PER UN CAPITALISMO BEN TEMPERATO

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Texas (USA): 19 bambini assassinati tramite un arma automatica acquistata con tutta tranquillità in un negozio. Che diavolo c’entra con una discussione sul capitalismo? C’entra dal momento che un mercato solo autoregolato dalle imprese produttrici di armi (NRA), dunque, pienamente liberista, presenta perfetta efficienza e, forse, qualche problema in termini di democrazia. Buona lettura!

Nel precedente articolo si è posto in evidenza come il mercato nell’età contemporanea presenti un tratto distintivo  poiché , a differenza delle epoche passate, si mostra come: scorporato dal sistema sociale, autoregolamentato, con unico principio regolativo .

I mercati sono sempre esistiti ma sempre sottoposti ad un qualche vincolo, a controlli più o meno severi con finalità calmieratrici da parte delle amministrazioni centrali o periferiche. Comunque i mercati erano integrati  nella struttura sociale che prevedeva principi regolativi ulteriori all’unico oggi esistente. Il mercato della contemporaneità è un unicum storico, un caso collocato nel tempo e che, per questo, non può certo possedere universalità. In tal senso, l’antropologia economica ha da tempo posto in evidenza l’equivoco di pensare che i concetti, i postulati, l’impianto categorico esistente in un dato tempo e spazio possa essere assunto a valore universale (Karl Polany, Marcel Mauss, Franz Boas, Ruth Benedict…)

Se l’utilitarismo razionale è il postulato sostanziale dell’economia di mercato, questo di per sé non può essere considerato un fatto naturale. Insistere sulla “naturalità” conduce inevitabilmente a quella fallacia logica che potrebbe essere espressa come “solipsismo economico”: natura umana= tornaconto individuale (come indicato nel precedente articolo).

A questo punto giova approfondire l’ultima delle tre caratteristiche elencate all’inizio (unico principio regolativo del sociale) perché la critica a tale caratteristica ci permette di delineare  possibili alternative avendo il mercato raggiunto , mai come ora, livelli di antisocialità insopportabili. L’unicità del principio significa che si accoglie come imperativo nel mercato il solo principio dello scambio contrattuale di beni e servizi.

Questa unicità ha come conseguenza che l’economia possa esser trattata, al pari delle scienze fisiche come “socialmente neutrale”, ovvero a  far assumere a questo tipo di sapere un rigore “esclusivamente” matematico ponendola in una tranquilla astinenza dai fini (L.Robbins). In sintesi, l’ unicità del principio regolativo dello scambio di equivalenti (cioè lo scambio contrattuale) permette il grande vantaggio di esibire un rigoroso “ascetismo scientifico” ma, di fatto, esclude ogni altro principio regolatore.

Ebbene, una società è tale se teniamo conto dei vari rapporti che in essa intercorrono: scambi materiali, finanziari ma anche rapporti fiduciari, solidarietà, rapporti di amicizia, dono, equità. L’assenza di “capitale sociale” appare una desertificazione della società inaccettabile che conduce ad una economia che non funziona. Si pensi all’equilibrio walrasiano che si risolve, certo, in un equilibrio ottimale ( “Pareto ottimale”), ma che si è rivelato un puro rigoroso astrattismo incapace però di interpretare la complessa realtà.

Dunque?

Tre debbono essere i principi regolativi oltre quello del contratto in cui si sostanzia oggi il mercato:

                                          scambio di equivalenti,    redistribuzione,    reciprocità.

Un agile tabellina può meglio evidenziare i sistemi che risultano dalla combinazione dei tre principi:

 

Non c’è dubbio che il mercato, fondato sul principio dello scambio di beni equivalenti conduca alla efficienza. Ma da solo può correre il rischio di diventare solo un “male necessario” dal momento che il mercato è una macchina eccellente per soddisfare i bisogni materiali ma drammatica per il soddisfacimento dei bisogni relazionali.

Il Riformismo, nel garantire l’equità, è certamente uno sforzo immane per attenuare questa ingiustizia attraverso l’intervento statale: una via di mezzo fra socialismo e capitalismo (l’intervento dello Stato riduce l’incertezza e stabilizza evitando il sottoutilizzo delle risorse. Si pensi all’antiliberista ma liberale Keynes). Ma attenzione: la globalizzazione sta attentando alla redistribuzione poiché la logica dei due tempi (le imprese producono e scambiano nel mercato e, poi, cioè post factum, lo Stato ridistribuisce il reddito prodotto) non funziona più perché la globalizzazione ha sconvolto il nesso tra PIL e territorio per via delle de-localizzazioni (Zamagni, Becattini).

Comunque sia, la “solidarietà” non va confusa con la “fraternità” (Zamagni). La redistribuzione(da non confondersi con la filantropia del capitalismo americano) garantisce l’equità ma lo Stato (che agisce fuori del mercato) non può essere la sola istituzione ad operare. Efficienza ed equità non risolvono totalmente i problemi in presenza di un debole ed inesistente capitale sociale. La libertà è stata  sempre intesa come “libertà da”, ovvero essere liberi dai vincoli, dai lacci e lacciuoli. Ma questa è la libertà invocata, giustamente, dall’impresa. Esiste tuttavia la “libertà di”, libertà di essere, di agire, di sentirsi protagonista, di vivere, di esprimere, di realizzarsi, di avere dignità, di essere donna, uomo, cittadino (Pareyson). Una libertà non sempre garantita: Libertè , Egalitè certo, ma l’attore muto è la Fraternitè!

La reciprocità, dunque, è la grande assente. Un sistema che attui tutte e tre i principi regolativi è un vero Sistema Sociale.

Questo è ciò che conduce ad un capitalismo ben temperato.

Ma che cosa è la reciprocità? E’ la produzione di beni relazionali ( faccio riferimento in particolare ai lavori di Martha Nussbaum, Donati, Gui, Bruni, Zamagni).

Anche in questo caso uno schema permettere di risparmiare righe :

Come si nota, i beni privati sono rivali ed escludibili (un panino consumato esclude il consumo di un altro consumatore) ma non presentano relazionalità.

I beni pubblici non hanno rivalità- escludibilità dal momento che il bene è consumato da tutti i partecipanti nella stessa quantità (il parco può essere goduto da tutti , la strada è percorribile da tutti senza interferenze nel consumo).

I beni relazionali hanno le caratteristiche dei beni pubblici ma in più sono caratterizzati da reciprocità.

Dire che i beni relazionali sono caratterizzati dalla reciprocità significa asserire che questi beni non possono essere prodotti né consumati da un solo individuo dipendendo dalle interazioni con gli altri: si godono solo se condivisi. E’ il rapporto in sé a costituire il bene (Nussbaum). Nell’amore reciproco, nell’amicizia, all’interno di una famiglia, in un sodalizio è la relazione a costituire il bene che nasce e muore con la relazione medesima. L’identità dell’altro è essenziale (a differenza dei beni privati e pubblici dove la relazione è semplicemente un “mezzo” per ottenere il bene o servizio). Essi possono essere goduti solo nella reciprocità, ovvero non possono essere anonimi, si consumano nel momento in cui si producono. Esigono l’identità delle singole persone coinvolte. La relazione non è un incontro di interessi ma un incontro di gratuità. E’ un “bene” non una merce (in termini di Marx): ha un valore d’uso non di scambio.

A scopo di esempio proviamo a pensare ai “distretti industriali ”ovvero a luoghi che si sono consolidati ed irrobustiti grazie al fattore fiducia, alla relazionalità, alla integrazione. Elementi di un invisibile capitale che è la reciprocità e non il caso o l’accidentalità (Becattini insegna).

In sintesi potremmo visualizzare i tre principi, scambio equivalente, redistribuzione, reciprocità, in questo modo:

A <–> B       A –>      A –> (ma con l’attesa della controprestazione, condizionalità-incondizionata)

Il buon funzionamento di una società dipende certo dalla efficienza (il mercato regolato), dalla equità (l’intervento pubblico redistributivo) ma anche dal grado di “virtù civiche” esistenti.

Ricomporre la scienza economica togliendole quella astinenza dai fini che il riduzionismo positivista ottocentesco le ha posto (Pareto, Walras, Menger, ….)e che il neoliberismo ha cavalcato con vigore ma anche tracotanza (Hayeck, Robbins, Friedman…) è il solo mezzo per superare quello che nel precedente articolo è stato denominato da Polany “il sofisma economicista”.

 

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Ma qual è il fondamento teorico di una “economia civile”, cioè una economia che contemperi i tre principi regolativi)?

Quando è nato il senso comunitario e quando è stato vinto dall’individualismo che è alla base dell’attuale “sofisma economicista”? Questo l’argomento dell’articolo prossimo.

 Per il momento limitiamoci a dire che rientra nell’alveo del possibile l’attuazione di un “capitalismo ben temperato”.

La tirannia dello spazio obbliga alla stesura di un ulteriore terzo ed ultimo articolo.

Con grande sorpresa per tutti coloro che non nutrono grandi simpatie per l’american way of life si potrà osservare che è il nostro Paese, l’Italia (del passato, naturalmente), a presentare, di contro al mondo anglosassone, il fondamento culturale dell’economia civile. Quel sistema che, incorporando (embedded) l’economia nel cuore pulsante della società, permetterebbe, ove assunto, la realizzazione della triade: efficienza, equità, reciprocità.

CARLO ALBERTO FALZETTI

                                                                                                     https://spazioliberoblog.com/