cui aveva partecipato alla battaglia del Volturno. Muore il giorno dopo a Napoli.
Il nome di Luigi non compare fra quelli dei patrioti civitavecchiesi che la Società Democratica di Civitavecchia voleva incidere nella lapide da porre sul “Monumento ai volontari accorsi a difesa della Patria della Città di Civitavecchia” come proposto al Municipio di Civitavecchia il 25 gennaio 1871. L’iniziativa patriottica non si concretizzò e anche in tempi più recenti, la proposta di Giovanni Massarelli, sindaco e appassionato cultore del Risorgimento italiano e delle sue vicende civitavecchiesi, di porre rimedio a questa mancanza di memoria patria a Civitavecchia non trovò sostegno politico e generosi finanziamenti per essere realizzata.
Se cercaste il nome di Luigi Sabatini Bonafede negli elenchi ottocenteschi dei volontari garibaldini lo trovereste registrato come bolognese e appunto in quella città la sua memoria è custodita.
Il poeta e letterato civitavecchiese Giuseppe Bustelli, altra figura obliata dalla sua città, gli dedicò un sonetto nel volume Canti nazionali, satire ed altri versi pubblicato appunto a Bologna nel 1864:
A Luigi Sabatini Bonafede morto sul Vulturno L’Italia. (1863)
Nel tuo solingo errar di lido in lido
Ti giunse, o figlio, la mia voce e il canto
Di guerra; e ratto io mi ti vidi accanto:
Si forte fu l’affettuoso grido.
Là sul Vulturno, ove parea mal fido
L’amplesso di Vittoria al drappel franto,
Tu rincoravi i miei, porgendo il santo
Petto … Ah! il tuo nome a un libro eterno affido.
Da voi, gagliardo di caduti stuolo,
Ancor che freddi – uscia di Marte il tuono.
Ma in chi servisse a voi taccia ogni duolo;
Sia fine al pianto: a eccelso fato io v’alzo:
Per voi la tomba fia di gloria un trono;
Per voi, forti caduti, io mi rialzo.
L’anno prima la madre Carolina aveva pubblicato le sue Memorie biografiche in cui ripercorre la vita del figlio dalla nascita. Dopo il matrimonio della madre con il capitano Bonafede, il piccolo Luigi è affidato ai coniugi Cirri, gli zii materni che già avevano allevato la madre, che lui perciò considerava pari a nonni:
Cresceva il fanciullo d’aspetto leggiadro, d’indole soavissimo, e come prima poté ricevere qualche disciplina furono pronti procurargli tutto che di meglio offriva il paese per costumatezza ed abilità nello istruire.
Suo precettore fu don Gioacchino Flavioni, che Carolina Bonafede ricorda come “sacerdote esemplare e uomo instrutto”. In Luigi si scorgeva una “meravigliosa disposizione a comporre prediche e ad esporle”. In lui sembrava accendersi la vocazione al sacerdozio. Alcuni padri gesuiti di passaggio a Civitavecchia insistettero affinché il giovane s’iscrivesse a un loro collegio per perfezionare l’istruzione ed entrare nella loro congregazione.
La città infatti non offriva a Luigi l’opportunità di studi superiori, pertanto il 2 settembre 1838 a Roma, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, indossava l’abito dei cosiddetti rocchettini, gli alunni dei Canonici regolari lateranensi, a cui l’aveva indirizzato lo stesso pontefice Gregorio XVI.
Ma Luigi non voleva vestire l’abito talare bensì la divisa militare come il padre e il patrigno. Fu ammesso come cadetto dei Dragoni pontifici il 1° giugno 1841. Da Roma si trasferì a Bologna dove riabbracciò la madre. In alcune pagine Carolina ricorda: una sera ospitava nella sua casa il tenente Achille Freddi “figlio del famigerato colonnello dei carabinieri”, a cui lesse con orgoglio materno un componimento del figlio Luigi dedicato alle grandi figure dell’antica Roma repubblicana. Il giudizio del giovane Freddi fu insolente ma malauguratamente premonitore: “Signora, il giovanetto palesa molto slancio … non può niegarsi … ma peccato siasi troppo esaltato con letture perniciose … si direbbe ch’ei fosse un fiero repubblicano … egli, se non si corregge prepara dispiaceri a suoi ed a se stesso”.
I fatti di Savigno ferirono Luigi nelle sue convinzioni e la morte del patrigno acuì il dolore: “gli pesava quella divisa che tanto aveva desiderato d’indossare, già parevagli d’andar complice del massacro de’ suoi concittadini, e fino d’allora divisava staccarsi dalla bandiera delle due Chiavi per correre sotto la Croce di Savoia, se non lo arrestava il sapersi di poca età”.
Il 1848 vide i giovani Sabatini-Bonafede impegnati sui vari fronti della Prima guerra d’indipendenza: suo fratello Vincenzo si mise in luce nella Campagna del Veneto dove ricevette una menzione particolare al valore militare a Cornuda.
Luigi il 1° dicembre era promosso sottotenente e trasferito a Roma al 2° Reggimento Dragoni. Fu impegnato nel respingere gli attacchi dell’esercito napoletano a Palestrina e a Velletri. Il suo comandante, il colonnello Bartolomeo Galletti, impressionato dal valore che Luigi aveva dimostrato in quelle battaglie informò il generale Giuseppe Garibaldi “il quale volle vederlo, ed essergli largo d’encomii e di rallegramenti”. Il giovane civitavecchiese fu promosso ed inserito nello Stato Maggiore del Nizzardo. Dopo la fine della Repubblica Romana, Luigi fu costretto a rimanere nell’esercito pontificio ma fu degradato a cadetto.
Aveva ventidue anni quando il 15 aprile 1850 ottenne il congedo. Era quindi costretto a ricercare un’attività dignitosa con cui mantenersi:
Pensò egli pertanto di apprendersi alla carriera teatrale: non era affatto digiuno dell’arte del canto, aveva gradevole voce da baritono, ed in iscena era di bella presenza, sensato e dignitoso attore. Appassionato cultore della musica, e non increscioso di superarne le difficoltà poteva sperare di togliersi dalla mediocrità; lande vinta l’avversione che a quella sua tendenza manifestava la madre, si diede alacremente allo studio del canto.
Il 6 dicembre 1852 debuttava a Cotignola (Ravenna) nell’opera buffa Don Pasquale di Gaetano Donizetti. Due mesi dopo, il 6 febbraio 1853, a Milano scoppiavano dei moti rivoluzionari in cui s’intrecciavano ideali patriottici a quelli socialisti. Gli austriaci repressero con ferocia la ribellione e anche a Bologna furono tratti in arresto alcuni mazziniani, vicini agli insorti o estranei. Fra loro Luigi che venne torturato con diciotto colpi di bastone affinché rivelasse i nomi dei suoi complici. Non parlò. Rimase in carcere per quasi due anni. Un giorno si sparse la voce di una sua possibile fucilazione con altri undici patrioti. Luigi scrisse alla madre Carolina:
Chi avversa nell’opinione il Governo, entra in guerra con lui, come il soldato che combatte sul campo un qualsiasi nemico della patria; dunque il soldato ed il cospiratore, debbono essere parati ugualmente alla morte di moschetto, come ugualmente ambidue debbono ripromettersi gloria, a seconda di come abbiano soddisfatto il dovere di cittadino. E tu ricordati madre mia, che pagheresti tributo indegno di te al tuo paese, se apportasti debolezza nell’animo delle altre madri, coll’eccesso del tuo dolore.
Il 18 gennaio 1855 il feldmaresciallo Radetzki rimetteva in libertà otto patrioti fra cui Luigi che non avevano avuto alcuna parte nelle assemblee rivoluzionarie del 1853.
Ripresa l’attività di cantante, non potette esibirsi a Livorno perché la polizia del Granduca lo espulse dalla Toscana. Non si arruolò come il fratello Vincenzo nella Legione anglo-italiana destinata a combattere in Crimea dove non arrivò mai a causa della fine della guerra.
Luigi fu costretto ad emigrare per poter lavorare: “senza darsi tregua passava da Zante a Smirne, da Smirne a Sira, da Sira nuovamente a Smirne, riconfermato dovunque per le future stagioni, applaudito, amato stimato. Già aveva scrittura per Atene … Ma squillava la tromba di guerra in Lombardia”.
Pur desideroso di tornare a combattere per l’indipendenza e l’unità italiana, non partì per non mettere in difficoltà la sua compagnia teatrale che contava su di lui come unico baritono. Finita la stagione si mise in viaggio ma la pace di Villafranca, che poneva fine alla Seconda guerra d’indipendenza, lo sorprese a Corfù. Dovette pertanto ritornare in teatro ma “dalla Sicilia tuonava la voce a cui la gioventù non resisteva. Garibaldi faceva appello al valore italiano”.
Carolina Bonafede il 10 agosto 1860 ricevette questa lettera da Messina:
Mia dilettissima Madre.
Sono nel famoso corpo degli Zuavi italiani. Ho ricusato di entrare ufficiale nella cavalleria perché non avrei potuto battermi, essendovi pochi cavalli, e soprattutto perche qui si offrono difficilmente combattimenti per quest’arme. Dopo arruolato presentai a Caldesi e a Bovi le lettere di Farnè, il quale è stato da essi decantato come un Eroe dell’indipendenza italiana. Essi volevano subito farmi graduare, ma io risposi loro che preferivo guadagnarmi i gradi al fuoco; che tuttavia avrei gradito facessero intendere al mio comandante che non mi perdesse di vista, nel caso mi distinguessi. …
Addio: corro agli avamposti, ricevi mille baci.
Cinque giorni dopo annunciava alla madre la promozione a sergente e il subitaneo passaggio a sottotenente, promozioni guadagnate in due distinti fatti d’arme in cui si era messo in luce per coraggio e capacità militare.
L’ultima lettera alla madre “in cattivo e lacero mezzo foglio di carta” era datata 27 settembre, da Napoli. Solo dopo quattro mesi Carolina Bonafede ebbe notizia certa della morte del figlio Luigi avvenuta durante la Battaglia di Capua in cui le truppe borboniche avevano tentato una controffensiva per riconquistare Napoli:
Dopo molte indagini sono triste di dovervi annunziare che il vostro Sabatini-Bonafede passò dalla gloria del campo a quella di Dio. Era giovane caro a tutti, instruito, coraggioso, e sebbene giungesse in Sicilia quasi compiuta quella campagna, eseguì con ardire e fermezza gli ordini della campagna seguente. …
Il Sabatini-Bonafede a cavallo rianimava i perdenti, quando una fucilata lo colpì alla spalla sinistra, … caduto da cavallo, non ebbe fortunatamente i nemici addosso che lo seviziassero come ad altri venne fatto. Fu presto portato a Napoli … ed accolto nella casa di un Signore … Ebbe tutte le cure possibili, ma dopo poco morì …
Il suo Luigi ha lasciato nome di prode innanzi a Capua, ed il compianto de’ buoni.
Il patriota e professore Luigi Mercantini, autore delle famose poesie risorgimentali Inno di Garibaldi e La Spigolatrice di Sapri dettò a Bologna la lapide posta in ricordo di Luigi:
A Luigi Sabatini-Bonafede da Civitavecchia morto per la Unità d’Italia combattendo sotto le mura di Capua il dì II ottobre MDCCCLX oggi non veduto si aggira per le terre italiane ma sentito da ogni anima viva a cui dice senza l’unità degl’intelletti ed ei cuori non avrete l’unità della Patria.
Nelle ultime pagine delle Memorie biografiche, Carolina Bonafede pur distrutta dal dolore per la perdita del suo Luigi, rimane ferma nelle sue certezze patriottiche:
Figlio, non rivedrò più quel tuo sorriso, e quello scintillante sguardo che mi scendeva all’anima; ma io nella stanza, ove mi strugge il dolore di averti perduto sento tutta l’alterezza d’esserti madre. Io come itala donna, ti ringrazio del sangue che versasti per francare da dispotico Sire le partenopee contrade; io come genitrice ti benedico ad ogni palpito del mio cuore, e le immense mie pene, e le tante amare mie lacrime, offro al sommo Iddio, perché ognor più a lui ti appressi …
Lo scrittore civitavecchiese Giuseppe Bustelli fu colpito profondamente dallo scritto di Carolina Bonafede dedicato al figlio e scrisse, oltre al sonetto, queste righe:
Volle al proprio dolore cercare un sollievo, che diventasse altresì documento dell’affetto materno e delle virtù del defunto. … la quale, tutta quanta scaldata da quell’affetto che la rettorica non saprebbe falsificare, lascia scorgere nell’autrice, lodata per altri scritti, una cultura nel suo sesso non comune e un’egregia attitudine nell’arte della parola. Queste pagine vive per interesse che spirano continuo, vorremmo che leggessero e ne cavassero ottimo esempio le madri italiane; la cui parola è seme che frutta, secondo che buono o reo, negli animi tenerelli le virtù libere o le servili abbiettezze.
Maria Cecilia Vignuzzi ha intitolato il suo saggio dedicato a Carolina Bonafede La Storia come missione familiare in cui evidenzia il ruolo della famiglia nella costruzione della nuova nazione italiana:
L’esperienza personale di Carolina Bonafede mette in luce molto chiaramente i meccanismi attraverso i quali la famiglia poteva effettivamente rappresentare un importante luogo di formazione politica anche per le donne. …
L’analisi del vissuto e del percorso di formazione politica di molti patrioti risorgimentali – uomini e donne. ha infatti permesso di confermare l’efficacia e l’impatto, sui comportamenti dei singoli individui, del discorso patriottico sulla famiglia come prima comunità entro la quale sperimentare i nuovi valori che sarebbero poi stati alla base della nazione.
Carolina Bonafede e suo figlio Luigi Sabatini-Bonafede, sono due patrioti legati alla storia di Civitavecchia che questo breve saggio vuole ricordare ai suoi concittadini.
ENRICO CIANCARINI
Un nuovo saggio che dovrebbe essere conosciuto nelle scuole superiori per la storia risorgimentale nella nostra città e per l’educazione civica: in tale contesto storico e politico sono riabilitati, nel loro autentico significato i concetti chiave di “patria” e “famiglia” tanto sputtanati dalla destra attuale.
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La Storia narrata tramite una storia, in cui ci si emoziona leggendo una ricostruzione di notevole rigore e passione allo stesso tempo, e che esorta tuttora a interrogarsi sui valori davvero importanti. Grande Enrico, come sempre.
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Aggiungo: con una cura anche per l’italiano che non è mai da dare per scontata.
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Grazie Paola e Michele per le vostre cortesi parole.
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