Almanacco civitavecchiese di Enrico Ciancarini – La dote.

di ENRICO CIANCARINI

Lo statuto medioevale di Civitavecchia, pubblicato dall’Annovazzi, studiato dal Calisse e ripreso da Odoardo Toti, cita la dote in più articoli:

Libro Primo – De Civili

Che li patri matri et avi non possano fare meglior parte ad uno figliuolo che ad uno altro.

XXIIII. [Omissis] le figliole nepote et bisnepote de sexo feminino, ad epse o vero ad alcuna d’epse potranno lassare la dote secundo la conditione et facultà loro o vero alcuno di loro, et si lassaranno la decta dote debano stare contente de tale dote, et più non possano domandare d’essi beni, et si non li lassassero la decta dote siano tenuti li fratelli et li nipoti dare et concedere la dote a la decta figliola et figliole nepote et nepoti et bisnepoti secundo la conditione de le persone et secundo la loro facultà, altramente si la decta dote non concedessero egualmente succedino ne la heredità et partegino loro beni con li maschi; questo capitolo non pregiudicante ne giovante a le donne maritate o da maritare et a le dotate de beni del patre o vero de la matre. [omissis].

Che le femine dotate et discendenti da epse non possano succedere a li fratelli morenti senza fare testamento. XXV. [Omissis]

Che li instrumenti dotali facti per lo passato siano fermi. XXVIIII. [Omissis]

Che la terza parte de la dote remanga ai mariti. XXX. [Omissis]

Libro Secondo – De Maleficii

De la pena de le parole iniuriose. V[Omissis] se le femine tra epse gridaranno dicendosi l’una all’altra parole iniuriose per ciasche parola iniurosa paghino L soldi de le loro dote. [Omissis]

Che lo vicario non tolla delli beni de lo homicida se prima non è satisfacya la donna sua de la dote. XX. [Omissis]

De la pena de li tutori et curatori che maritano le pupille LXVI. [Omissis]

A Civitavecchia la dote matrimoniale per molte zitelle povere è un gradito dono che viene generosamente elargito da istituzioni o enti subordinati all’onnipresente potere della Chiesa. Per celebrare il matrimonio religioso la dote non è richiesta ma la Chiesa per incoraggiare le nozze nelle classi più povere e in seguito poter vantare un credito verso le nuove famiglie delle future spose, favorisce tali erogazioni. Le visite papali, i giubilei e le altre solennità costituiscono il momento favorevole per dimostrare tale generosità verso le classi più umili elargendo le modeste ma essenziali doti che permettono alle zitelle l’acquisto di un modesto corredo e qualche altro oggetto domestico utile ad iniziare la loro frugale vita coniugale.

Nel 1842, in occasione della seconda visita di papa Gregorio XVI a Civitavecchia, la magistratura cittadina assegna dodici doti ad altrettante povere zitelle mentre la Camera di commercio stabilisce di erogare dodici doti da destinarsi “alle 12 fanciulle che nascessero dal dì dell’arrivo” del pontefice (Moroni, 1860).

Sempre la Camera di commercio per celebrare la visita in città del cardinale vescovo Lambruschini, (giugno 1850) emette una Notificazione in cui annuncia che, invece di spendere trecentocinquanta scudi per illuminare il porto, offre tale somma al prelato, che aggiungendo cento suoi scudi, “ha voluto che fosse distribuita in trenta doti di scudi quindici ognuna alle povere ed oneste Zitelle qui appiè nominate, le quali entro un anno a contare dalla data della presente contrarranno matrimonio. Ha ordinato ancora che quelle le quali non lo avranno contratto nel tempo suindicato, decadano dalla concessione della dote, che sarà devoluta a beneficio di alcuna delle supplenti enunciate qui appresso, purché entro l’anno susseguente anche queste siano andate a marito”.

Nel frattempo la somma è depositata presso la neo costituita Cassa di Risparmio di Civitavecchia, attiva da soli tre anni.

Nell’elenco pubblicato in appendice al quarto volume della Storia di Civitavecchia di Toti e Ciancarini, saranno in  molti a trovare il nome di una o più loro ava fra le sessanta zitelle dotate o supplenti, suddivise fra le tre parrocchie di S. Francesco, S, Maria e S. Antonio.

La Chiesa di Santa Maria in Prima strada, distrutta e non più ricostruita, ospitava la Cappella della Confraternita del Santissimo Nome di Dio, una realtà religiosa tipica delle parrocchie rette dai Padri domenicani e oggi non più presente in Civitavecchia. Padre Labat la ricorda nella descrizione della chiesa: “fanno due cappelle a lato del coro, che sebbene piccole sono tuttavia molto comode e molto ben decorate; una è dedicata a Nostra Signora del Rosario e l’altra al Nome di Gesù. È in quest’ultima che i Confratelli del Nome di Gesù fanno i loro esercizi; essi portano delle cotte e dei cappucci di tela blu”. (da F. Correnti e G. Insolera, I viaggi del padre Labat, p.102).

Monsignor Annovazzi nella sua Storia di Civitavecchia dedica alla Confraternita un corposo paragrafo (pp. 283-285). Alcuni membri del pio sodalizio donarono cospicui fondi destinati a sovvenzionare “annualmente con doti sufficienti delle povere e oneste zitelle native in Civitavecchia”. Menziona che nella cappella erano poste due lapidi in ricordo di due confratelli benemeriti: la prima dedicata a Domenico Gatti, l’altra a Erasmo Benci, che la toponomastica cittadina unisce:

Domenico Gatti che tutta la propria vita dedicò al lavoro ed ai poveri, con testamento 11 agosto 1617, disponeva per il conferimento di tre doti annuali di 43 scudi ciascuna a zitelle povere iscritte nell’albo delle Sorelle della Confraternita “Nome di Dio”.

Erasmo Benci, cittadino esemplare, lavoratore infaticabile, con testamento 24 settembre 1646 lasciava il proprio patrimonio, il cui valore attuale ammonta a L. 100.000, per il conferimento annuale di tante doti in ragione di venticinque scudi ciascuna, a zitelle povere nate a Civitavecchia.

(Civitavecchia “Vedetta imperiale sul mare latino”, Cittadini benemeriti, p. 127).

Porta la firma di re Umberto I e di Giovanni Giolitti il decreto del 30 maggio 1892 che stabilisce che “le opere pie dotali Benci e Gatti sono concentrate nella congregazione di carità di Civitavecchia”. Dopo 275 anni, si pone fine all’uso di elargire doti alle povere zitelle di Civitavecchia.

Se per le povere ed oneste zitelle la dote era un necessario e gradito contributo per un più agevole avvio della nuova realtà domestica, per le signorine di buona ed agiata famiglia (borghese o nobile) la dote rappresenta un indispensabile “status symbol” che, come recita il Dizionario Treccani, mette ben in evidenza a quale classe socio-economica si appartiene e quale prestigio sociale si vuole conquistare sulla scena cittadina. Fra le famiglie dei promessi sposi si intreccia una serrata trattativa sul valore economico e sociale della sposa che sarà trasformato in volgare denaro e d’altra parte il futuro sposo dovrà quantificare quale contributo erogherà alla futura moglie per le sue spese. Tutto questo era messo su carta con tanto di timbro notarile.

L’Archivio storico del Comune di Civitavecchia custodisce metri lineari di atti notarili, molti dei quali riguardano proprio la concessione di doti a signorine di buona ed agiata famiglia.

Riportiamo l’inizio di un atto rogato dal notaio (e poeta) Paolo Calisse, padre dello storico Carlo, fra la signorina Teresina Ricci e il suo fidanzato Gustavo Napoleone Bianchelli:

Nel Nome di Dio

Sotto il Pontificato di Sua Santità di N.S. Pio Papa Nono felicemente regnante Anno decimo nono, indizione Romana Ottava

Anno Milleottocentosessantacinque

Il giorno lunedì Cinque giugno.

È desiderio degli egregi giovani Signori Napoleone Bianchelli e Teresina Ricci santificare col matrimonio quel puro amore di che, è già buon tempo, si accesero i loro cuori. Contenti di tale unione il Sig. Bartolomeo Basile zio alla sposa vuole costituirle tale una dote onde il di lui futuro marito possa meglio sopportare i costi matrimoniali. Ha perciò stabilito di assegnare alla suddetta sua nipote a titolo di dote quantitativa la somma di scudi romani Millecinquecento oltre un corredo apprezzato in scudi cinquecento.

E perche tale dotazione risulti da pubblico strumento che per gli atti miei si vuole oggi stipulare.

Avanti di me Paolo Calisse Notaio Pubblico in Civitavecchia con studio sulla Piazza d’Armi nm. 62 ed alla presenza degli indi testimoni abili a norma di legge e come appresso nominati e qualificati.

Sono personalmente presenti il Sig. Bartolomeo Basile del fu Antonio negoziante; il Sig. Giovanni Ricci del fu Tommaso commerciante; la Signora Teresina Ricci di lui figlia; il Sig. Gustavo Napoleone Bianchelli del vivente Sig. Andrea impiegato.

Tutti domiciliati in questa città ed a me benissimo noti i quali di loro spontaneo volere ed in ogni altro modo migliore approvano e ratificano, confermano quanto si è detti nella narrativa, e che qui vogliono ed intendono sia ripetuto e trascritto, ed in funzione della stessa cosa.

Il sullodato Sig. Gustavo Napoleone Bianchelli e Teresina Ricci previo il consenso dei rispettivi loro genitori si danno fede scambievolmente si promettono, volendolo Dio, di congiungersi in matrimonio celebrandolo secondo i riti e le prescrizioni del  Concilio Tridentino quale matrimonio dovrà però effettuarsi, e celebrarsi al termine di anni tre decorsi da oggi […].

 

Leggendo questo contratto dotale, osserviamo che la dote serve a sollevare il futuro marito dai costi derivanti dal matrimonio. Lo zio Bartolomeo Basile costituisce all’amata nipote una dote complessiva di duemila scudi romani. Per farsi un’idea sul valore del dono, diciamo che uno scudo romano nel 1866, anno successivo all’atto, è sostituito dalla lira pontificia con un rapporto di 1 a 5,375. La lira del papa ha lo stesso valore di cambio della lira di re Vittorio Emanuele II, pertanto attualizzando la cifra abbiamo un valore attuale di euro 55.000 circa. Un bel regalo di nozze. 

In caso di una dote non adeguata al costo del matrimonio, c’è il rischio che lo sposo e la sua famiglia denuncino i genitori o i parenti più stretti della sposa.

È quanto accade ad una delle famiglie più ricche e importanti di Civitavecchia: i Guglielmi.

Nel 1836 Giulio Guglielmi muore a Roma. Lascia cinque figli: Vincenza, Rosa, Benedetto, Felice e Giacinto (che muore quello stesso anno). Le due figlie, anche se maggiorenni, sono affidate alla tutela legale dello zio materno Giovanni Francesco D’Ardia (Diario di Roma del 24 marzo 1836 in cui si annuncia l’apertura e confezione dell’inventario dei beni del defunto padre).

Quattro anni dopo, veniamo a conoscenza dal Giornale del Foro in cui si raccolgono le più importanti regiudicate de’ supremi tribunali di Roma e dello Stato pontificio in materia civile, che “Antonio Cortesi e Rosa Guglielmi coniugi, non che Filippo Cortesi, padre dello sposo non contenti della dote che il fu Giulio Guglielmi aveva costituita alla figlia, citarono i fratelli di lei innanzi il tribunale di prima istanza di Civitavecchia per sentir ordinare che venisse costituita consegnata e pagata la dote in quella somma che di diritto e per legge sull’asse patrimoniale del comun genitore e compete all’istante”.

Il Tribunale di Civitavecchia nel 1839 affermò che gli attori della causa, i Cortesi mercanti di campagna come i Guglielmi, dovevano essere contenti della dote costituita dal padre della sposa, Giulio. Da lì si diede inizio ad una serie di appelli e contrappelli, raccontati in quelle dotte pagine e, per quanto compreso dallo scrivente, i fratelli Benedetto e Felice alla fine vinsero la causa. 

Dal Codice Civile del Regno d’Italia emanato nel 1865:

Articolo 1388. La dote consiste in quei beni che la moglie od altri per essa apporta espressamente a questo titolo al marito per sostenere i pesi del matrimonio.

Articolo 1399. Il solo marito ha l’amministrazione della dote durante il matrimonio.

Egli solo ha il diritto di agire contro i debitori e detentori della medesima, di riscuoterne i frutti e gli interessi, e di esigere la restituzione dei capitali.

Ciò non ostante può convenirsi nel contratto di matrimonio che la moglie riceverà annualmente, sopra semplice sua quietanza, una parte delle rendite dotali per le sue minute spese e pei bisogni della sua persona”.

Centodieci anni dopo, nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia, la Repubblica Italiana dispone con il nuovo Codice civile il divieto di costituzione della dote (articolo 166 bis).

ENRICO CIANCARINI

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