“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Quale via da intraprendere. 1) – Dissertazione su consumatore e comportamento.
di GIORGIO CORATI ♦
In questo articolo è affrontata un’ipotesi su due tipologie di consumatori rispetto a un’astratta capacità di decisione in merito alla soddisfazione di bisogni, desideri e capricci, nonché a valutazioni sul comportamento di consumo. L’articolo è il primo di due tra loro correlati.
È possibile poter scoraggiare o limitare i consumi su alcuni beni? È possibile incoraggiarli su altri ritenuti maggiormente “sostenibili”? Si può valutare il grado di volontà di cambiamento e le variazioni nella composizione dei consumi?
La risposta è da ricercarsi nella propria sfera e dimensione di consumatore.
Nell’epoca attuale il consumatore può essere un soggetto protagonista nel mercato se tende a “rinnovarsi”, lasciandosi alle spalle un processo meccanico di consumo, e se mostra capacità di cambiamento ovvero manifesta coscientemente e proattivamente la sua volontà di attuare e mantenere un comportamento di consumo sostenibile, avendo valutato le proprie modalità di consumo sulla base di valori etici, virtuosi, nonché senso di responsabilità sociale.
Per la verità, può valere anche per ogni persona o manifestazione umana in qualsiasi situazione.
Quale via da intraprendere, dunque, rispetto al consumo in un’epoca dominata dall’incertezza finanche della capacità della Terra di rigenerare il capitale naturale che l’uomo (sovra)utilizza nelle proprie attività sia economiche sia umane, seppure legittime e utili?
Quale via da intraprendere, è avere una visione del futuro oppure non averla? Averla e perseguirla senza esitazioni o temporeggiare fino all’arrivo di altri con visioni similari? Restare fermi e non avviare alcun processo di pensiero, né di azione? Rifarsi al sentito dire o perpetuare il proprio comportamento di consumo senza mai porlo in discussione?
Quale via da intraprendere è questione di visione, senza dubbio. È anche il problema della (necessaria) disponibilità di risorse naturali e della consapevolezza nella dimensione sociale del consumatore rispetto a tale vincolo. Banalmente, o forse no, è da tenere presente che le risorse utilizzate per produrre un bene di consumo sono definite come scarse: quelle rinnovabili hanno necessità di tempo per potersi rigenerare, mentre quelle non rinnovabili, invece … La necessità dell’uomo di doverle usare (e riusare) e utilizzare (e riutilizzare) con accuratezza e parsimonia è ormai un problema noto e di grande attualità.
Ma chi è colui che a torto o a ragione deve intraprendere una via e soprattutto quale via deve intraprendere? È il consumatore; quale soggetto economico del mercato dei beni di consumo egli è mosso da una moltitudine di motivazioni. Ogni consumatore sicuramente sa il fatto suo, sceglie e decide a volte suo malgrado e comunque è costretto da vincoli di varia natura.
Un’ipotesi, che può sembrare curiosa e forse banale, può essere calzante per distinguere e descrivere, in un modo diverso dal solito e con astrazione, almeno due tipi di consumatori di questa epoca: il “consumatore ordinario” e il “consumatore rinnovato”.
Il “consumatore ordinario” agisce in modo meccanico ovvero attraverso un processo meccanico di pensiero. Può non riuscire a esprimere in modo chiaro la propria volontà, è poco o affatto consapevole degli effetti delle sue modalità di consumo ed è fortemente influenzato dall’ambiente esterno. In tal senso, egli tende a essere facile preda della seduzione degli slogan, delle sollecitazioni al consumismo, talvolta dirette a sedurre l’ego personale, e tenderà a sostituire i desideri con i capricci. Se un “consumatore ordinario” non riesce a resistere a un suo desiderio e se lo lusinga o se arriva persino a incoraggiarlo, allora è possibile che egli sarà distolto o comunque non vivrà alcun conflitto interiore che possa mettere in discussione le proprie modalità di consumo e farlo riflettere sugli effetti che il suo comportamento provocano all’esterno, sull’ambiente. Certamente prima o poi tenderà a sostituire i desideri con i capricci.
Se, per raggiungere almeno un certo grado di sostenibilità con il suo comportamento di consumo, il “consumatore ordinario” lotta con i desideri e poi con i capricci, che per lo più possono certamente ostacolarlo nello scopo, e se trasforma gradualmente il suo comportamento agendo con un’autonomia (che deve essere ricercata in sé stesso) e con volontà, allora egli può con tutta probabilità assumere uno nuovo status, cioè quello di “consumatore rinnovato”.
Il “consumatore rinnovato” agisce con etica, mostrando con coscienza le sue virtù. La sua volontà lo accompagna manifestando integrità e capacità di decisione autonoma, cioè una volontà ben lontana da sollecitazioni e seduzioni di sorta che originano dall’esterno o dalla comunicazione in senso lato. Il “consumatore rinnovato” tende ad avere un’individualità che domina i desideri e i capricci e che lo sostiene nel superamento di quel comportamento meccanico che si può rilevare nel “consumatore ordinario”. Il “consumatore rinnovato” è tale anche per la sua capacità di sviluppare un maggior senso di consapevolezza e di responsabilità nel suo comportamento di consumo, per giungere a modalità di consumo sostenibili e per comprendere l’importanza della sostenibilità nel tempo. La determinazione a dare seguito a un “comportamento di consumo rinnovato”, in una visione proattiva e di benessere generale, è anche di sostegno all’adozione e al miglioramento continuo di buone “pratiche di consumo”.
Certamente prima o poi il “consumatore rinnovato” tenderà a sostituire i bisogni con esperienze di consumo.
È certo che, inoltre, sono necessarie anche informazioni puntuali, perché tendono a elidere le asimmetrie informative presenti sul mercato o le informazioni non note a tutti, se non addirittura “tutte da verificare”. A maggior ragione, le informazioni sono necessarie per gestire un comportamento di consumo sostenibile, se si considera anche la difficoltà di definizione univoca di concetti che il consumatore dovrebbe avere bene in mente. Su tutti, per l’appunto, il concetto di sostenibilità è un concetto “indefinito”. Tra gli altri, il concetto di “economia circolare”, ad esempio, è misconosciuto ed è riferito genericamente e quasi esclusivamente rispetto al tema della cosiddetta “transizione energetica”.
Al di là delle definizioni accademiche, è possibile affermare che il termine sostenibilità esprime un concetto molto relativo, perché la sostenibilità non è un fenomeno fisico e come tale, inoltre, non può essere oggetto di una semplice misurazione. Una sua valutazione è tuttavia possibile se, ad esempio, si considera come insostenibile lo stato attuale di una data situazione. Dunque, se si ritiene necessario intervenire su quella data situazione, allora, dopo aver adottato e intrapreso le azioni di risposta al problema che nuoce e procura insostenibilità, solo allora, probabilmente, sarà possibile rilevare il livello del miglioramento auspicato.
Nonostante i diversi strumenti comunicativi utili per raggiungere il consumatore, quanto accade rispetto al tema attuale della “transizione verso la sostenibilità” è che questa sia comunemente considerata soltanto come una “modalità” innovativa per riciclare materie prime e rifiuti, nonché utilizzare forme di energia alternative rinnovabili. Più in dettaglio, la transizione dal (superando) modello dell’economia lineare al nuovo paradigma dell’economia circolare è comunemente considerata come un cambiamento di modello del sistema produttivo basato sull’innovazione energetica e tecnologica, mentre l‘economia circolare è vista, forse banalmente, come una “modalità” utile per ridurre, recuperare e riciclare materie prime e rifiuti, pur essendo tali azioni comunque di fondamentale importanza. Comunque, rimanendo focalizzati per un momento su questa “modalità”, si può sostenere, ad esempio, che qualsiasi tipo di rifiuto o di “scarto” rappresenta una perdita di valore e dunque modalità di recupero “tecnico-fisico” di materie prime o “biologico” di risorse biologiche possono contenere la dissipazione e il depauperamento delle risorse stesse, determinando sia un “risparmio” sia un vantaggio per tutti.
Al momento non esiste una definizione univoca globalmente accettata per definire l’economia circolare, anche se ve ne sono alcune ritenute molto efficaci; in uno studio specifico (Kircheherr et al., 2017)1 sono state raccolte e analizzate 114 definizioni. In generale, comunque sia, l’economia circolare è da ritenersi il paradigma di un’economia più efficiente e efficace nelle modalità d’uso delle risorse in genere, nonché socialmente ed ecologicamente più sostenibile. In tal senso, l’efficienza e l’efficacia sono da ricercarsi anche nelle modalità di utilizzo o consumo delle risorse stesse da parte del consumatore.
Un’interessante punto di vista sul comportamento socialmente responsabile, lo sostiene l’economista Leonardo Becchetti (2009),2 asserendo che esso non è necessariamente alternativo a quello autointeressato. Becchetti parla di autointeresse lungimirante che contrappone a quello che definisce miope e cioè quell’interesse capace di comprendere che “la strada della sostenibilità ambientale e sociale è l’unica sostenibile e praticabile e che un comportamento socialmente irresponsabile finisce per avere conseguenze negative sul proprio benessere” (p.190). Per l’economista l’individuo socialmente responsabile riconosce sé stesso come parte degli altri, internalizzando gli effetti negativi del suo comportamento irresponsabile ed evitando al contempo comportamenti opportunistici.
Sicuramente i comportamenti opportunistici sono insiti nella natura umana; quelli mossi da alcuni nel proprio interesse personale (?) generano effetti sgraditi sugli altri o cagionano danni che molto spesso determinano comuni perdite. In questo contesto può accadere che altri ancora, mossi da un diverso interesse, sostengano la necessità se non l’urgenza di porre rimedio alle comuni perdite. Il risultato, molto spesso, sostenuto anche da chi non trova altre motivazioni che quelle indotte dagli altri, è un conflitto che si risolve a danno di tutti o rimane latente senza fine, piuttosto che una sanzione generale dell’inopportunità o dell’insostenibilità di quei comportamenti opportunistici.
Sebbene vi siano attività economiche di produzione che rivedono le proprie strategie e adattano i propri processi produttivi orientandoli alla sostenibilità e consumatori altrettanto consapevoli e responsabili degli effetti del proprio comportamento di consumo, tuttavia, l’aumento della domanda di beni compatibili con le esigenze dell’ambiente e con la biodiversità di specie è un ulteriore incoraggiamento per le attività economiche a migliorare i propri sistemi e strategie di produzione, sia sotto il punto di vista ambientale sia sociale (capitale umano e relazioni interpersonali).
L’aumento della domanda di beni in generale, tuttavia, può essere sostenuta anche da beni che “a conti fatti” e per motivazioni varie possono non corrispondere a un reale bisogno del consumatore.
Anche se il cambiamento può non condurre al miglioramento auspicato, sempre che si possa parlare di miglioramento, e comunque anche se il miglioramento può non avere lo stesso valore o valere allo stesso modo per tutti, ebbene, posto che il (concetto di) cambiamento ha in sé la natura di transizione ineluttabile, spetta al consumatore responsabile, prosociale e virtuoso definire la migliore traiettoria del consumo sostenibile e dirigerlo.
Nella sua dimensione soggettiva, il consumatore può cambiare atteggiamento, assumere (e o sostenere) un punto di vista o concetti nuovi, al punto che questi, se ampiamente condivisi, possano trasformarsi in una visione “olistica” di consumo, diversa o alternativa rispetto a quella che si rigetta. La partecipazione del consumatore virtuoso e l’azione partecipativa associata al suo comportamento orientato alla sostenibilità da sole probabilmente non sono risolutive, pur tuttavia, oltre ad avere la caratteristica di concretezza ed essere semmai anche slegate da una logica di mero beneficio individuale, se non di puro egoismo, si distinguono per l’impegno verso la ristrutturazione di regole comuni e comunque verso un cambiamento richiesto al sistema sociale. Ed è nelle capacità del sistema sociale di dare attuazione o legittimazione al cambiamento richiesto, perché il sistema (il legislatore) può definire nuove e più conformi norme così come sostenuto dal giurista e filoso milanese Cesare Beccarìa (Tortarolo, E., 1999, pp.527-528),3 secondo il quale le leggi […] “sono l’espressione della volontà comune dei membri della società uniti da un patto originario uguale per tutti”. A tale proposito, appare interessante il concetto di path dependance (dipendenza dal percorso) espresso dall’economista e storico dell’economia Paul Allan David (1985)4 per sostenere l’idea che uno Stato si sviluppa seguendo un proprio percorso storico; le scelte e le azioni compiute in passato da altri condizionano le possibilità di scelta future.
In estrema sintesi si può affermare, senza voler banalizzare, che il futuro è fatto dagli uomini. Avvalorando tale affermazione, se il cambiamento richiesto al sistema non è accolto, viene da chiedersi se tale diniego possa o meno essere cagionevole, nella considerazione che un fenomeno, anche se non espressamente di valenza economica, presuppone un’evoluzione tale che certamente non dovrebbe essere ignorata del tutto. In analogia, l’economista italiano Paolo Sylos Labini (2007)5 riporta una nota interessante su Joseph Schumpeter e cioè che l’economista austriaco adotta il metodo storico dello scozzese Adam Smith parlando “di modelli teorici storicamente condizionati o di metodo fondato sulla dipendenza dal percorso precedente (path dependence) per indicare che i fenomeni economici da studiare” […] “presuppongono un’evoluzione che non deve essere ignorata” (p.10).
GIORGIO CORATI