“LA CITTA’ INVISIBILE” A CURA DI ROSAMARIA SORGE –  Comunità di vicinato: il cohousing

di ROSAMARIA SORGE

Quando ero piccola nella grande casa dei nonni che si sviluppava su più piani, convivevano le due  sorelle di mia nonna zitelle  in un  appartamento ricavato in uno spazio a cui si accedeva da un  pianerottolo  di ingresso secondario, lo stesso che conduceva al piano sottostante,  dove c’era l’appartamento del fratello sposato ma che a sua volta aveva una entrata principale sulla strada parallela; vi abitava sebbene in maniera discontinua  anche uno zio prete in un piccolo appartamento ricavato all’ultimo piano; per circa  quattro anni miei nonni hanno ospitato la figlia piccola, appena sposata, ricavando un mini appartamento al primo piano, smantellando la piccola cappella che si trovava a destra del pianerottolo di ingresso, dopo una prima rampa di scale, e utilizzando il  salotto buono, poco usato;  del resto la vita  si svolgeva  prevalentemente al secondo piano dove c’ erano le camere da letto, i bagni, le cucine, lo studio del  nonno, la camera da pranzo e uno spazioso soggiorno, oltre ad un certo numero di ambienti di servizio, il tutto di vaste proporzioni che avrebbero potuto tranquillamente ricavare altri due piccoli appartamenti, se avessero voluto, visto che delle 5 grandi camere da letto ormai ne serviva solo una o tuttalpiù due. Potremmo descrivere tutto questo come una forma arcaica di cohousing perché nello svolgimento della vita quotidiana si ritrovavano tutti nello spazio comune del soggiorno o della stanza da pranzo  o a godere della bella terrazza col glicine che si era portato via un pezzo di parapetto.

 Il cohousing non è una utopia ma un modo di vivere che si è sviluppato ormai in tutto il mondo e che ha avuto la sua prima formulazione in Danimarca negli anni 60. Il cohousing ha fatto ultimamente molta strada tra i vari modi di abitare perché soddisfa le esigenze di più generazioni favorendo la socialità, diminuendo lo  stress del vivere contemporaneo e riducendo alcuni costi di gestione

 Anche da noi, nella nostra città, il tentativo di creare all’interno di alcuni immobili che fosse anche solo una stanza in comune da utilizzare per le riunioni condominiali o per feste e ricorrenze poteva considerarsi un timido tentativo, forse inconscio di cohousing ma si è rivelato fallimentare e nella maggioranza dei casi quegli spazi sono stati o fagocitati dagli appartamenti limitrofi o lo stesso costruttore vi ha  poi ricavato un mini appartamento.  Del resto non possiamo non ritenere fallimentare il tentativo del Corviale di creare addirittura un intero piano per la condivisione di attività comuni che si sono nella realtà trasformati in luoghi di spaccio e delinquenza, lo stesso è successo allo Zen a Palermo. Ora, evitando di affrontare analisi di carattere sociologico che non mi competono, anche se non posso tacere una considerazione legata al fatto che queste  furono iniziative calate dall’alto, va sottolineato il fatto che in altre parti del mondo e anche in altre parti di Italia quella del cohousing   è una storia di successo e  in  grande sviluppo;  vorrei allora soffermarmi sugli aspetti più rappresentativi e tecnici di questa scelta di vivere insieme, dove insieme non significa tutti in una grande casa ma in appartamenti separati condividendo una serie di spazi comuni.

Alla base di questa scelta si pone una progettazione partecipata finalizzata alla creazione di una “ comunità di vicinato con i quali condividere un sistema di valori che li porta a scegliere quali spazi condividere e in che forma. La progettazione partecipata, in quanto condivisa da tutti nelle scelte operative, porta un sentimento in più nelle relazioni e nella gestione di tutta l’iniziativa. Spesso al cohousing si affianca anche la creazione di gruppi di acquisto solidali, ma anche il carsharing con conseguente grande risparmio non solo economico per la “ comunità di vicinato” ma anche di contenimento degli sprechi energetici diminuendo l’impatto ambientale. Non serve sottolineare come sia un sistema di grande aiuto   per le persone anziane che si sentiranno parte di una comunità.

Saranno i partecipanti all’iniziativa che decideranno cosa condividere, uno spazio giochi per i bambini , la lavanderia, la palestra, spazi comuni per eventi e riunioni, spazi giardinati, spazi didattici, la realizzazione di una piscina o addirittura una piccola spa  e in molti casi  anche le cucine. La gestione, una volta che il complesso è realizzato, è collettiva senza gerarchie; in Italia esistono molte organizzazioni riunite in una rete nazionale che si occupa di iniziative in questo settore. Il saper vivere in maniera collaborativa e il sapere mantenere rapporti di buon vicinato devono essere alla base di questa esperienza che  non viene calata dall’alto ma nasce dalla volontà di gruppi di persone che si riuniscono e danno vita al progetto mettendo al centro le relazioni interpersonali, nella prospettiva di creare una comunità inclusiva e solidale; ed infatti oltre alla condivisione degli spazi si è chiamati a svolgere a turno servizi utili alla comunità, come occuparsi di bambini, anziani e animali domestici, fare la spesa, occuparsi della manutenzione del complesso, in una logica di mutuo sostegno. Una delle più famose comunità si trova a Vienna dove nacque in seguito all’occupazione da parte degli studenti di architettura dell’Università ma che ebbe poi l’appoggio della Pubblica Amministrazione. Gli spazi riorganizzati furono adibiti ad abitazioni per gli studenti, per gli anziani e per i senzatetto. In una Nazione come l’Italia, dove il Welfare lascia non poco a desiderare, questa rivoluzione che è principalmente culturale merita di essere portata avanti. Certo il sistema italiano, incentrato su una burocrazia difficile e sulla mancanza di coordinamento tra i diversi attori pubblici e privati non rende le cose facili, ma l’esistenza di una rete che riunisce le varie associazioni aiuta a innescare questa rivoluzione dell’abitare che sembra essere la migliore soluzione all’ansia, allo stress e al costo  delle nostre vite.

ROSAMARIA SORGE

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