“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – NAZIONALE:  PIÙ’ DOLORI CHE GIOIE.

di STEFANO CERVARELLI

Oggi vogliamo parlare di calcio? Ma si parliamone!

E di che parliamo?

Beh, gli argomenti, specialmente in questi ultimi tempi, non mancano.

Ritengo, però, che due parole (o forse quattro, o forse anche…….otto) vadano dette sulla Nazionale italiana di calcio, delizia e croce (in rigoroso ordine temporale) di un Paese intero, di un popolo pronto ad osannare – anche senza palme – al passaggio in pullman scoperto  per le vie della capitale gli eroi di Wembley per poi, non molto tempo dopo, condannare gli stessi alla messa in croce mediatica, con rapidi processi (ah! vantaggio dei social: ti permette di instaurare un processo senza bisogno di un collegio giudicante, vale a dire l’applicazione populista del giudice monocratico).

Però.. però a differenza di un altro illustre predecessore, al quale fu riservata una messa in croce senz’altro più dolorosa, devo dire che la“ sommossa popolare” in questa occasione una qualche giustificazione ce l’ha, perché il popolo osannante, che intravedeva già maggiori glorie e in Roberto Mancini il predestinato capace di rialzare il nostro calcio dalla polvere in cui era caduto, improvvisamente si è ritrovato vittima di una macroscopica delusione, con la polvere trasformata in fango.

 E la domanda ancora oggi è sempre quella: ”Ma come? Come perdere contro la Macedonia del nord e non andare quindi ai mondiali?” e poi ancora: “Come è stato possibile che questa sciagura sia capitata alla squadra campione d’Europa? In grado di giocare il miglior calcio degli ultimi anni, dominatrice assoluta, titolo conquistato vincendo tutte le partite per giunta battendo gli inglesi a casa loro?

Qualcosa è successo, ma cosa?

E’ bastato meno di un anno perché “gli invincibili” (senza esagerazione) all’apice della loro magnifica primavera calcistica, quando il sogno di conquistare il vessillo di padroni del mondo (calcisticamente parlando)  sembrava non più irrealizzabile, si sono improvvisamente afflosciati lasciando tutti sgomenti, al pari di una eccellente cuoca che convinta di aver preparato il suo migliore soufflé per gli ospiti, lo vede improvvisamente ripiegarsi se stesso, costringendola ad una veloce telefonata alla tavola calda più vicina; per gli azzurri però neanche il conforto di una pizzeria nelle vicinanze.

Sogni, speranze, illusioni andate in fumo nella notte di Palermo, quando a pochi minuti dal termine, senza vergogna o timore reverenziale, la Macedonia del Nord ha messo a segno il goal più storico della sua e della nostra storia calcistica.

Ci siamo trovati in uno stato quasi di ipnosi generale, in uno stato surreale perché nella squadra stava vivendo  una furibonda lotta tra  potenza e decadenza, un corpo animato  da vite diverse, campioni d’Europa, ammirati per il gioco da tutto il mondo, incapaci di trovare un argine alla decadenza che  stava avanzando fino all’estrema conseguenza: sconfitti da una compagine che, con tutto rispetto, vale una nostra normale squadra di serie A, se non una delle migliori di serie B.

Vivevamo una “ tragedia” impensata: fuori dai Mondiali per la seconda volta consecutiva, eliminazioni resa ancora più cocente se si pensa a come sono arrivate, per poi arrivare a dire quali differenti reazioni queste hanno suscitato.

Nel 2018 ci giocammo la qualificazione perché contro la Svezia in due partite  la squadra di Ventura non riuscì a fare un gol. Seguirono moti di piazza con richieste di ogni tipo, tra le quali il primato apparteneva al” cacciatelo dall’Italia!”(naturalmente dopo le più “colorite“ frasi rivoltegli).

La seconda bocciatura ai Mondiali è quella di cui ho appena parlato. Doveva essere una pura formalità  visto anche il cammino iniziale: è finita come si sa.

Ma il punto è: perché siamo arrivati a giocarci, seppur contro un avversario ampiamente alla nostra portata, la qualificazione in una partita da vincere assolutamente? Voi forse non vi renderete conto dietro questa definizione ”vincere assolutamente” quanti pericoli, quanti trabocchetti ci sono. Da allenatore ho vinto partite impensabili, e perso partite il cui unico scopo era quello di far giocare le seconde linee, cosa, visto l’andamento della gara, rimandata a migliore occasione

Ma perché dicevo, arrivare a questa partita del dentro o fuori? Le condizioni per evitarlo c’erano tutte; girone agevole, dove l’unico ostacolo era rappresentato dalla Svizzera, inizio scoppiettante poi, nel secondo ciclo di partite disputatesi dopo l’Europeo, la bella favola dell’Italia racconta di un gruppo di baldi atleti e della loro guida che si inoltrano nel sentiero più buio della foresta.

E, in questo buio, annaspiamo contro la Bulgaria non riuscendo a farle un gol, incontriamo la Svizzera e nel duplice confronto “evitiamo” la vittoria sbagliando due rigori, uno per partita.

Ma il destino è benevolo con noi e ci offre ancora una possibilità: basta vincere contro l’Irlanda del Nord, impresa certamente alla portata dell’Italia europea, ma questa non ci riesce, e quindi eccoci  condannati allo spareggio. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo quando vediamo l’entità dell’ostacolo che ci sbarra la strada verso il Qatar…

Parliamo d’altro.

La vittoria degli Europei, che mancava dal 1968, accompagnata dal bel gioco e dal modo scintillante in cui questa è arrivata-non dimentichiamo che in finale abbiamo sconfitto gli inglesi a casa loro-e le prospettive più che rosee che apparivano all’orizzonte devono sicuramente aver fatto dimenticare  che il nostro calcio azzurro non è dal dopo Londra 2021 che sta in crisi, bensì dal lontano 2006, cioè dall’ultimo titolo mondiale vinto, dopo è stato un continuo inesorabile susseguirsi di fallimenti.

Rivediamo brevemente questo scorcio di calcio azzurro partendo dal primo mondiale degli anni 2000.

Quell’edizione si svolge  in  Asia tra Corea del Sud e Giappone, negli ottavi incontriamo i coreani, tra le due squadre esiste un enorme divario tecnico che viene compensato, però, dall’arbitro Moreno che ci annulla un gol regolare nei supplementari (avremmo vinto perché c’era il golden goal e poi inventa letteralmente l’espulsione di Totti) finisce che il gol lo fanno i coreani e noi siamo eliminati.

Nel 2006, ai Mondiali in Germania, diventiamo campioni del mondo, superando prima la Germania e poi in finale la Francia ai rigori: il compito ci viene agevolato dall’improvvisa, ingiustificabile testata data da Zidane a Materazzi.

Da qui, sedici anni fa, inizia la storia buia della nostra Nazionale.

L’edizione del 2010, disputatasi in Sud Africa, vede gli azzurri, guidati ancora da Lippi, per la prima volta chiudere una fase finale senza nemmeno una vittoria; arriviamo ultimi di un modestissimo girone dove c’erano Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia: pareggiamo contro le prime due e perdiamo contro gli slovacchi.

Mondiali 2014. La nostra Nazionale, guidata da Prandelli, è inserita nel girone comprendente Inghilterra, Paraguay e Costa Rica, dando per scontato il passaggio degli inglesi, la lotta per il secondo posto è tra noi e il Paraguay, bene, perdiamo tutte le partite, nell’ordine: Costa Rica,  Inghilterra e poi quella decisiva contro il Paraguay, dove c’è il famoso episodio del morso dato da Sanchez a Chiellini.

Per la seconda volta non superiamo neanche il girone eliminatorio. Però, diranno molti, ai Mondiali ci andavamo, poi…..Delle ultime nostre esclusioni ho già parlato, vorrei sottolineare soltanto la diversa risposta che si è data alle due esclusioni.

Giancarlo Ventura dovette subire le peggiori accuse, da responsabile unico della Nazionale, diventò il responsabile unico della …. italica vergogna e venne  costretto ad “esonerarsi” e senza tanti complimenti.

La nostra recente eliminazione, senz’altro più grave, non ha lasciato vittime, se non sparsi per l’Italia, i frantumi delle speranze e i frammenti, ancora visibili, di illusioni.

Il ceffone datoci dai macedoni non è stato certo meno violento di quello inflitto da Will Smith a Chris Rock alla recente cerimonia della consegna degli Oscar, ma come, alla fine, non successe nulla là, così alla fine non è successo nulla qua.  Oltre che non c’è nessuno che paga, nessuno si preoccupa di guardare il conto sul tavolo.

Se l’eliminazione del 2018 fu vissuta come un’Apocalisse, l’ultima  debacle azzurra  è stata fatta passare come una “nuvoletta” nel cielo limpido e azzurro, dove ancora risplendono  gli ultimi bagliori dei fuochi d’artificio della notte di Londra. Ma è possibile?

Dimissioni del Presidente Gravina? Ma che scherziamo? Anzi l’aveva addirittura preannunciato che non  l’avrebbe fatto e quindi come poteva di conseguenza esonerare Mancini il quale, tra l’altro, si è sentito ancora necessario alla causa azzurra; certo non sono gli ultimi  errori a dover essere il metro di giudizio del suo operato, certo non si pretendevano crocifissioni, richieste di messe al rogo (già sentite con Ventura), ma perlomeno un minimo di sensibilità istituzionale da parte del C.T. e del capo del Club Italia  non avrebbe guastato; ma, mi chiedo, tra il processo in piazza (leggi sempre Ventura) e la più assoluta autogestione del movimento azzurro, con tanto di “ego me absolvo” ci sarà stata pure una via di mezzo?

L’archiviazione rapida della pratica mondiali si spiega, ma solo in parte, con il credito dell’Europeo vinto, che ha finito per funzionare come un ricordo lenitivo.

Quello che, a mio parere, dovrebbe preoccupare maggiormente è l’attuale assuefazione alla mediocrità,  che si registra non solo nel calcio; qui, per rendersene conto, basta ascoltare certe telecronache e l’enfasi che viene riposta in gesti ed azioni che una volta rappresentavano la normalità.

A proposito racconto un brevissimo episodio. Nel 1970 la nazionale di Valcareggi, al ritorno dal Messico, fu accolta da una violenta contestazione perché colpevole di aver perso, in finale, contro il Brasile di Pelè, ripeto: in finale contro il giocatore più forte di tutti i tempi, e non ai play-off contro la Macedonia del Nord; si vuole andare ancora più indietro basta ricordarsi dell’accoglienza riservata alla Nazionale, dopo la famosa sconfitta contro la Corea… nel 1966.

Non è accettabile che venga considerato normale che in questo primo scorcio di secolo abbiamo dovuto per la stragrande maggioranza delle volte  assistere ai mondiali dal divano.

Non è poi neanche accettabile che campioni di un recente passato, ma anche del presente, insorgano contro la formula definendola sbagliata perché non permette alla squadra campione d’Europa di accedere direttamente alla fase finale. Se si riteneva tale formula sbagliata bisognava dirlo con chiarezza prima, ignorando, tra l’altro, che la partita secca l’Italia l’ha persa in casa dopo averne pareggiate quattro su otto in girone non certo impossibile.

Recriminare dopo, come si sta facendo, ci espone solo ad un’ulteriore brutta figura: quella degli italiani piagnucoloni che non sanno perdere.

La prossima edizione dei Mondiali vedrà alla fase finale 48 squadra anziché le 32 attuali.

Con i risultati ottenuti nelle ultime qualificazioni l’Italia rimarrebbe fuori ugualmente.

Credo che sia il caso di pensarci ampiamente per tempo.

Ma cosa ha bloccato quello che sembrava essere un perfetto meccanismo messo in atto dai ragazzi di Mancini?

Il senso di rispetto che ho per chi mi legge e che mi porta a non abusare della sua pazienza, fa sì che, dopo questa chiacchierata, rimandi la discussione tecnica ad  un altro momento.

STEFANO CERVARELLI

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