MI RACCONTO – (2)
di MARIO BENNI ♦
PUBBLICHIAMO A PUNTATE, OGNI LUNEDI, UN “RACCONTO AUTOBIOGRAFICO” DI MARIO BENNI, NOTO PROFESSIONISTA DELLA NOSTRA CITTA’. IL PRIMO E’ STATO PUBBLICATO IL 12 SETTEMBRE:
LO FACCIAMO CON PARTICOLARE INTERESSE ANCHE PERCHE’ CI PROPONE AMBIENTI, PERSONAGGI E VICENDE PRESENTI NELLA MEMORIA DI PIU’ D’UNA GENERAZIONE, CHE CI SEMBRA GIUSTO CHE VENGANO TRAMANDATI.
Si voleva trovare una origine nobile a questa città, e l’abbiamo trovata!
Ora bisogna capire come e quando sia avvenuta la trasformazione.
Si deve riprendere con i CENNI STORICI.
La storia della città di Centumcellae è legata nei secoli alle sorti di Roma, prima imperiale poi decaduta durante i vari imperi, invasioni barbariche, papato, ed arriviamo agli anni 800.
Sono gli anni in cui i Saraceni spadroneggiano nel Mediterraneo, saccheggiando, uccidendo ed incendiando le città marinare.
E’ in quel periodo che nasce l’esclamazione: “Mamma!! li Turchi!!!”
Dopo vari tentativi di conquistare Centumcellae, nell’anno 823 i Saraceni conquistarono la città, rubarono, uccisero e distrussero la città incendiandola.
I superstiti si rifugiarono sulle alture lontane dal mare, prima in capanne e poi in un insediamento più solido al quale sembra sia stato dato il nome di Leopoli per onorare il nome di qualche papa Leone che li aveva assistiti.
Passano gli anni, i Saraceni hanno subito qualche dura lezione.
Chi è tornato sulla riva del mare trova l’atmosfera più tranquilla e sicura.
Tornato a Leopoli chiede un referendum per decidere il ritorno a Centumcellae.
Il referendum sembra avviato a confermare Leopoli.
Qui la leggenda vuole che Leandro, a capo di un gruppo di giovani, convochi un comizio sotto una quercia, per incitare i cittadini a tornare nella Civitas Vetula.
Ed i cittadini approvarono.
Il gonfalone della città di Civitavecchia rappresenta una grande quercia con incise le lettere O. C. ai lati del tronco, a significare l’Ottimo Consiglio di Leandro.
O forse ha un altro significato non noto.
Nascita ed infanzia
Nel primo pomeriggio del sei di luglio, a via del Pozzolano 13, la sora Armida tiene per i piedi un bambino appena nato, con la testa all’ingiù, e lo riempie di sculacciate perché… non piange!!
La sora Armida è la levatrice che ha assistito mia madre al parto ed ha consentito a me di raccontare la mia storia
La storia che fossi nato a sculacciate ha dato luogo a varie integrazioni sull’accaduto
– Mia madre: <<Figlio mio, se non ci fosse stata la sora Armida adesso tu non saresti qui con mamma tua!!!>>
– Mio padre, in presenza dei miei fratelli Antonietta e Luigi <<quando sei nato ti hanno fatto nero di sculacciate, poi ti hanno messo nell’acqua gelata, poi ti hanno preso per le gambe ed esposto alla finestra, poi…>>
Mentre loro se la ridevano io diventavo tutto rosso dalla rabbia.
Questo mio aspetto doveva essere divertente per chi vi assisteva, tant’è che ancora bimbetto c’era sempre qualcuno che mi chiedeva: <<Fà a nonno (a zio, a …) la rabbietta!!>>
Io ripetevo la parte, orgoglioso della prestazione, che di solito veniva premiata.
Dopo alcuni mesi dalla nascita dovetti… emigrare dai miei nonni materni.
Io sono nato a luglio.
Mia madre in inverno ebbe la polmonite e siamo nel 1936!!
In casa c’erano già i miei fratelli più grandi ed un bimbo di pochi mesi non poteva essere assistito.
Che fare???
I NONNI!!
La famiglia dei miei nonni materni era composta da:
-Nonno Domenico, nato a Reggio Calabria, rimasto orfano dei suoi genitori nel terremoto inizio secolo. Cresciuto in una scuola militare, poi militare inviato a Civitavecchia presso la Scuola di Guerra.
-Nonna Emilia di famiglia marchigiana trasferitasi a Civitavecchia inizio secolo, allevatori di cavalli, trasporti
-Tre zii: Giovanni, Angelo, Antonio
-Tre zie, tutte più giovani di mia madre, Santina, Fermina, Anna
Mio nonno aveva una tenuta di 15-20 ettari a circa tre chilometri a nord della città, tenuta compresa fra la statale Aurelia e la ferrovia Roma-Genova, degradante verso il mare che brillava a poche centinaia di metri.
La costa mostrava la Torre Saracena.
La casa situata a fianco dell’Aurelia, era rossa con il tetto, un pergolato, un giardino intorno che a primavera profumava di fresie.
Più all’interno della tenuta c’erano le stalle, il pollaio, le gabbie dei conigli, la rimessa della paglia e del fieno, una grande fontana per abbeverare gli animali.
Il tutto all’ombra di due grandi fichi bruciotti (sono di buccia nera ed interno rosso, in omaggio forse alla origine calabra del nonno)
In questo quadro da fiaba un giorno fu deposto un bambolotto di pochi mesi.
Nel sacco della mia memoria il primo ricordo che trovo è me bambino che carponi
in una stanza, m’infilo sotto una toletta con lo specchio girevole e sento il profumo della cipria: era la camera delle zie!!
Ed ancora a sera, a tavola: nonno abbassa il lume a petrolio con il lampadario verde, accende il lume e poi lo fa salire sulle nostre teste.
Nonno siede a capotavola, nonna Emilia alla sua destra ed io al suo fianco
Il letto dei nonni dove spesso dormo, è in ferro battuto, le lenzuola pesanti di lino, il materasso con le foglie di granturco, sul capezzale il quadro del Sacro Cuore e la doppietta.
Le sere d’estate la nonna mi chiama: <<Endra fio che casca la guazza!!>>.
Io guardo in alto ma la guazza non la vedo cascare! Voleva solo proteggermi dall’umidità della sera.
Sono cresciuto i primi anni con la farina di grano tostata, cotta con il latte sul focolare, l’uovo sbattuto nella tazzina alta colorata, l’acqua fresca di conca di rame, il pane cotto nel forno.
In questa famiglia ed in questa casa di campagna ho imparato a camminare e vissuto la mia infanzia
Ero libero in questa campagna, familiare con il cavallo, le mucche, i buoi da lavoro, le galline, pecore, piccioni, conigli, l’odore caldo delle stalle in inverno e quello del fieno.
Ho vissuto in diretta le stagioni, il caldo estivo sotto la pergola dove arriva il ponentino dal mare, la trebbiatura del grano che esce da un mostro rumoroso, la raccolta dell’uva e la pigiatura con i piedi che restano rossi, l’inverno sulle gambe della nonna che recita il rosario davanti al camino, la primavera con gli alberi da frutto fioriti, i papaveri nei campi da raccogliere in mazzo, il verde abbagliante. Osservare la luna che illumina una striscia di mare, le lampare dei pescatori, il cielo stellato.
L’arrivo in visita dei miei genitori e fratelli mi veniva anticipato ed io salivo su un albero per vedere da lontano l’arrivo del calesse trainato da Grillo, il cavallo.
Un giorno Grillo con il calesse mi riportò in famiglia in città.
Ricordo ancora all’arrivo una grande finestra aperta su un cielo vuoto.
Avevo compiuto cinque anni.
Dopo qualche settimana mi ritrovai con il grembiule, il cestino con la merenda all’asilo delle Monache Salesiane.
L’infanzia era terminata. Iniziava il ciclo della vita adulta.
Bellissimo! Grazie!
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Che bello!
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Altro che story telling!! La forza narrativa è nei fatti, nelle vicende non lontane ma che già hanno il sapore della storia andata, delle cose, gesti, parole, atti perdut*. To be continued. Bellissimo. Grazie Mario!
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