ALMANACCO CIVITAVECCHIESE DI ENRICO CIANCARINI – “Stampe perniciose e sediziose”. Inquisizione ed intellettuali nella Civitavecchia del XVIII secolo. Parte I

di ENRICO CIANCARINI

Dominus ac Redemptor è il Breve emanato il 21 luglio 1773 da papa Clemente XIV con cui ordina la soppressione della Compagnia di Gesù, cedendo così alle fortissime pressioni che gli giungevano da numerose corti europee che da anni pretendevano l’abolizione della congregazione fondata nel Cinquecento dallo spagnolo Ignazio da Loyola. I suoi seguaci si erano ormai affermati come potenza politica ed economica in Europa e nel Mondo. Negli anni precedenti Portogallo e Spagna li avevano già espulsi dai loro territori.

Pochi giorni dopo, il 16 agosto, il pontefice con il Breve Gravissimis ex causis istituisce una commissione particolare formata da alcuni cardinali incaricati di indagare sulla Compagnia e di liquidarla dal punto di vista ecclesiastico ed economico.

Sul Diario Ordinario num. 8512 in data 25 settembre 1773, l’organo semiufficiale che utilizzava la Curia romana per diffondere le notizie al mondo, sono comunicati gli arresti di alcuni padri gesuiti residenti nel Collegio Romano, loro principale sede nella capitale della Cristianità, dove insegnavano ai novizi della loro Congregazione. Fra gli arrestati, è compreso padre Giovanni Battista Faure, teologo romano, lettore ed insegnante di Sacra Scrittura nel suddetto collegio, noto polemista, tanto che alcuni suoi libri erano stati condannati all’Indice, l’elenco dei libri proibiti dalla Chiesa.

Sotto scorta, i religiosi sono trasportati in carrozza a Castel S. Angelo, fortezza e carcere del papa.

Nelle pagine successive del notiziario romano leggiamo che “La seguente domenica dai birri di Campagna fu condotto in Roma da Civitavecchia, per ordine della suddetta Sagra Congregazione, un tal Gio. Antonio Branchi sensale in quel porto, e mercante di libri, il quale venne posto in segreta in quelle carceri nuove, per aver fatto introdurre in Roma delle stampe perniciose, e sediziose”.

È la gazzetta fiorentina Notizie del Mondo nel numero del 21 settembre a mettere in relazione l’arresto del gesuita Faure con quello subito dal libraio civitavecchiese: “Si pretende che detto Faure possa esser compreso ne’ reati tanto del Mercante di Civitavecchia, che del già scritto Sig. Arciprete Catrani”.

Nelle belle e ricche pagine di Gente, personaggi e tradizioni a Civitavecchia dal Seicento all’Ottocento (volume II, pp. 126-127), lo studioso Vittorio Vitalini Sacconi descrive le peripezie e l’arresto del libraio civitavecchiese in quel settembre del 1773. Antonio Branchi fu oggetto di un’accurata perquisizione dell’abitazione e del negozio da parte del Vicario del S. Offizio, il domenicano Raimondo Zolla, accompagnato dal commissario vescovile, dal cancelliere e dal bargello, scortati da una nutrita pattuglia di guardie armate. Nell’occasione furono sequestrate al mercante diverse lettere e carte, furono sigillati “con precetto d’Ordine Santissimo vari cassetti di burò e cantarani”. I giorni successivi a Branchi furono sequestrate alcune lettere di corrispondenza che registravano i suoi contatti con editori e stampatori di Londra, Venezia, Lucca ed altri luoghi più o meno immaginari dove si poteva liberamente stampare quei libri che la Chiesa aveva inserito nell’Indice. Alla porta della bottega del libraio furono posti “biffe e sigilli” ma trovati violati il giorno dopo, il Vicario dispose che la porta fosse sbarrata ed inchiodata. In sovrappiù, fece attivare un attento servizio di vigilanza.

Da Roma giunsero un caporale e cinque sbirri che avevano l’ordine di arrestare e condurre il libraio nella Capitale per essere interrogato sui rapporti che intratteneva con Faure e con gli altri gesuiti. Il suo giovane aiutante fece in tempo ad avvertirlo nella via dei mercanti che gli sbirri lo stavano cercando. Branchi allora si diede alla fuga e cercò rifugio “diplomatico” nel portone del console d’Ungheria Palomba. Questi però non si oppose al suo arresto. L’arresto del libraio civitavecchiese è narrato in alcuni documenti custoditi nell’Archivio Segreto Vaticano consultati da Vitalini Sacconi.

Ugualmente l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF), già Santa Inquisizione, custodisce altre notizie relative al povero Branchi. Vi è custodito il verbale in cui sono registrati l’entrata e il sequestro dei libri nello scalo civitavecchiese.

Il 15 settembre 1773 il vicario civitavecchiese del Sant’Uffizio, il padre domenicano Raimondo Zolla, ordina alla Sanità portuale di sequestrare 12 balle di libri. Dell’incombenza se ne occupa un personaggio a noi ben noto: il sig. dottor Gaetano Torraca, letterato ed archeologo, che Zolla specifica è ben conosciuto da monsignore Stefano Borgia, il Segretario di Propaganda Fide.

Dieci casse sono indirizzate a padre Curti, altro frate domenicano, le quali contengono 200 copie dell’opera di Attone Vescovo di Vercelli pubblicata nel 1768.

Le altre due sono indirizzate al sig. Giulio Capalti, personaggio conosciuto dal Sant’Uffizio.

Nel documento si legge che Torraca “dovrà immediatamente impadronirsene, e alla presenza di testimoni formar atto giuridico sulla provenienza, e direzione di esse, e sulla qualità delle stampe che vi si contengono, e quindi chiuse con suo sigillo le invierà in Roma dirette a Monsig.re Alfani insieme alla copia autentica dell’atto sopraccennato. Così vuole Nostro Signore, i supremi comandi del quale eseguirà ella esattamente

E cosi nella Capitale arriva il corpo del reato. Il Diario Ordinario num. 8516 in data 9 ottobre 1773 informa i suoi lettori che “Sabato della passata, proveniente da Civitavecchia, arrivarono in questa Dogana di terra, scortate da soldati, due balle di libri, già sequestrate in detta città ad un tale Gio. Antonio Branchi sensale in quel porto, e mercante di libri, che tuttora ritrovasi in queste carceri nuove, per ordine della Sagra Congregazione particolare; dette balle sono state trasportate nell’abitazione di monsignore Alfani assessore della medesima Congregazione”. A Firenze, Notizie del Mondo scrive che giunto il carretto di libri da Civitavecchia e scaricati in casa di monsignor Onofrio Alfani, per Roma “si sente che vadano sempre più a dilucidarsi, ed aggravarsi le inquisizioni dell’ex gesuita Faure, e del libraio Branchi”.

Di quali reati sono accusati i padri gesuiti, come Faure e Catrani, e il libraio di Civitavecchia? Fra i gesuiti arrestati a Roma c’è padre Orazio Stefanucci (morto detenuto a Castel S. Angelo) sospettato di essere l’autore di un libello clandestino intitolato Simoniaca electiones Clementis XIV in cui si accusano alcuni cardinali di essere stati corrotti per eleggere pontefice il frate minore conventuale Giovanni Ganganelli. In quei giorni di ottobre, anche il giornale madrileno Mercurio Historico y Politico, citato dallo studioso Enrique Gimenez Lopez, parla delle perquisizioni avvenute a Roma e a Civitavecchia alla ricerca di questo fantomatico libello in cui si accusa il papa di essere un fanatico e visionario e si profetizza la sua prossima morte. Si asserisce che lo scritto diffamatorio sia stato stampato a Lucca, poi trasportato a Livorno e da qui, via nave, scaricato a Civitavecchia, a disposizione dei clienti del libraio Branchi che aveva intenzione di spedirlo a Roma.

La verità è che questo opuscolo non esiste negli inventari on line delle biblioteche italiane o in quello ricchissimo della Biblioteca Apostolica Vaticana. Padre Stefanucci nel 1760 aveva scritto su commissione del cardinale di York una dissertazione canonica intitolata De Electione simoniaca. Il segretario della Congregazione particolare, monsignor Macedonio, anni dopo confessò: “Corse voce per Roma che era stata stampata un’opera De Simoniaca Electione e volevasene da alcuni autore il P. Stefanucci. Questo fu il motivo di far carcerare Stefanucci. Ma per diligenze fatte fare in tutta Europa non si è potuto trovare questa stampa, né nelle carte dello Stefanucci si è trovata cosa, che avesse rapporto a quest’opera”.  Padre Faure dai suoi carcerieri invece si sentì dire che il suo arresto era stato disposto per paura che potesse scrivere contro il Breve di soppressione e la figura del papa.

Anche lo studioso spagnolo scrive che nel mese di ottobre furono intercettate nel porto di Civitavecchia dalle guardie del Sant’Uffizio alcune casse di libri stampate fuori Roma e considerate “perniciose e sediziose” dall’autorità religiosa. Il vicario civitavecchiese del Sant’Officio era informato che Branchi era uno dei fornitori di padre Giovanni Battista Faure, per l’acquisto di libri stampati fuori lo Stato della Chiesa. L’acceso polemista della Compagnia di Gesù era ben conosciuto dai frati domenicani perché nel passato li aveva violentemente attaccati nelle pagine del Commentarium in bullam Paulum III “Licet ab initio” datam anno 1542qua Romanam Inquisitionem constituitet eius regimen non regularibussed clero seculari commisit… Accessit appendix historicotheologica de proscriptione sub annum 1725extorta contra Duacenam Sanctae Romanae Sedi addictissimam, s.l. 1750.

Giuseppe Pignatelli, curatore della scheda sul Dizionario Biografico degli Italiana DBI (1995) dedicata al teologo gesuita attesta che “La tesi del Faure, di netto radicalismo, è che fosse stato un grave errore (in contrasto con l’intendimento originario di Paolo III) l’aver affidato l’Inquisizione a un Ordine religioso: ciò aveva provocato la crescita di potere dell’Ordine domenicano a scapito degli altri Ordini regolari. Nel ripercorrere rapidamente la storia del tribunale dell’Inquisizione, il Faure rimproverava ai domenicani numerosi episodi di imprudenza e faziosità, che avevano avuto come risultato il discredito della S. Sede e delle stesse congregazioni del S. Uffizio e dell’Indice”.

Non era la sola opera scritta da Faure polemica nei confronti dei Domenicani, che certamente non nutrivano stima verso di lui e verso chi fosse suo amico o fornitore, come il mercante Branchi.

È interessante notare che le vicissitudini del libraio civitavecchiese hanno vasta eco nei giornali italiani e stranieri. Il suo arresto e il sequestro dei libri a lui destinati sono oggetto di documenti custoditi nei due principali archivi vaticani dell’epoca a testimonianza dell’importanza attribuita alla questione del fantomatico libello in cui, suo malgrado, Branchi è coinvolto.

Alla fine, il 23 ottobre, il libraio civitavecchiese è rimesso in libertà “Con il precetto De se representando ad omne mandatum, è stato rilasciato da queste carceri nuove, ove era ritenuto, lo scritto sensale, e libraro di Civitavecchia, Gio. Antonio Branchi.

Padre Faure invece rimane detenuto a Castel S. Angelo fino all’agosto del 1775. Scarcerato, si trasferisce a Viterbo dove muore il 25 aprile 1779 ed è sepolto nella Chiesa dei santi Faustino e Giovita.

Continua.

ENRICO CIANCARINI

 

PS: Il 7 agosto 1814 papa Pio VII riabilita la Compagnia di Gesù. Duecento anni dopo, il 13 marzo 2013 il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, appartenente ai chierici regolari della Compagnia, è eletto papa assumendo il nome di Francesco. È il primo gesuita a sedersi sulla cattedra di Pietro.