LA FINESTRA SULLA MARINA

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Sovente, nelle limpide giornate della primavera, il Maestro  chiudendo il libro e sorridendo ci comunicava la più gradita tra le notizie:  “Sospendiamo le lezioni ed incamminiamoci  verso il porto  preparandoci per  un vespertino passeggio onde ricevere  una sana  istruzione marinaresca”.

Ordinati in doppia fila seguivamo la nostra guida in grande allegria. Non appena superata Porta Romana ecco apparire sulla destra lo specchio dell’acqua che lambiva il ventaglio dell’Arsenale  con le sue sei arcate simmetriche che aprono la loro bocca al mare. Ed in alto, a modo di pennacchio, l’arma del Papa  affiancata da festoni .

Vociando pieni di animosa curiosità deviavamo verso la Fortezza ed alla nostra vista apparivano le prime imbarcazioni fitte di cordami e colle vele ammainate nelle alberature e le poppe legate con grossi canapi agli ormeggi. Navigli di tutte le forme e di ogni maniera, umili e dimessi ma anche sontuosi ed imponenti.

Dopo pochi passi , lasciandoci alle spalle il bastione del Forte, entravano in una lingua di pietra in arco di cerchio che, inoltrandosi nell’aperto mare,   terminava con una torre a forma di bicchiere. Quel fortilizio dava il nome a quel braccio a cui corrispondeva un ulteriore braccio verso nord cosicché  il tutto  appariva al nostro sguardo fanciullesco quale  enorme bocca aperta entro la quale le navi finivano per essere ingoiate. Ma c’era un’altra bocca, molto più piccola, che trangugiava navi e che potevamo scorgere da quella torre a forma di bicchiere . Il Maestro ci aveva indicato che attraverso quell’imboccatura si trovava opportunissimo ricetto per le navi : un tempo, difatti, la Darsena, accoglieva il naviglio militare che svernava prima di solcare i mari per dar battaglia.

Ma era l’incontro con una saggio vecchio lupo di mare, seduto quasi sempre sul traversone di legno parte di un affusto adagiato sul selciato del braccio, a destare la nostra massima attenzione. Bombardiere di cento battaglie marine ci scaldava i cuori con leggendarie lotte ed  avventure lontane di quella secolare lotta contro il Turco. Il vecchio bombardiere, Carlo Viola si chiamava, costruiva nel mio animo coi suoi ricordi una passione intensa che mai, dopo quegli istanti, m’avrebbe abbandonato.

In taluni momenti ecco che appariva un distinto signore, alto, dal volto severo ma che rapidamente sapeva volgere al sorriso quando incontrava i suoi antichi marinai che gli cedevano il passo rispettosi come un tempo quando sul cassero della nave egli impartiva gli ordini. Il Comandante Zara era per me, come per gli altri, una riverenza da ammirare.

Mentre sto strappando dall’oblio stralci della fanciullezza, mi trovo  nella mia cameretta nel convento di Santa Maria. Sopra di me la vela del campanile, sotto di me il porto ed il vento marino che respiro con tutta la mia energia in queste giornate di riposo che mi concedo nella mia terra natale. E la fantasia sembra confortata da questo spettacolo che vedo dalla mia finestrella e sogno. Sogno dando vita ai fantasmi che ho saputo rievocare attraverso le mie fatiche bibliotecarie.

Improvvisa, come una inaspettata armonia la mia mente sente frastuoni, ode suoni squillanti, vede un porto che s’è vestito a festa  fitto di colori variopinti.

Ecco Marcantonio vestito di tutt’arme omaggiato dai suoi ufficiali pronti a salpare. Le galee tutte impavesate con ricchi stendardi da poppa a prua e su per le sartie di maestro e di trinchetto quattro sagole con assai banderuole d’ogni taglio e colore.

La mia città sta dando lo slancio alla Capitana, le campane di Santa Maria sono sciolte a gloria a benedire la piccola armata che si farà grande armata a Messina per dar poi battaglia furiosa a Lepanto sotto la benedicente mano della nostra Madre Celeste della Vittoria.

Ed ecco i fantasmi corsari disperati ed infelloniti apparirmi funesti: vedo  Occhialì il feroce  e Dragut lo scaltro e Scirocco e Cicala e Piali ed il Giudeo e Barbarossa , il terribile rapitore della Rossellana. Ma vedo anche spiriti benigni  ed ecco, allora, La Vallette eroe di Malta, Bragadin il martire, il giovanissimo Giovanni d’Austria  e l’imperioso Venier ed i legni  di Marcantonio salpati dalla mia città.

Mia città io ti descrissi quando infuriava tempestosa la procella mossa dalla rabbia del libeccio perché tu assumevi, in quei disastrosi momenti, la veste del sublime.

Mia città io ti descrissi  quando tu, sede permanente della squadra navale, avevi  vestita  a festa la Piazza d’Arme per una nomina che andava onorata con una reale pasciona attraverso un pranzo marinaresco ricco di pesci,selvaggina,polli, risotti, lasagne, ortaglie e grossi calibri di vino.

Mia città io ti descrissi quando tentai di dipingere colle parole le forme del tuo porto, dei suoi bracci accoglienti, dell’isola foranea, della sua antica romanità.

Mia città io ti descrissi per quell’opera berniniana che ti fa vanto. Per le mura del Sangallo che ti fan cinta.

Mia città io ti descrissi quando una povera disperata ciurmaglia tentò ammutinamento

Mia città io ti descrissi quando mi accinsi a produrre la Storia della Marina Pontificia  perché parlando di quella historia io principalmente finivo per parlare di te

Ma, soprattutto, io ti descrissi e ti descrivo attraverso il mio respiro, attraverso il battito del mio cuore che sente e che pensa le cose belle che tu possiedi.  Conservo con me il tuo odore acre, salmastro, legnoso a volte ferroso. Conservo con me la pace interiore che provo quando affacciato in piena notte dalla finestrella di Santa Maria passeggia bruna bruna la navicella del pescatore notturno con la luna che si rispecchia sugli argenti del mare, quando sento il vento che  ronfia  sotto al verone, quando  brilla a misura la luce del faro e scintillano sulle acque quattordici lumiere.

 

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Si può amare di più la propria culla natale?

A Padre Alberto Guglielmotti, primo marinaio d’Italia.

(La modalità della scrittura, alcuni passi  e molti termini marinareschi sono tratti dalle opere e dall’epistolario allo scopo di far conoscere e riconoscere lo stile del Nostro).

 CARLO ALBERTO FALZETTI

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