RUBRICA – “BENI COMUNI” – 18. TRUCCHI DEL MESTIERE, 2. LO SPECCHIO DELLE MIE TRAME, DALLA CATALUNYA A ISHINOMAKI
di FRANCESCO CORRENTI ♦
Capita di frequente, nel bel mezzo di una conversazione familiare o d’una telefonata con amici e, più ancora, in quegli incontri casuali accompagnati da scambi di opinione che possono accadere ad esempio durante un tragitto su mezzi pubblici (non parlare al conducente! ma io ho fatto una bellissima chiacchierata con il comandante d’un aereo di linea durante l’atterraggio) ovvero nelle reciproche informazioni dialettiche col guidatore del taxi che vi porta a Termini, capita – dicevo – d’imbattersi in parole espresse in lingua straniera o in lingue classiche dell’antichità o d’incappare in termini tecnici, specialistici, di qualche gergo o solo d’uso raro e d’interpretazione difficile.
Nell’immagine di copertina, dove in questi giorni ho aggiornato la situazione della vignetta originale del febbraio 1961 – vignetta però, obietterà qualcuno, in cui di pianta si vede un solo pino e nessun sarmento di vite, e non si vede neppure di o in pianta, cioè in proiezione zenitale, ma in veduta prospettica e semmai di prospetto – ho rappresentato non già, come allora, la mia abilità di immaginare (fosse potenza della suggestione, fosse competenza del sapiente) da poche pietre e resti edilizi la primitiva consistenza monumentale, bensì l’inversa dote – preveggente, divinatoria, aruspicina, profetica, pessimistica o cassandresca? – di veder nel fantasioso (o fantomatico) tempio periptero esastilo i segni e disegni della sua futura rovina. Che poi l’edificio templare (in senso generico) non rispetti i canoni (attènti all’accènto) vitruviani (ubi vitrum non pertinet), essendo tetrastilo sull’altro lato che dovrebbe esser quello maggiore, più lungo, senza invece esserlo, e forse è pure sine postico, è questione a riprova della estemporaneità dello schizzo, privo d’un progetto meditato, con una proporzione icnografica piuttosto tirsenica ossia rasenate e tutt’altro che ellenica.
Dato così sfogo alla pulsione terminologica, sento il desiderio di riportare il lettore a quel casuale incontro con la simpatica insegnante di disegno spagnola, o piuttosto catalana, avvenuto nel magnifico monastero cistercense presso Tarragona chiamato localmente “Reial Monestir de Santa Maria de Santes Creus”. Da qualche piccolo indizio, il suddetto lettore avrà certamente capito che quella mia visita era avvenuta nel 2000, l’anno del Grande Giubileo. Quello di cui ho parlato nella penultima puntata della rubrica “Beni comuni”. In quello stesso anno sarei andato per la prima volta in Giappone per il necessario sopralluogo al San Juan Bautista Museum di Ishinomaki, dove stavo progettando la mostra “1615, il Viaggio: la Missione Keichô alla scoperta dell’Europa”, che avremmo inaugurato a ottobre dell’anno dopo, il terribile 2001, con il volo di andata – per curare i lavori di allestimento delle sale e di sistemazione degli ottantacinque, tra oggetti ed opere d’arte, inviati in precedenza tramite gli spedizionieri specializzati e con l’assistenza di un funzionario ministeriale nella movimentazione delle casse – a pochi giorni dall’11 settembre, in un aereo semivuoto tanto da Fiumicino alla Malpensa, quanto da lì a Tokyo-Narita, con i 9.767 km da coprire in undici ore. E qui, supponendo che il cortese lettore non abbia avuto all’epoca notizie dettagliate di quella mostra e ne sia incuriosito, prometto di dedicare una puntata della rubrica a quell’evento di cui ho avuto il privilegio d’essere progettista e realizzatore e che, effettivamente, ha ben figurato tra le manifestazioni nazionali di “Italia in Giappone 2001”, che riserva ancora alcune sorprese.
Vasi, bronzi e gioielli d’epoca etrusca, ceramiche medievali e del periodo barocco, dipinti e incisioni, armi da fuoco e da taglio, armature e copricapi, perfette ricostruzioni degli abiti del tempo, documenti d’archivio, oggetti d’arte e di artigianato hanno rievocato in una sintesi esauriente la storia del territorio e gli scenari urbani, sociali e politici in cui furono accolti nel Lazio pontificio gli ospiti giapponesi. La Presidenza della Repubblica, la Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, l’Ente Autonomo Giostra della Quintana di Foligno, la famiglia Borghese, il Circolo della Caccia e la famiglia Cavazza, l’Associazione Mastarna e altre numerose istituzioni culturali hanno contribuito con prestiti e con la collaborazione fornita agli enti promotori alla riuscita della manifestazione, nel 30° anniversario del gemellaggio tra Ishinomaki e Civitavecchia che ha visto anche la firma di quello tra la Prefettura di Miyagi e la Provincia di Roma, sul galeone ricostruito. Accanto ad essi, hanno aderito stilisti ed artisti, artigiani e industrie di prodotti tipici, per l’organizzazione degli eventi collaterali patrocinati appunto dalla nostra Provincia, che hanno reso il mese di apertura non solo un’importante occasione culturale di conoscenza e di approfondimento dei rapporti tra le due nazioni, le popolazioni e i loro organismi, ma anche un simpatico messaggio della regione della capitale italiana verso il mercato giapponese, dalle più antiche alle più recenti espressioni della sua creatività, ai prodotti tradizionali e al suo peculiare e universale richiamo turistico e spirituale.
Se mi sono dilungato sulla mostra nel Miyagi San Juan Bautista Museum, dopo aver detto di riportare il lettore e il mio racconto al monastero iberico, non è stato per menare il Kant per L’Aia, come voleva fare quello studente stanco di sentir lodare la puntualità pomeridiana del filosofo, ma non sapeva che abitava a Königsberg e non nei Paesi Bassi. Infatti, ho avuto un preciso motivo, perché tra i due luoghi un legame c’è stato, proprio in relazione a quelle superfici preparate in modo speciale per ottenere una riflessione perfetta e quindi delle immagini dette appunto speculari e proprio in quell’anno 2000 in cui si celebrava il Grande Giubileo. L’incontro con l’insegnante di disegno ed i suoi giovani allievi spagnoli, o piuttosto catalani, che vedete nella foto del grande refettorio a volta, con Paola appena salita dalla scala e loro verso il fondo, non è stato l’unica occasione di godere delle proprietà degli specchi. Il monastero cistercense, davvero, è stato il luogo degli specchi e dei giochi “di riflesso”, oltre che una delle occasioni di quel viaggio nella simpatica penisola patria di Traiano (dove all’epoca noi due avevamo anche care persone da incontrare) per ammirare l’opera dei colleghi locali in alcuni interventi in edifici storici molto più audaci di quanto facevamo in Italia.
Non voglio esagerare con le divagazioni troppo approfondite nel campo dell’architettura e dei settori connessi, dato il carattere del Blog, ma nel trascrivere l’elenco delle località visitate nella quindicina di giorni di quel giro (Barcelona, Santes Creus, Zaragoza, Bilbao, Vitoria-Gasteiz, Miranda de Ebro, Burgos, Sasamón, León, Puente del Paso Onroso, Astorga, Ponferrada, Lugo, A Coruña, Fisterra-Playa de Estorde, Corcubión, Camota, Maceiras, Muros, Noia, Santiago de Compostela, Ourense, Simancas, Valladolid, Salamanca, Aveinte, Avila, Madrona, Segovia, San Lorenzo de El Escorial, Navalcarnero, El Alamo, Toledo, Madrid), devo avvertire il lettore che s’è trattato d’un viaggio in regioni visitate altre volte e in cui saremmo tornati ancora, con lo scopo precipuo di concentrare la nostra attenzione su alcuni monumenti, musei e, appunto, strutture innovative di riuso funzionale o di riqualificazione urbana, come ad esempio il Guggenheim di Frank Gehry a Bilbao, costruito tre anni prima e già famosissimo per i suoi effetti rivoluzionari in quell’opaca città portuale.
E torniamo al monastero e agli specchi. Anche qui, non mancano le aggiunte moderne all’antico organismo monastico. Come le altre realizzazioni apprezzate nei giorni precedenti a Barcellona, dove peraltro già nel ’92 – in un viaggio organizzato dal nostro IN/Arch, l’Istituto Nazionale di Architettura – avevamo potuto stupirci per le opere straordinarie delle Olimpiadi, come poi, a Siviglia, per quelle dell’Expo, si tratta di nuovi inserimenti che qui sono semplici, lineari, essenziali. Vetrate, strutture in legno, forme con un disegno corretto e meditato, dotano quegli austeri edifici romanici e gotici dei locali necessari ad un turismo discreto. All’arrivo, eravamo passati velocemente nel lungo corridoio d’ingresso con la biglietteria, mentre adesso, dopo la lunga visita, entriamo in un ampio locale affiancato da vari spazi di sosta, di ristoro e di servizio. Ed è proprio nella penombra silenziosa della libreria, dove ci soffermiamo a sfogliare qualche pubblicazione da acquistare, che la nostra attenzione è attratta da un plastico in legno chiaro che riproduce le volumetrie del complesso cistercense. Al di sotto, un grande specchio inclinato a 45 gradi verso di noi, riflette la pianta degli edifici, poggiati su un vetro trasparente, consentendoci di vedere esattamente la planimetria del tutto e di leggere con precisione la forma del chiostro e delle navate della chiesa principale e di tutte le altre sale, celle e ambulacri che abbiamo visitato.
Un accorgimento “ingegnoso”, si potrebbe pure dire un piccolo “trucco”, e certo così si ha, in modo evidente, l’idea di quel grande insieme di edifici, come a vederli non soltanto dall’alto, in volo, nel loro disporsi sul terreno e nello spazio, con le emergenze della cupola, del campanile e dei tetti, ma addirittura dal basso verso l’alto, con la loro impronta al suolo e vedendo anche da sotto in su i soffitti, le volte, la fuga delle arcate e dei vani, presenti nella maquette, comprendendone perfettamente i rapporti e le connessioni. Un’idea semplice ma efficace, che mi colpisce, mi piace molto. «Specchio, specchio delle mie brame». Che sia giusta o sbagliata la citazione, quello specchio mi rimane impresso nella pellicola fotografica e, soprattutto nella memoria. Me ne approprio. Voglio riprendere quell’idea, usarla. Sì, voglio copiarla… o meglio, prenderne spunto, che è meno brutale, imitarla, anzi, “citarla”. Inserire nei propri progetti una “citazione colta” di progetti noti, che so, un particolare, la disposizione d’un materiale, un accostamento di colori, è come usare frasi celebri, proverbi, brani di canzoni o versi poetici famosi in un testo letterario, in un articolo o in un tema scolastico: «Come disse il sommo Dante… eccetera». Ci sarebbero in giro per il mondo molti meno mostri edilizi se gli architetti “citassero” più spesso le buone soluzioni architettoniche dei grandi Maestri. A volte, ci vorrebbe proprio un “trapianto” integrale. Un paio di Fallingwater, di Kaufmann House, insomma di “Case sulla cascata” copiate da quella di Frank Lloyd Wright, messe sulla collina che sovrasta il paese di Trevignano Romano sul fronte lago, al posto di quelle sgraziate e disgraziate villazze mai finite, e il paesaccio lassù sorriderebbe, risplenderebbe, tornerebbe paesaggio (e qui non so se cito o non cito, ma il giochino l’ho usato tante volte).
E allora, detto fatto. Tornato al progetto per Ishinomaki, immagino subito come utilizzare l’idea dello specchio. Per il plastico della città e del porto all’epoca di Paolo V Borghese che ho affidato a Sandro Angioni, no, perché non si adatta, a quella scala. L’unico fabbricato del porto perfetto per esser visto dall’alto con i suoi lunghi tetti absidati a ventaglio e, insieme, vederne riflessa la pianta dalle linee a raggiera, con le sei navate per le galere delimitate dai pilastri, con gli arconi e le travi dei tetti. In un museo in cui è rappresentata tutta la storia della navigazione, dei bastimenti e dei viaggi per mare e c’è pure un galeone a grandezza naturale che galleggia nella sua darsena, un arsenale – e poi quello di Alessandro VII Chigi e Gianlorenzo Bernini – è quello che ci vuole, anche se nel 1615 non c’era ancora, sarebbe arrivato una cinquantina di anni dopo. Non è un grande problema: nella mostra vogliamo presentare il nostro territorio, la nostra storia e la nostra civiltà artistica, dagli Etruschi ai nostri giorni. Tutto è documentato con precisione e con rigore e nelle didascalie (in giapponese, italiano e inglese) saranno indicati chiaramente i dati cronologici. C’è anche da dire che le cognizioni degli amici di Ishinomaki sul dipanarsi della nostra storia europea, in generale, sono certamente più accurate, ma non più di tanto, della nostra normale conoscenza dei periodi del Giappone antico, medievale, premoderno e moderno, dei complessi sviluppi politici nei secoli o semplicemente dei nomi degli stessi periodi o dei personaggi storici o dei luoghi. Tanto che in uno dei diorami disposti lungo il percorso espositivo, insieme alle ricostruzioni scenografiche dei momenti salienti, ai filmati dei monitor ed alla incredibile e movimentata “simulazione” delle varie fasi del Viaggio nella sala “semovente” (!), la scena del primo incontro tra Hasekura-san e padre Sotelo con Paolo V è ambientata, invece che al Quirinale, in piazza San Pietro, rappresentata con tanto di Colonnato berniniano, quasi contemporaneo dell’Arsenale. Una scena ed un luogo, va detto, che così possono essere immediatamente focalizzati dai visitatori locali del Museo, diversamente da una rappresentazione della stessa piazza con il solo obelisco e la situazione del 1615, cronologicamente ineccepibile ma non riconoscibile nemmeno da molti di noi. In compenso, lasceremo al Museo la veduta dello sbarco a Civitavecchia che ho pregato di realizzare ad Arnaldo Massarelli. Un risultato perfetto da ogni punto di vista, che ha colmato una lacuna.
La preparazione dell’evento, fissato per ottobre 2001, procede alacremente, con scambio di informazioni, risposte a quesiti, chiarimenti, accordi, elenchi del materiale, periodiche venute da Ishinomaki di Yuko-san, Tachibana-san, Narita-san, Uemazu-san, riunioni di ogni tipo e disbrigo continuo di adempimenti. Per la spedizione del cannone (o colubrina?) della Fortezza e delle armi di Castel Sant’Angelo, tra Questura, Ufficio Esportazioni e Dogana, devo firmare e timbrare una ventina di fogli, moduli, dichiarazioni. Concluso da tempo il progetto scientifico, prosegue quello esecutivo, con i dettagli costruttivi di ogni cosa e lo studio di testi, del logo, di manifesti e locandine, dépliant “Settepieghe”, guide e cartoline. Preparo i bozzetti e le didascalie dei pannelli con le illustrazioni e li passo per la realizzazione. Parliamo con i traduttori. La Epson Italia ha sponsorizzato la stampa dei pannelli e delle grandi riproduzioni fotografiche, tra cui quella dell’affresco nel Salone dei Corazzieri del Quirinale (140 x 290 cm) che aprirà la mostra all’ingresso del museo, sullo sfondo dell’Oceano Pacifico. Quando andrò a controllare il meticoloso imballaggio del Mascherone leonino e del suo supporto in ferro e legno smaltati, sarà ormai una prassi consolidata: li abbiamo già portati a maggio del ’98 all’Expo di Lisbona e ad agosto dell’anno stesso alla Mostra Internazionale dell’Antiquariato nel Padiglione di Monte-Carlo nel Principato di Monaco.
Arriva finalmente il momento dello specchio, quindi del plastico dell’Arsenale. Dai disegni della tesi di Paola del ’65-66 – pianta, prospetto e sezioni – che ho già utilizzato per fare il mio plastichetto in cartone grezzo grigio, a settembre dell’83 (un lavoro semplice, con forbici e taglia-balsa su una base segnata a matita), ricavo tutti gli elementi in scala 1:50 e vari schizzi al 20 delle coperture ad arcarecci, travicelli, correntini (teneri!) e tavolato sulle arcate murarie a due spioventi, nonché delle absidi semicircolari. Salvo tutto su un CD. Ho preparato altri disegni delle sale di Ishinomaki, che invio per e-mail alla direzione del “San Juan” e concordo gli appuntamenti del giorno dopo a Civitavecchia. È giovedì 26 luglio. Tre mesi e meno di una settimana alla partenza per il Giappone. Telefono a Yuko durante il viaggio in auto. In ufficio mi fermo a parlare con Roberta del disegno della “Sala Civitavecchia” che sta rifinendo. Lo spediremo la sera a Yuko. Mi raggiungono i tre colleghi che curano i progetti del PRUSST per i Comuni di Allumiere, Tolfa e Manziana. Risolviamo alcuni contrattempi che erano insorti. È venuto in ufficio l’amico Alberto Morlupi, sempre gentile, misurato, tranquillo, con il suo sorriso e la voce pacata. Siamo sempre stati d’accordo su tutto. Decidiamo, quindi, rapidamente la risposta da dare a Roma su alcune questioni poste dall’organizzazione di “Italia in Giappone”. Poi arriva Massimiliano Ercolani per il plastico dell’Arsenale.
L’ho conosciuto da un cinque anni, studente d’architettura insieme ad un bel gruppo di altri ed altre giovani civitavecchiesi (è ormai la seconda generazione dei nati nel dopoguerra che scelgono quella facoltà, loro degli anni Sessanta e Settanta, dopo la prima, dei nati intorno al 1950, forse in relazione al successo di professionisti affermati come Renato Amaturo (1927), Bruno Arena (1925), Oreste Martelli Castaldi (1929), e forse per l’esempio dato da due nuovi arrivati da fuori, Alfiero Antonini (1935) e me stesso (1939), ben presenti e attivi il primo nella buona società ed io in Comune. Mentre nell’immediato dopoguerra – un caso? – non vi erano stati architetti, a Civitavecchia, solo ingegneri e geometri. Avevo invitato quegli studenti a collaborare alla Mostra documentaria nell’Infermeria Presidiaria dal 26 dicembre 1996 al 26 gennaio 1997. Avevo anche ottenuto tra il ’97 e il ’98 che i gruppi di ottimi professionisti selezionati con il concorso pubblico di arredo delle vie e piazze del centro storico (Leandra, Saffi, Fratti, Regina Margherita e vie adiacenti) affidassero a quei giovani artisti alcune attività creative per il miglioramento della qualità dell’ambiente urbano. Purtroppo, il concorso non ebbe più seguito, perché a quei progetti si preferì una soluzione autarchica di semplice ripavimentazione in selci e inserti di casuali segni geometrici ottenuti con lastre di travertino.
Di Massimiliano avevo sinceramente ammirato il progetto d’esame di restauro che ne dimostrava la forte personalità e originalità, confermate ampiamente in seguito con prove di sicura eccellenza. Questo lavoretto del plastico ne metterà alla prova anche la pazienza. Gli consegno il CD, illustrandogli le caratteristiche e la scala del plastico da realizzare e concordando con lui tempi, compensi e rimborsi per il suo lavoro. Stando alle misure della nostra ricostruzione e a quelle dichiarate da padre Alberto Guglielmotti, ogni navata dell’Arsenale era lunga 243 palmi, larga 44 e alta 45, pari rispettivamente a metri 47,70 di lunghezza, 9,85 di larghezza e 10,20 d’altezza, che poi sono i centimetri del plastico al 100. La sera stessa, spedisco in Giappone, via e-mail, i disegni per realizzare il tavolo con piano in vetro e specchio inclinato sottostante, su cui poggeremo l’opera di Massimiliano. Che farà la sua figura nella “Sala Civitavecchia”, susciterà molti consensi e mi procurerà tantissimi complimenti “per la bellissima ed originalissima idea dello specchio”, insieme al Mascherone leonino di Leone X, alla colubrina della Fortezza, al plastico della città negli anni dell’ospitalità data alla Missione in Rocca dal governatore Severolo ed a tutti gli altri oggetti, quadri e disegni, apprezzati da tutti i visitatori, dalle autorità, dalle scolaresche, con un grande successo “di pubblico e di critica” come tutta la mostra, ripresa e lodata dalla stampa e dai media locali a livello nazionale con articoli, foto e mie interviste.
Con molta soddisfazione mia, nostra e, soprattutto, dei nostri partner giapponesi, dal sindaco Kohei Sugawara, a tutto il Consiglio comunale ed ai tecnici del Comune e del Museo che hanno collaborato, agli amici dell’Associazione del Gemellaggio, tutti estremamente felici dell’onorevole evento culturale che siamo riusciti a realizzare, forse addirittura sorprendendoli positivamente, sfatando qualche timore o pregiudizio – ben celato dalla loro assoluta cortesia e imperturbabilità – su qualche nostro modo di essere italico in fatto di serietà, precisione e puntualità. Me ne daranno dimostrazioni ripetute, sia onorandomi in quei giorni con testimonianze formali e gratificandomi con manifestazioni di autentico affetto (i ruoli da principale protagonista assegnatimi dal rigido cerimoniale, la grande ricostruzione della Lanterna di Paolo V come l’avevo disegnata, apparsa all’ingresso del Museo a sorpresa, “solo” per me), sia nuovamente in seguito e negli anni a venire con pensieri e yujo no shirushi, “signs of friendship”, per me e per Paola, e continuando ancora, ad ogni occasione e ricorrenza. Domo arigato! Arigato gozaimasu!
Al ritorno dal Giappone, il plastico dell’Arsenale opera di Massimiliano l’ho appoggiato in bella vista nel Casale Antonelli, la sede dell’Ufficio Urbanistico, ancora rimasta al tempo poco modificata rispetto al mio progetto del 1972, nonostante i tanti anni e gli sconvolgenti affanni trascorsi. Sistemato in cima alla scala su una lastra quadrata trasparente sorretta da supporti ancorati al corrimano rosso che scende dal soffitto, s’incurva e si sfiocca come un nastro (i gradini prefabbricati in cemento, come il portone a impronte e rilievi “OC” li avevamo realizzati, di notte, nello stabilimento di Guerriero Nenna a via Tevere: un’impresa che nel mio ricordo si confonde un poco con le concitate fatiche della fusione del Perseo nella fornace di Benvenuto Cellini viste in uno sceneggiato tv), era così osservabile con la sua pianta a ventaglio da sotto, da chi saliva o scendeva. Fino al giorno del mio pensionamento, senza dubbio, come i frammenti dello stemma di Benedetto XIV e la ricostruzione in gesso, i capitelli romani e la pompa di ghisa a leva per l’acqua con la testa di leone (anche quella) trovati nel parco e i plastici dei piani di zona o della Zona R di Piccinato, Amaturo e Di Cagno o la grande tavola del Piano di ricostruzione colorata a mano da Miretta Cardarelli Priviero. Ed al mio primo tavolo da disegno, dono dei miei genitori il 2 febbraio ’58, per i miei 19 anni, al primo anno di Architettura, un Bieffe con tecnigrafo Zucor. C’erano, parola!
L’abbiamo utilizzato ancora a ottobre del 2015, il plastico dell’Arsenale opera di Massimiliano Ercolani, alla mostra nella Sala Consiliare “Renato Pucci” presso la Sede del Comune di Civitavecchia in Piazza Pietro Guglielmotti, nell’ambito delle celebrazioni per il 400° Anniversario «della prima missione diplomatica giapponese in Italia». L’incontro ufficiale tra le Città gemellate è stato accompagnato da suggestivi cortei, calorosi discorsi, importanti pubblicazioni e molte manifestazioni simpatiche e divertenti. Ma ho dovuto rinunciare al riflesso della pianta berniniana nello specchio. Il tavolo del 2001 era rimasto a Ishinomaki e rifarlo da curatore della mostra ma dirigente pensionato era impossibile. Finiti i dì di festa, tornati al travaglio usato, la mostra è stata smontata, ma i pannelli, portati altrove, sono scomparsi. Così, il plastico dell’Arsenale opera di Massimiliano non è tornato in cima alla scala nel Casale Antonelli, molto cambiato nel frattempo, intristito, spogliato di arredi e di colori, reso ormai un vecchio ambiente burocratico privo della vivacità giovanile e creativa d’un tempo. Specchio, forse di tempi più opachi, poco trasparenti, senza riflessi, intesi – questa volta – quali reazioni alla passività.
Questa, dalla Catalunya a Ishinomaki e da lì al nulla della scomparsa, la storia dello specchio che ho chiamato delle mie trame, non tanto per riecheggiare le “brame” di Grimilde (l’eco è il riflesso del suono) e senza le connotazioni negative del tramare loschi complotti e ordire inganni, ma nel senso della trama di un tessuto o la trama di un racconto, che rispecchia assai meglio il riflettere e l’intrecciare i fili di un disegno, di un progetto, che è espressione di idee. E addolora quando se ne perde l’immagine e il ricordo. «Altro dirvi non vo’», come disse il sommo Giacomo…
FRANCESCO CORRENTI
Oreste (Tino) Martelli Castaldi Duke of Ansedony figlio di Mario autore dello stadio e del quartiere Aurelia.
La mia gioventù.Villa Giuliana alla Punta del Pecoraro accanto all’ideale. E la villa Castaldi lungo l’Aurelia.
I ricordi, ombre lunghe del nostro passato.
Di lui, ora, una piccola urnetta di lamiera rossastra, adagiata in un angolo polveroso.
Vorrei per l’aldilà ideare un fischio, un segnale di riconoscimento fra la calca delle anime inquiete..
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Gentile Carlo Alberto, siamo stati allungo sollecitati a coltivare la venerazione per le urne. In questo culto, metto anche la cultura della ricerca e la coltivazione di memorie con quele di maestri o predecessori nei campi di cui ci occupiamo. Per questo, ho curato una raccolta di documenti che deve essere proseguita e alimentata. Nonostante il mio notevole ottimismo, devo ammettere di cominciare ad avere qualche dubbio sul fatto che questo in cui ancora ci stiamo aggirando sia il migliore dei mondi possibili. Ho dubbi anche e soprattutto sui miei colleghi più giovani, molti dei quali non non li conosco neppure, ed alcuni dei quali – che ho conosciuto – hanno dimostrato di avere idee, metodi e obiettivi molto diversi dai miei. Quindi, anche con tutta la buona volontà di tentare un percorso comune , finché lo si potrà fare, temo che rimarrà una speranza non esaudita…
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