EMMA
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Emma K. moglie del diplomatico americano era giunta a Civitavecchia da Roma. La attendevano al Porto di Traiano il Sindaco ed altre Autorità. Un benvenuto per essere ritornata nella sua città natale dopo anni di lontananza.
Emma era squisitamente seduta nel salone ad ascoltare il suono di un pianista. Un gesto di ossequio dopo la colazione ufficiale. Lui la fissava intensamente fin dal suo arrivo mescolato tra la folla degli ospiti invitati per l’occasione.
Emma si accorse presto di quello sguardo ma lo ritenne come un innocuo, seppur petulante, moto di curiosità venato certo da provincialismo verso il prestigio della sua presenza.
Nel commiato gli invitati ordinatamente si accinsero a stringerle la mano. Quando toccò a lui Emma ripagò l’insistenza dello sguardo con un malcelato intollerante fastidio.
Dal capo altero scendevano composti biondi capelli che tradivano nervature candide. Gli occhi cerulei contrastavano l’incarnato avorio seppur aggredito da qualche increspature del tempo. L’antico gioco delle fossette ancora destava una deliziosa armonia nei momenti del sorriso. Dietro quella elegante immagine si poteva ancora intravedere la sensualità di una donna di fascino. Nessuno tra gli astanti potevano affermare di ricordarla. I più rammentavano abbastanza sua madre. Qualcuno il padre.
Emma indugiò nel trattenere la mano di lui. Lo sguardo si fece sospetto. Per un attimo, per un solo attimo il fastidio si tramutò in turbamento. Ma tutto si risolse in breve. Fra poco lei avrebbe lasciato la città, per sempre.
. . .
Inizio anni Sessanta. La sala è piena di ragazzi che si agitano al ritmo del twist facendo girare intorno ai fianchi un cerchio. Lui la vede col suo cerchio che gira, cade, cade e gira. Emma: ricci biondi, occhi radiosi perché splendenti di quei dardi luminosi che, crudelmente in agguato, tentano di impietrire la preda. E la vittima, cioè lui, ne esce a fine serata disperatamente inghiottito. Il giorno dopo lui avvisa il mondo che lei è la sua ragazza. Emma dice che è solo un povero matto. Tre giorni dopo lei dice che lui è folle di lei. Lui risponde che non la pensa nemmeno. Insomma, si desiderano ma il gioco impone tutto quel complesso intreccio che fa parte del corteggiamento in quella età ed in quel tempo.
Seduti scomodamente sulla rotonda ghiaia del Marangone lui pronuncia , testimone il sole al tramonto, la frase infuocata “Quanto sei bella! Più bella del sole! Tu sei mia per l’eternità…ed oltre!”. L’invidioso sole a quel punto non può far altro, il meschino, che rintanarsi contrito sotto la linea dell’orizzonte.
Ma se non c’è l’ostacolo da superare in quel tumultuoso rapporto, dove ricercare il gusto? Certo i genitori non ne vogliono sapere. Troppo presto, troppo presto per trattare di tali argomenti. Ma l’indifferenza degli adulti viene spacciata per l’ostacolo immaginario che impedisce ai due virgulti di amarsi. L’ostacolo al grande amore deve esser trovato, comunque. Come si può concepire un amore che non abbia un ostacolo da evitare, da superare, da vincere ? Dunque?
Necessita inventare la favola bella d’un amore controverso, perseguitato: dunque eseguire appuntamenti furtivi, umbratili, lontani dagli occhi indiscreti. Occhi che sono solo quelli della cerchia genitoriale perché tutti i ragazzi sanno tutto di tutti e tutto digeriscono con l’estrema indifferenza, ovviamente.
“Come ci vediamo domani e dove?” Non esiste il telefonino. Il telefono di casa è troppo pericoloso. E, allora?
L’albero!!
“Certo a via Cencelle, vicino a Toti, dove vicino abiti tu, Emma, c’è l’alberello con al centro il buco. Io infilo la sera lì il messaggino cartaceo. Tu, Emma, passi la mattina, infili la dolce tua manina e prendi il foglietto e leggi “. Le forze del Male non prevarranno!
E così per mesi Emma e lui si ingegnano “in barba ai genitori” che di certo non hanno alcun sospetto e se lo avessero non gli interesserebbe che poco o niente. Ostacolo trovato, amore disperato garantito!
Eppure, in quell’albore della vita in quel meriggio della gioia, nel mondo della magnifica fantasia adolescenziale, l’ostacolo, quello vero e duro, un giorno si materializzò, impietoso.
I genitori di Emma dovevano partire. America! Il padre andava lì per via della sua professione.
Il foglietto infilato da Emma nel cuore arboreo parlava chiaro: “Debbo partire, ti scriverò, ci rivedremo. Non far abbattere l’alberello. Ciao! A presto, Non mi tradire. Ti amo“.
. .
Mrs. Emma K. era riuscita per un attimo a togliere a quello sguardo petulante la sofferenza del tempo, l’assedio dei giorni, il velo dell’oblio. Ma l’attimo era presto soffocato. Roma attendeva.
L’auto con la targa diplomatica USA si avviava rapida verso l’autostrada.
CARLO ALBERTO FALZETTI
Un piccolo gioiello tra ricordo e rielaborazione fantastica.. La visivita’della tua scrittura così liricamente atteggiata ma anche storicamente precisa crea effetto docufilm.. Tenero e appassionato. Nostalgia…. ❤️
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Un albero, cosa può contenere la cavità di un albero? Come un messaggio di una naufraga dentro ad una bottiglia.
Piccoli universi che si consumano con i tempi non umani dell’albero.
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Bello, tenero. Non sembra neppure vero. Ma secondo me è vero.
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