Dal Sor Pugliesi

di SILVIO MORETTI

Tutti abbiamo un luogo dell’infanzia dove vorremmo ritornare, che vorremmo rivedere. Forse per tornare bambini? Non solo o meglio non lo so!

Per me quel posto è il negozio del Sor Pugliesi.

Oggi se esistesse, sarebbe una cartoleria dal nome improbabile come tante “Cartoleria e non solo…”. Ma un po’ di anni fa non si usava e comunque sarebbe stato riduttivo. Ed infatti non lo chiamavamo con un nome preciso. Anzi non ce l’aveva proprio.

Per tutti era il negozio di Pugliesi, quello di via XVI Settembre. Da non confondere con quello delle sorelle Pugliesi (concorrenza in famiglia) che si trovava in via Buonarroti.

Era il mio negozio preferito ma lo è stato per diverse generazioni fino a quando il signor Pugliesi è andato in pensione. Situato vicino alla scuola elementare aveva gioco facile nell'”adescare” noi bambini. Perché si chiederanno, con qualche preoccupazione, quelli che non l’hanno conosciuto?

Perché lì dentro potevi trovare di tutto, anche quello che mai avresti immaginato. Dalla carta assorbente ad una sfilata di pennini da inchiostro, stilografiche di tutti i colori e per tutte le tasche, quaderni, fogli protocollo per i compiti in classe.

Ma soprattutto giochi di ogni tipo, giocattoli, piccole cose.

Il set per la magia, il fagiolo “spiritato”, che si muoveva grazie ad un peso al suo interno che lo faceva rotolare sul tavolo, li abbiamo conosciuti, desiderati e poi acquistati lì. E poi soldatini, pistole e cartucce da sparo, soldatini del west, autoblindo militari, maschere e stelle filanti quando era Carnevale.

A seconda del periodo la mercanzia cambiava. Già da metà novembre le statuine del presepe ti guardavano dalle vetrine mentre passavi sulla strada. Lì ci andavi per comperarne di nuove o sostituire il pescatore al quale l’anno prima, nel riporlo, si era spezzato un braccio. Senza sarebbe stato poco credibile!  E non potevano mancare gli addobbi, le luci ed i decori del Natale.

Il primo gioco dell’oca, manco a dirlo, me lo feci regalare da mio padre acquistandolo dal signor Pugliesi.

Come si fa a dimenticare l’odore particolare di quel posto. Inconfondibile ed indescrivibile, non l’ho più sentito, anche se, qualche volta, nel ricordo mi è sembrato di percepirlo. Odore di legno, sicuramente, perché la stigliatura del locale, piuttosto piccolo dove era custodito tutto quel ben di Dio, era costituita da mobili espositori in legno e vetro che su tre pareti arrivavano fino al soffitto. Ma anche un misto di profumo di inchiostro, di carta, cartoncini, di liquerizie.

Eravamo i migliori clienti ma il signor Pugliesi ci trattava con rudezza. Era un “mangiafuoco” di altri tempi, niente a che fare con le blandizie di oggi. D’altronde come non giustificarlo, quando all’uscita dalle lezioni (mattina o sera perché c’erano i “doppi turni”) si vedeva invadere il negozio da torme di ragazzi scatenati ed inarrestabili.

Il signor Pugliesi aveva le chiavi per aprire ogni anta del suo “regno”. Ma non voleva perditempo. Era un tipo burbero, sempre in camice nero, molto professionale a suo modo, in evidente contrasto con quel mondo fatto di colori, di effimero, di sfolgorio di luci. Ma anche di dolciumi, di caramelle, di cartoncini colorati nel profumo dell’infanzia e della spensieratezza.

La sua fisonomia mi ha sempre fatto pensare ad Alfred Hitchcock. Tra l’altro il signor Pugliesi abitava nello stesso condominio in cui abitavamo noi: lui al quarto piano noi al piano rialzato. Spesso lo vedevo scendere le scale, soprattutto di pomeriggio, perché la mattina doveva precedere noi scolari per aprire la sua bottega prima dell’inizio delle lezioni. Lo ricordo sempre molto elegante nei suoi completi in principe di Galles, serio, incuteva un certo rispetto.

Non sono mai riuscito a capire se mi riconoscesse quando entravo nel negozio e avesse per me un atteggiamento più affabile. Di certo lo aveva quando ero in compagnia dei miei genitori (per me più mio padre che mia madre), perché era quasi certo che si concludesse l’affare.

Era un negozio che non aveva bisogno di pubblicità. Gliela facevamo noi con il “passaparola”. E forse non ne avrebbe avuta nemmeno al giorno d’oggi.

Noi ci “cadevamo” dentro, attratti come tanti Pinocchio nel paese di Bengodi. Ed era una gioia!

Quante “giuggiole” o “morette” di liquerizia abbiamo mangiato.  E quante figurine, non le Panini che venivano vendute nelle edicole, ma le Nannina, in pacchetti avvolti in una finissima carta velina. Per poi correre a casa per giocare il campionato di calcio.

E per l’album ed i pastelli o i preziosi acquarelli o la creta per modellare statuine, c’era solo Pugliesi. Da lui ci recavamo per comprare gli stemmi con l’indicazione della classe frequentata, da applicare con gli “automatici” sulla manica del grembiule nero.

Se potessi esprimere dei desideri, tra tanti ci sarebbe sicuramente quello di entrare ancora per una volta in quel negozio, con i miei capelli bianchi, con il signor Pugliesi dietro il bancone di vetro che rimprovera di non toccare gli oggetti esposti, tenendo per mano quel bambino che ero, rimirando quell’autoblindo con la lancia missile che ho sempre desiderato e non ho mai acquistato.

SILVIO MORETTI

https://spazioliberoblog.com/