RUBRICA – “BENI COMUNI” – 13. LUIGI MARIA MANZI? STABILIMENTO TRAIANO? NO, GRAZIE!
a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦
Premessa del curatore
Credo di non aver trascurato occasione, in questi ultimi anni, per esprimere il mio disappunto e la mia addolorata delusione, nel vedere trascorrere i decenni senza che nel vasto comprensorio Terme Taurine, Ficoncella e Sant’Egidio, a monte di Civitavecchia, sulla “Strada della Tolfa”, si potesse cogliere qualche segno di attività vitale per valorizzare le risorse termali. Di quel comprensorio, urbanisticamente la “Zona T.A” del PRG, avevo redatto nel 1990 il piano particolareggiato con valore paesistico e poi, ottenute tutte le approvazioni sovraordinate, coordinato le attuazioni fino ad avviare in modo concreto e promettente gli interventi del Comune e quelli della società convenzionata, lasciando, all’atto del mio pensionamento, numerose opere già realizzate ed altre allo stadio dell’impianto dei cantieri. Dopo, è sopravvenuta la brusca e sospetta virata di alcuni organismi, un cambio di passo e di responsabili, la sostituzione di programmi e progetti che hanno portato alla costruzione di una struttura sbagliata, estranea ai luoghi e di effetto degradante (poi ridottasi a rudere inutilizzabile), ad istallazioni costosissime subito abbandonate senza protezione ed a alterazioni perniciose del sistema idrico sotterraneo.
Abbiamo assistito al ripetersi delle stesse situazioni paralizzanti di sempre: analoghi meccanismi, identici ostacoli, consuete rivalità e, come in altre occasioni, la presa in prestito di slogan la cui povertà intellettuale di comprensione era associata all’incapacità di proposizione. Da qui, il titolo di questa puntata: «Luigi Maria Manzi? No, grazie!»
Luigi Maria Manzi. Chi era costui? Per rispondere alla domanda che suppongo si faccia (e mi rivolga) il lettore, ripropongo il mio intervento al dibattito “Civitavecchia città termale”, esposto pacatamente nell’Aula consiliare del tempo (l’attuale “Calamatta”, al secondo piano del Palazzo del Pincio”, il 24 gennaio 1985. Che fu il seguente.
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Il fascicolo 4525, già 4825, 2° versamento, 1a serie, busta 261 già 293, del fondo Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, conservato nell’Archivio Centrale dello Stato a Roma, reca una data ed un oggetto curiosamente emblematici, se riferiti al dibattito di oggi. La data:1885. L’oggetto: “Civitavecchia, Scavi di antichità – Terme Taurine”. Il carteggio contenuto nel fascicolo riguarda la vicenda dello stabilimento termale di Civitavecchia, denominato per riconoscenza e buon auspicio “Stabilimento Traiano”, e merita di essere brevemente riassunto, giovandoci dell’opuscolo pubblicato nel 1893 dal principale protagonista della vicenda, Luigi Maria Manzi.
Discendente di una nota famiglia civitavecchiese, nipote di Pietro (l’autore di quello Stato antico ed attuale del Porto,Città e Provincia di Civitavecchia che è la prima opera di archeologia scientifica sulla città) e di Guglielmo (letterato di valore, ingiustamente più noto per l’appellativo di “Ser Pecora beccaio” impressogli astiosamente dal Leopardi), Luigi Maria Manzi lottò per quarant’anni con il Comune di Civitavecchia, nel tentativo di convincere la municipalità a far proprio il suo progetto di un grande stabilimento termale presso le sorgenti, vicino agli antichi e grandiosi resti archeologici. Ottenuta la licenza, con il benestare del Ministero delle Belle Arti e del Commercio dello Stato Pontificio, nel marzo 1852, egli dovette soprassedere dall’impresa per l’impegno, quale amministratore delle Strade Ferrate Romane, richiestogli della costruzione della Roma-Civitavecchia-Orbetello e della Roma-Ancona-Bologna.
Quando riprende in mano l’iniziativa, è ormai troppo tardi. Non trova sostenitori, pur essendo riuscito ad interessare alle Terme Taurine prima, nel febbraio ’70, Napoleone III (la famiglia Manzi vantava con i Bonaparte legami “della prima ora”: tra l’altro, aveva ospitato nel 1810, per cinque giorni, nel palazzo di piazza Leandra, Luciano con la consorte, i sette figli e 30 persone del seguito) e poi, nel ’75, Giuseppe Garibaldi, che poco dopo soggiornò infatti a Civitavecchia, giovandosi dei bagni.
Altri progetti sono all’esame del Municipio: non più la ricostruzione delle antiche Terme presso le sorgenti, ma il convogliamento delle acque fino in città. Gli anni ’80 vedono così la realizzazione di questa soluzione, per cui sorge sul lungomare, al “Viale”, il Grande Albergo delle Terme. Ma ancora per una decina d’anni, non cessano le polemiche sulla ridotta efficacia delle acque dopo il lungo tragitto e, ancora nel ’93, il Manzi ripropone al Sindaco il suo Stabilimento Traiano.
La sua morte pone fine alla vicenda. Civitavecchia, bene o male, ha le sue Terme, che molto o poco efficaci, godono di alcuni decenni di prosperità. Ma esse non dureranno a lungo. Per quel ricorrente, infausto destino che ha più volte colpito la città, ci si ritrova di fronte a macerie e ruderi e dal 1945 si ricominciano gli studi, le analisi, le discussioni.
Come per il porto, come per il centro storico, si ripete, si è ripetuto, in questi anni, un fatto preoccupante: quello di ritrovarsi, a scadenze più o meno lontane, a dibattere, a formulare proposte, ad esaminare soluzioni, ripetendo frasi e gesti che sembrano appartenere ad un rituale esasperante e monotono, in un déjà-vu, un “già visto” che non riguarda soltanto noi – che eravamo alla tavola rotonda del 1970, senza che il poter dire “io c’ero” ci dia alcuna fierezza, più barbuti e più incanutiti come siamo – ma che coinvolge secoli e generazioni.
Certo, il senso dell’incontro di oggi, come è stato organizzato dei promotori, vuole essere di concretezza: abbiamo addirittura potuto ammirare, ed ammirare sinceramente perché è ben fatto, ben studiato, un plastico. Basta con gli studi, con le ricerche, con le meditazioni. Passiamo al concreto. Il progetto c’è, discutiamo sui fatti.
Certo pure che, dal Settecento ad oggi, di studi e di analisi ne sono stati fatti fin troppi: Molletti, Torraca, Morichini, Conti, Scaccia, Cavalieri, Giulianelli, Manzi, Baccelli, Aureli, Salomone, Alessandri, Filetti, Piermarini, Cannizzaro, Sanarelli, del Vecchio, Della Sala e via via fino ai più recenti, schiere di chimici, clinici, medici e idrologhi dovrebbero averci convinto della bontà delle acque. Se dovessimo imbottigliare, riportando com’è d’uso sull’etichetta i giudizi degli scienziati, dovremmo applicare sul vetro un volume…
Né dovremmo ripetere le polemiche che un secolo addietro videro il povero Manzi e il Comune fieramente opposti sul problema del “dove, le terme?”
Per quanto, in proposito, io abbia l’impressione che si potrebbe ricostituire l’antica situazione romana, che vedeva nell’allora Centumcellae due Terme in collina, un terzo “balneum” in città, affacciato proprio sul porto, ed ancora un quarto a nord, verso Fontanatetta, sfruttando nel modo più completo le diverse risorse del territorio, preferisco restare in tema senza complicare le cose, soffermandomi solo sulla zona termale di PRG.
E proprio il piano regolatore, insieme al plastico che abbiamo visto poc’anzi, mi richiama alla mente l’antico quesito: è nato prima l’uovo o la gallina? Ora non saprei decidere sull’entità dell’uno e dell’altra, ma credo che questi secoli perduti in diatribe avessero un po’ questo tema, senza sapergli dare una risposta. Da una parte i “concreti”, i fautori dell’azione, quelli che appunto dicono: “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”. Dall’altra, i teorici, i prudenti, quelli della soluzione ponderata e perfetta, ma di lungo termine. In mezzo, i più, gli incerti: incerti tra le due soluzioni, ma in fondo certi d’una cosa, perché sospettosi. Che i due partiti, nel sostenere le proprie tesi, mirino solo a portare acqua (siamo in tema) al proprio mulino. Aveva un bel ripetere Luigi Maria Manzi ch’egli non perseguiva né onori né guadagni.
Oggi, però, la situazione è diversa da quando, Il 10 agosto 1815, il segretario comunale Vincenzo Colèine firmava il bando di concorso con cui invitava “chiunque amasse di accudire“ al ripristino delle Terme Taurine “a far pervenire il respettivo progetto“. Il bando concludeva ottimisticamente: “Riuniti i progetti e discussi nel solito consiglio di Dicembre, si verrà, previa la superiore autorizzazione, all’adozione ed esecuzione di quello che avrà riportato maggiori suffragi”.Son passati 170 anni e 169 dicembri. Ma oggi abbiamo delle norme precise e deliberate, rispetto alle quali non possono e non devono prevalere le tergiversazioni che servono solo a perpetuare l’immobilismo.
Il Comune ha un compito diretto, improrogabile e inalienabile: quello di provvedere alla formazione del piano n° 10 dell’elenco stabilito dal programma pluriennale. Il piano, ai sensi dell’articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n° 865, è il solo strumento che può consentire l’intervento dell’Amministrazione nella zona, che può consentire gli espropri, stabilire le zonizzazioni e le localizzazioni, aprire la strada ai finanziamenti ed alle più varie iniziative pubbliche con il corretto spazio per quelle private..
È anche il solo strumento che può garantire la tutela del comprensorio termale, già gravemente deturpato dalle cave, soggetto a tentativi di lottizzazione abusiva, oggetto di interventi mimetizzati di trasformazione. L’immobilismo dei secoli passati ci consente oggi di disporre di un patrimonio quasi intatto, in luoghi di grande interesse archeologico, storico-monumentale e paesistico.
Disperdere questo patrimonio sarebbe non solo un’altra occasione perduta per sempre per la città, ma una colpa grave di imprevidenza e d’omissione.
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E con queste parole avevo terminato il mio intervento del 1985, a quindici anni dalla mia relazione “ufficiale” alla tavola rotonda promossa dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo (ottimamente presieduta dal professor Maurizio Busnengo) e ad un secolo dai tentativi di Luigi Maria Manzi.
Chi volesse approfondire gli avvenimenti degli anni successivi, fino al 2007 – non essendo stato io presente in Comune ed a Civitavecchia dopo quella data – può leggere le pagine sull’argomento in Chome lo papa uole… (del 2005) e la precedente puntata numero 4 di questa rubrica, “In loco qui Taurina dicitur. Piano piano…” del 25 gennaio scorso, con i documenti allegati.
FRANCESCO CORRENTI