ANGELINO MON AMOUR
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Giunto ben oltre la mediana della mia vita mi accingo a cantar delle gesta di chi fu un tempo chiamato Angelino ma, in verità, il suo nome adera Angelo Perisee!
Correvano gli anni sessanta.
Non è la prima volta che ne parlo, tempo fu che mi cimentai sull’uomo. Ritorno ora con passi tardi e lenti a riproporre il canto mutando lo stile ed il verso che lo comanda.
Sarò io all’altezza di tale anelito?
Alla misericordiosa benevolenza del mio lettore io mi appello e, lesto, passo a narrar quel che memoria ancora mi offre.
Era costui iscritto al Partito Comunista Italiano da sempre, diciamo ben prima del parto materno, anno in più , anno in meno.
Un giorno, quando Angelo era in piena maturità venne a lui avanzata formale richiesta se fosse il suo comunismo di rito “cinese” (ovvero maoista). Rapida ne fu la risposta e dal labro ne uscì questa sentenza:
‒“ Ma li mortacci tua adè dar ventuno che so cinese. Dar ventunoooo!!
Saccenti e pedanti compagni di partito avevano allora immediatamente posto un punto di domanda circa l’anno adducendo il fatto che quella data non poteva essere tale. Dati storici alla mano Angelino fu investito da una drammatica risposta:
‒“Angelì, ma che caz..diche? ’ nder ventuno in Cina ciaderino le Mandarineee! Tua e der tu nonno.”
Futili, disutili e ”dannarole” domande che lasciavano il tempo che trovavano data la granitica fede del Nostro. “Vivi e lascia correr, non ti degnar di loro e passa”, gli suggeriva il core.
Ma non di rado la noia, che attanagliava le anime sonnolenti dei portuali nel meriggio primaverile di Piazza Regina Margherita, veniva combattuta ricorrendo allo scherno, ai frizzi, ai lazzi. Sovente il motteggio avea di mira Angelo che già accennava cenni di pomeridiano etilico rullio quando uscito di casa dava corso al noto principio post prandium lento pede deambulare. Raggiunta la Compagnia Roma ecco la masnada appropinquarsi e far di circolo sulla vittima, così apostrofandola ingiuriosamente :
–“ A’fascistò. Ahoo, ma ‘ndo a’ messo er fezze? Addavenì Baffone p’ acchiappà tutte le fasciste com’a te!”
L’ingiuria!
Offesa fatta al decoro altrui. Ma ancor più all’onore. Ad Angelino dare del fascista? Tutto si puote ma il limite non si pole oltrepassare. Circondato ma non fiaccato, ancor saldo sulle gambe Angelino con garbo solea rispondere:
–“A schifoso ma ‘nte ricorde che ‘ncartave le camice nere a ‘o spaccio de le esse esse? Li mejo de li mortacci tua e de la tu matre!”
Angeliniane accuse pesantissime da portare tosto al necar se stesso da parte dell’improvvido avversario.
In termini meramente di procedura penale Angelino intendeva puntualizzare nei confronti dell’ingiuriante :
- primo: l’accusa di interpretare il ruolo infamante di “commesso” nella vendita di “camice nere”.
- secondo: l’accusa che la vendita di tale mercanzia avvenisse in ambienti non del tutto consoni all’ideologia del momento!
Ma proseguiamo oltre…..
Nelle tormentate nottate invernali quando la tramontana rinfacciava dando non requie alle stanche ossa osservavi spuntar dall’oscuro vicolo, prima del tocco notturno, Angelino e Mameli. Era forse costui un lontano discendente dell’autore dell’italico strofico canto? Chi può dirlo? Né lui né alcuno potrà tanto.
Arrancavano rullanti e traballanti, ballottati a destra e manca, beccheggiando da poppa a prua, fermandosi di tanto in tanto per accennare un ragionamento che quasi sempre avveniva con gesti senza che niuna parola potesse sortire dalle bocche impastate.
Ma Mameli quasi sempre riusciva a motteggiare concetti obbligando Angelino all’ascolto intenso. Intenso, dal momento che il fiato mamelico spirava a pochi centimetri dalla “recchia” dell’amico.
–“ Chi è l’omo? Dimme a me: chi see tu, omo? Lo sae tu? Risponne. Omo chi see tu?……Te lo dico io chi è l’omo!……
….. L’omo adè un essiri. Un esseri è l’omo. Ecco …. L’omo è un essiri. Chiaro? Pitela ‘nder cu…”
Quanto percorso l’umano sapere ha sudato invano. Quanti secoli di energia gettata al vento. Il logos, Parmenide, Platone…quanto vino versato in terra! L’uomo è un Essere, questo il mistero che veniva svelato. Così Mameli profetava, sintetizzando in succinta frase, secoli e secoli di affanni inutili .
Proseguiamo……
Fu nel corso di una di queste traversate notturne che i due si appropinquarono alla casa di Angelino. Quest’ultimo rapito da un sentimento di benevolenza rampollò l’idea di far riposare quella notte Mameli nella sua magione. L’impresa tuttavia poteva aver buon fine solo se fosse stata superato quell’ostacolo rappresentato dall’azione di reperimento della chiave e, successivamente, dall’azione di una felice introduzione della stessa nella dannata introvabile serratura.
Per il rispetto del lettore tralasciamo la descrizione del tempo trascorso, ignoriamo, di proposito, le azioni intraprese e quelle interrotte, dimentichiamo gli improperi ascesi, cum gaudio magno, verso i cieli dell’empireo e giungiamo al sodo. Alfine la chiave maramalda penetrò, dopo vari assalti, la fessura e ciò permise che la porta si aprisse.
Dura impresa fu poi Il varco dell’uscio ma la coppia, anche colà, ne uscì vittoriosa giungendo ai limiti della camera da letto ove, dormiente, si pensava fosse assisa la coniuge del Nostro.
E lei lo era, in verità!
Ma, le natiche che essa offriva allo sguardo, offuscato ma comunque vigile dei due, non palesavano qualcosa che avesse a che fare con il femmineo, rotondeggiante, pallido, glabro deretano di una signora pur di matura, ma non devastata , età.
L’occhio ormai abituatosi all’oscurità e lo spirito etilico degradato a leggera euforia permisero ai due di scrutare sul letto un villoso fondo schiena adagiato comodamente sulla vasta corposità della signora titolare del giaciglio.
Ed ebbe così inizio, dopo il prologo, la parodo con l’entrata ardita del coro a due voci: strofe ed antistrofe.
Strofe
Oh, che cosa io vedo? Un dolore nuovo s’abbatte sulla mia casa? Quale sventura io debbo immaginare ancora?….
( Oh pardon! I lettori mi scusino. Ho totalmente errato registro. Riprendo la giusta via!)
–“Ahooo! Ma che caz..sta’ fa? Ma chi see? E’ mò cadè sto culo novo? ,acci tua, ma dan’ do venghe?”
‒“Angelì carmite!… L’omo adè sempre un esseri….. Omo chi see tu?”.
‒“ Ma che sta’ a dì!….Zittite! Un cortello, damme er cortello che lo scanno come er majale. Er cortelloooo. Dio di qua. Dio di là!”
Quale antistrofe potrebbe essere meglio elaborata se non quella che il Mameli, di metafisica maestro, ebbe a dire con il seguente motteggio:
‒“Angelì, ma quale cortello. Ma ‘ndo vae? Ahoo,ma daje ….. de’ cornaaa !!”
Proseguiamo.
Remando andava una mattina, Angelino, in barca lungo il bacino portuale racchiuso dai due storici bracci. Dopo aver affiancato un vapore al molo di levante s’era caricato di ferrame vario utile allo smercio lucroso, essendo l’atteso valore di scambio del predetto ferrame privo di qualsiasi traccia infinitesima di dazio. Ma, il destino vile e beffardo, lo fece, quel giorno, incontrare con una motovedetta della Guardia di Finanza. Che cosa stessero facendo lì, a quell’ora, in quel luogo gli Agenti rimase sempre un mistero per il Peris che reputava il mondo come uno spazio libero di gente onesta, che non si impiccia e che vive in concordia facendosi i propri affari in pace. Che fa una motovedetta al porto? Un mistero, questo, che lo accompagnò sempre, incessantemente per tutta la vita.
‒“ Altolà, chi va là! Documenti. Chi sei, come ti chiami? Che fai? Che cosa è tutto quel ferro? Chi sei?”:
‒“ Chi so? Tu diche a me chi so io? Lo vo’ sapè? E mò t’o dico io chi so.
Io so Trajano, er padrone der portooo!!.
Tacci tua! A zozzo”.
Siamo ormai giunti al termine.
Angelo caro, su verdi pascoli erbosi ora riposi, ad acque tranquille ti conduci.
Forse desideravi, dopo la dipartita, trovare il tuo Baffone da qualche parte. Ma forse costui è da scovare accomodato in altro reparto , molto più a fondo del luogo ove ora tu trascorri l’eternità.
Se esiste un Dio questo Dio è un Dio giusto. Se così fosse non importa che cosa hai creduto in vita, importa come hai creduto. Importa la fede, la speranza, la carità che tu riponevi per l’alba del “popilo”. Oggi, quel luogo che tu pensavi come terra promessa è divenuto torbido covo di trucidi e tracotanti arricchiti sulle spalle del popolo inerme. Che tristezza Angelo, la tua terra promessa. Eppure per molti ancora la nostalgia fa presa: una mancata elaborazione del lutto rimane a perseguitare gli animi, tuttora!
Ma che importa? Tu credevi. Credevi a modo tuo che le fasciste so’ zozze, li mortacci loro. Credevi a modo tuo che solo er communismo ce dà da magnà, tacci tua. E questo basta.
Se Egli è giusto tu non puoi stare con Baffone. No! Non lo troverai mai dove sei ora tu. Tu sei popilo, Baffone no!
Riposa in pace Angelo Perise.
Da uno dei tuoi ( pochi ormai ahimè) ammiratori,
canuto e stanco.
CARLO ALBERTO FALZETTI