UMANIZZARE IL CAPITALISMO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

 

Con questo articolo si conclude il breve sguardo sul capitalismo contemporaneo. Siamo partiti dalla “fallacia economicista” per giungere alla possibilità di un sistema possibilmente temperato attraverso l’inclusione dell’economico nel sociale. Gettiamo ora l’attenzione sul processo storico dell’economia civile che sola rende possibile di umanizzare l’economico che ci sovrasta.

L’ALBA INCOMPIUTA DELL’UMANESIMO

L’Italia fu l’età aurea dell’umanesimo civile fra Trecento e Quattrocento: una dimensione orizzontale della società fondata sulla relazionalità. L’uomo è in quanto animale politico. Dunque: l ’Etica Nicomachea fatta rivivere nell’umanesimo civile della Toscana di Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Leon Battista Alberti. Non esiste virtù se non nella vita associativa: il singolo può pretendere di conquistare l’ “utilità”(relazione fra soggetto e cosa) ma mai potrà raggiungere, fuori della comunità, la “felicità” (relazione fra persone).

Tra utilità e felicità esiste un divario . Lo scopo della società e dell’economia ,strettamente incorporata al sociale non è l’utilità, ma la felicità (l’eudamonia aristotelica).

Ma già a partire dalla seconda metà del Quattrocento si assiste all’emergere di un individualismo nel platonismo fiorentino (Pico della Mirandola, Marsilio Ficino). Già l’uomo di Machiavelli è  tutto fuorché sociale: scaltro, ingrato, volubile, dissimulatore, cupo di guadagno, malvagio, timoroso, calcolatore. Il “Principe” dimostra che la socialità non è naturale, al contrario è qualcosa di accidentale, transitorio, esterno all’uomo( è l’anticipazione del “contrattualismo sociale”).

Ma è con la Riforma che si attua il grande stravolgimento. La condizione permissiva che condurrà al trionfo dell’individualismo ed alla “noche oscura del alma” dell’umanesimo civile.

La “sola fide” luterana creò, difatti, le premesse per una libertà individuale che esaltò lo spirito del capitalismo (Weber) ma, soprattutto la Riforma procurò una “eterogenesi dei fini”: si voleva colpire il mercimonio romano e si consolidò invece il capitalismo (Brad Gregory).

Con Hobbes l’homo homini lupus non può far altro che “inventare” il sociale per scongiurare la guerra permanente dovuta alla sua belluina natura (l’uomo è solo egoismo!). La linea di Machiavelli ,irrobustita dall’individualismo luterano-calvinista, trova , così, in Hobbes il suo compimento. Mandenville con il suo appello ,”vizi privati, pubbliche virtu’”, chiarirà come l’economia si fondi sull’egoismo dei singoli. Tutto è pronto per la grande stagione dell’individualismo.

Ma, il fiume carsico della società civile inabissatosi a partire dal Cinquecento riemergerà prima del suo inaridimento contemporaneo. Il suo riemergere avverrà nella stagione settecentesca napoletana e milanese.

LE RADICI MODERNE DELL’ECONOMIA CIVILE

Un fatto tutto italico!

Un paradosso : la felicità vera è far felici gli altri. Ancora una volta il vero fine è la felicità non l’utilità (Chi desidera il bene altrui scopre che la felicità degli altri è la fonte della propria felicità).

Un principio: il valore della persona è il centro dell’economia e del sociale.

Un antefatto: il principio di sussidiarietà (principio base oggi della Comunità Europea).

Un secondo antefatto: il capitale sociale (la fiducia pubblica è un “plus” rispetto alla somma delle singole fiducie private .

Bastano questi cenni a far intuire la costruzione dell’italico edificio della società civile.

Vico , Genovesi, Galiani, Doria, Filangeri a Napoli.

Verri, Beccaria, Romagnosi, Cattaneo a Milano.

 

IL VENTO GELIDO DELLA SCOZIA

Quando il positivismo cominciò a dilagare presto gli economisti italiani cominciarono a prender distanza dai connazionali settecenteschi: troppo etici, poco scientifici. Per Ferrara, Pareto, Pantaleoni, Barone,  De Viti de Marco l’attrattiva anglosassone era troppo importante.

Se con Smith ancora possiamo parlare di una forte presenza delle virtù civili nel mercato è con i suoi successori che si apre il varco a favore dell’acceso individualismo. La lettura fatta su Smith risultò fin dall’origine unilaterale ponendo in auge il self-interest e ponendo in oblio la carica civica dello scozzese. Smith finì per essere considerato dai suoi epigoni solo come il grande iniziatore della identità fra felicità e utilità! (non c’è qui spazio per dire quanto Hegel, nella Filosofia del diritto, abbia influito sullo smarrimento del civile identificandolo con la commercial society: campo di battaglia dell’interesse privato!).

In Bentham la felicità sociale è la semplice somma delle utilità individuali: felicità = utilità.

Dunque, l’economia, come(a torto) pensa da sempre il “senso comune, non ha assolutamente bisogno della socialità perché il rapporto economico è anonimo, strumentale . L’”io” di fronte allo scambio contrattuale non ha un “tu”, il rapporto è spersonalizzato (è il non-tuismo  del Commonsense di  Wicksteed che tanto ha influenzato  l’astinenza dai fini di Robbins).

Ne derivava da tutto questo che l’efficienza non poteva convivere con l’equità. Se si attua l’una non si può attuare l’altra. Tutto l’edificio dimostrativo dell’Economia del Benessere dice, per l’appunto, che la concorrenza perfetta si aggiudica l’efficienza (primo teorema) togliendo fuori ogni giudizio di tipo personalizzato . Solo in un secondo momento può avvenire da parte dello Stato la redistribuzione (secondo teorema) che richiede elementi basati sul “tuismo”, ovvero sulla relazionalità, la giustizia, l’equità sociale.

Di fronte a tutto questo, l’economia civile (facendo eccezione per Smith e per Keynes e la Scuola di Cambridge) veniva nettamente rifiutata in nome di una “asetticità” della scienza economica.

L’economia vuole essere scienza?  Allora deve essere avalutativa!

L’etica delle virtù? Un retaggio medievale, semplice sussulto settecentesco .

Il metodo giusto?  Il metodo matematico innervato nell’economico solo può permettere l’ingresso lecito nel “Circolo Neopositivista” (si pensi all’impresa, di certo gloriosa, della Scuola Marginalista ed al tentativo dell’assiomatizzazione dell’Economia. Nessun dubbio sul salto qualitativo avvenuto nei trattare l’equilibrio dei mercati con la formalizzazione matematica , nonché la massimizzazione di qualche grandezza e, soprattutto, i modelli micro-macroeconomici)

L’EPOCA DELLE PASSIONI TRISTI:  UCRAINA E DINTORNI.

Siamo giunti al termine di questo esame sull’anima torbida dell’Occidente.

La finanziarizzazione dell’economia, l’enorme disparità di reddito tra le classi sociali, la fame del mondo, il deficit di idoneità (fitness) delle persone nel lavoro e nel campo genetico , l’impoverimento antropologico, il martellamento psicologico della pubblicità, la de-localizzazione, le diseconomie esterne, le asimmetrie informative, la selezione avversa, lo spreco, tutto questo è ora posto in ombra dalla guerra che esaspera il contingentamento delle materie prime e procura inflazione (oltre a morti di innocenti e devastazioni).

Ma la guerra  “ guerreggiata ” è solo un altro modo (osceno) di essere del sistema di produzione e consumo del pianeta.

Certo che l’efficienza va mantenuta come il razionale momento del produrre. Il sistema dei prezzi sono l’unico modo che la razionalità può accettare essendo , il prezzo, il “catturatore” dell’informazione esistente di contro alle assurdità antidemocratiche dei prezzi amministrati dal centro.

Certo che i mercati sono il luogo più razionale per la formazione del prezzo.

Ma tutto questo non va in contraddizione con l’equità e la reciprocità.

Di cosa disponiamo oggi, in pieno mercato liberista? Di una somma di individui senza comunità. Una massa di consumatori senza sovranità. Di lavoratori precari, sottoutilizzati. Di cieli sottosti ad inquinamento. Della promessa continua di una squallida “felicità” che i prodotti favoleggiano.

Ciò che si deve desiderare è una alternativa all’attuale capitalismo ma non all’economia di mercato.

Insomma, è possibile “umanizzare” il capitalismo?

Il sistema economico, come si è detto in uno scorso articolo, non può che essere  incorporato nel sistema sociale e ciò significa che necessitano tutti e tre i principi integratori:   CONTRATTO,  REDISTRIBUZIONE, RECIPROCITA’.

Una società fondata solo e soltanto sullo “scambio di equivalenti”(cioè contratto) non è società ma solo somma di individui, somma di consumatori, somma di unità lavorative.

L’economia si può dunque umanizzare!  

Ed è qui che la cultura europea mostra un divario con il mondo americano e con le sue contaminazioni.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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