“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – IL MOMENTO UNICO

di STEFANO CERVARELLI

Il momento era di quelli importanti: di quelli che nella vita non possono capitare più.

“ Tu c’eri?”.

“Si, c’ero, ma  stavo talmente vicino che…non ho visto niente, non capivo cosa stesse succedendo, anche se nella storia un ruolo l’ho avuto anche io”.

“Dove ti trovavi?”.

“Ero davanti alle due pantere, ma davo loro le spalle, mi avevano insegnato che sarei dovuto rimanere composto, serio, quasi rigido, così voleva il protocollo olimpico….Protocollo olimpico! A pensarci mi viene ancora da ridere. Mai come quella volta, in quegli anni, il protocollo non era nient’altro che una vera e propria ipocrisia, un baluardo all’incoerenza e certamente non un baluardo alla neutralità dello sport, come si voleva far intendere, ma che, lo si può dire tranquillamente, neutrale non lo è mai stato”.

“Hai accennato a delle pantere, ma chi erano?”.

“Chi erano mi chiedi? Ti risponderò così. Erano due uomini che correvano e correvano così veloci tanto da  far pensare che lo facessero per lasciarsi alle spalle, il più lontano possibile, anni, storie difficili. Ma per le pantere il traguardo alla fine della corsa allora non rappresentava la porta verso una vita migliore, no era la porta che, una volta varcata, tornavi alla vita vecchia. Con le tue medaglie, con la tua gloria, i tanti complimenti torni al tuo paese e magari trovi un tassista che non ti fa salire perché’ sei nero anzi…”negro” anche se hai vinto le olimpiadi, anche se, per te, anche per te, è risuonato l’inno statunitense”.

“Certo, quelli per loro erano anni terribili”..

“Mi sono chiesto tante volte come facevano a sopportarlo; Martin Luther King ammazzato, i carri armati sovietici a Praga, ragazzi che morivano nel Vietnam, studenti massacrati senza nessuna pietà in una piazza vicino allo stadio di Città del Messico, solo perché chiedevano di essere ascoltati e poi c’erano quelli che si riempivano la bocca con “lo spirito olimpico”, ci si chiedeva di rispettare il protocollo, farci “pervadere” dallo spirito olimpico! Ma quanto onore ci può stare in un protocollo, in uno spirito che fa finta di niente, che ti vuole rispettoso dei popoli, senza però considerarli, superiore alle miserie della vita senza averne compassione. No lo sport non è, non deve essere, un mondo “ dorato” a parte. Seppure partecipiamo alle olimpiadi non siamo dei che vivono sull’Olimpo lontano dai mortali, dai loro problemi, dalle loro angosce, anzi, anche se non sono esperto in Mitologia, so che anche loro, gli dei, spesso si sono posti accanto agli uomini, alle loro sofferenze”.

Ed allora?”…

“Ed allora quando ho capito cosa avevano in mente di fare le due pantere non ci ho pensato due volte: ho detto che ero dalla loro parte e ho messo anch’io la coccarda sulla tuta”.

“Che coccarda?”

“Quella dell’Olipyc Projct for Human Rights, un’organizzazione che combatteva la discriminazione razziale nel mondo dello sport. Una pantera mi disse che questa organizzazione si occupava dei diritti di tutti gli esseri umani, compresi quelli che volevano negare i loro.

Non conoscevo quell’organizzazione, ma mettere quella coccarda era l’unico modo che avevo per dimostrare la mia solidarietà, quel gesto ha cambiato la mia vita, ma anche se l’avessi saputo l’avrei fatto ugualmente”.

“Immagino che furono contenti di questa tua partecipazione..!”

“Certo. Mi diedero la coccarda ben volentieri, anche perché poco prima avevo risolto un grosso problema. Era successo che una delle due pantere si arrabbiò moltissimo con se stessa perché aveva dimenticato il suo paio di guanti in albergo. L’altra pantera mestamente disse che non importava e che quello che avrebbero dovuto fare l’avrebbe fatto da solo: andava bene ugualmente.

Mi resi conto di quanta importanza avesse per loro infilare quei guanti; eravamo nella stanza, in attesa della premiazione e non c’era più tempo per rimediare, stavano per chiamarci. Loro avviliti,  trepidanti, nervosi, temendo di non poter realizzare quanto volevano, avevano perso ogni capacità di ragionamento lucido. Io istintivamente consigliai loro di fare un guanto ciascuno , così avrebbero potuto fare quello che avevano in mente, qualsiasi cosa fosse e della quale avevo cominciato a sospettare qualcosa ….!”

“E loro, a guardare il resto, seguirono il tuo consiglio”.

“Sì. Si presentarono sul podio olimpico dei 200 metri con il pugno chiuso avvolto nel guanto nero.

Poi si tolsero le scarpe ed entrarono nello stadio e nelle case di tutto il mondo, a piedi scalzi, con le scarpe in mano. Mi spiegarono che quello era il loro modo di rappresentare ciò per cui dimostravano, lottavano: la povertà dei popoli oppressi..Di loro mi colpì in particolare una cosa: nella stanza di attesa erano nervosi, concentrati, imprecavano per l’inconveniente dei guanti e parlottavano tra loro. Ebbi l’impressione che quello che era successo da poco non fosse per loro così importante: avevano vinto due medaglie olimpiche! Per di più Tommie aveva stabilito il record del mondo diventando il primo uomo a scendere sotto i 20”, sarebbero passati undici anni prima che venisse migliorato”.

“Ed invece..”

Ed invece, anziché godersi quei momenti, stava tramando, abbastanza nervosamente devo dire, insieme all’altra pantera qualcosa della quale avevo solo una tenua percezione”.

“ E tu ?”.

“ Ah, io stavo dentro una nuvola di entusiasmo, ero medaglia d’argento! Mi ero infilato tra le due pantere e la cosa, credimi, non era affatto scontato, accidenti! Chi mai se lo sarebbe aspettato. Io il timido Peter che fa la voce grossa alle olimpiadi! Il bronzo per me era già un sogno; mi accorsi nelle batterie che stavo andando veloce ed i sogni diventarono più….leggendari, finché non vidi  correre le pantere; arrivarono in finale fischiettando, io, invece, avevo dovuto impegnarmi molto”.

“Poi arrivò quel giorno”.

“Si arrivò il giorno della  finale: giornate come quelle non si possono dimenticare, già l’olimpiade è un forte ricordo, ma una finale entra a far parte di te, diventa il tuo sangue, la tua pelle, le tue ossa: la finale è in te, è il tuo momento, quello unico, da gustare, da vivere attimo per attimo.

Era il 16 ottobre, io avevo la corsia n. 6, le pantere la 5 e la 4, si pensava ad un loro clamoroso arrivo, magari  accoppiati, però dovevano stare attenti, gli altri non erano scarsi”.

“Compreso te..”

“Devo dire che in quei giorni andavo particolarmente veloce, forse a causa dell’aria rarefatta. Partii bene, ma a metà curva ho visto le pantere che già mi affiancavano; all’imbocco del rettilineo davanti  ne avevo quattro-cinque, per un decimo di secondo, questo è quanto ti concede una gara veloce per pensare, mi dissi che quinto alle olimpiadi non sarebbe stato tanto male.

Ma subito ebbi la sensazione che potevo mandare la storia in maniera diversa, certe cose non riesci a spiegarle, sentivo una gran forza, la forza, la sensazione di un bambino che corre per la gioia di farlo, stavo andando a quaranta km orari e rimontando gli avversari. Ho sentito una specie di bomba atomica scoppiarmi dentro, ho spinto ancora di più, il risultato è stato che negli ultimi 50 metri di quella corsa sono stato l’essere umano più veloce che sia mai esistito fino a quel momento”.

“ E quando hai superato una delle due pantere hai avuto modo di pensare qualcosa?”.

“Sì”.

“Cosa?”.

“ Che ancora qualche metro e avrei superato anche  Tommie! (e ride forte). Ma per uno che nei sogni aveva il bronzo, il secondo posto, non era certo male”.

“Facesti anche il record australiano”.

“Con 20 secondi e 6 centesimi avevo stabilito il record australiano e record dell’Oceania, ancora oggi imbattuto. Dopo il traguardo la prima cosa che mi venne in mente è stata che, una volta tornato a casa, sarei diventato una specie di eroe nazionale, al quale vengono dedicate scuole, stadi ed invece…..”.

“Ed invece?”.

“Non andò proprio così, sinceramente so ancora perché lo sport australiano si sia così molto

  arrabbiato con me a causa di quella cerimonia”.

“A proposito della cerimonia, è il momento che ce la racconti dalla tua posizione particolare di spettatore e diciamo, anche protagonista”.

“ Mentre ci avvicinammo in fila indiana al podio Tommie e John erano alle mie spalle, come detto camminavano scalzi con le scarpe in mano.

Siamo saliti sul podio, ci hanno consegnato le medaglie e poi venne il momento dell’inno.

Vennero issate le bandiere alla nostra destra, cosicché, voltandoci verso queste, io detti le spalle ai miei due colleghi; quello che fecero  non potei vederlo, anche se oramai lo immaginavo, perché nella sala d’attesa, sentendomi loro complice, qualche cosetta mi avevano accennato.

Tommie alzò il braccio destro con la mano, dentro uno guanto nero, chiusa a pugno, mentre John, alzò il braccio sinistro, ovviamente con la mano chiusa a pugno dentro l’altro guanto nero.

Entrambi durante l’inno restarono con lo sguardo rivolto a terra”.

“Nella sala d’attesa cosa ti dissero?”.

“Che avrebbero fatto il  saluto di Potere Nero. Ma vuoi sapere in tutto questo quale è stata la cosa più difficile per me?”.

“Quale?”.

“Riuscire a non girarmi verso di loro mentre suonava l’inno. Sentivo tutto lo stupore dello stadio ed immaginavo lo stupore di tutto il mondo davanti alla televisione. Dietro di me stava andando in scena  quello che poi sarebbe diventato uno dei momenti più importanti, più iconici del secolo, ed io ero lì e non potevo vederlo!

Imposi a me stesso di non fare cavolate, di non rovinare tutto, di non girarmi con la faccia da fesso,  mi dissi che dovevo contribuire, per quel che potevo, a rendere memorabile quel momento”.

“Ma tu conoscevi Potere Nero?”.

“ No, me ne parlarono loro, spiegandomi cos’era, perché era nato e per cosa lottava, riferendomi anche alcune frasi di Malcom X, mi trovai d’accordo. Quello che mi dissero, i loro diritti negati, le loro battaglie, il loro desiderio di completa libertà per il popolo nero, la possibilità di costruirsi un destino, non era che lo sfondo di quello che stava avvenendo nello stadio delle olimpiadi.

In realtà è che tanti, troppi purtroppo, non la presero bene, parlarono di “dissacrazione dei giochi” poveretti! Non capivano che i giochi sono l’espressione suprema della gioia, della fratellanza universale. Su quel podio c’erano due atleti, due “fratelli neri” che manifestavano la loro vicinanza a i loro fratelli oppressi. Ci sarebbe dovuti unire tutti alla loro protesta, successe esattamente il contrario”.

“ Te l’aspettavi che venissero cacciati dai giochi?”.

Fu un gesto che, anche se poteva essere stato messo in preventivo dalle pantere, fu assurdo e sconvolse le loro vite, perché oltre che essere mandati via dal villaggio olimpico, furono cacciati anche  dal mondo dello sport. Rimasi in contatto con loro, passarono anni difficili, pagarono un prezzo altissimo;Tommie dovette anche affrontare il dolore per la morte della moglie: si suicidò perché gli mancò la forza di accettare l’ostracismo nel quale erano costretti a vivere”.

“Anche a te non andò bene”.

“La stampa  del mio paese mi attaccò in maniera violenta, non fu difficile capire che il Comitato Olimpico Australiano non era assolutamente contento del mio operato e che, alla prima occasione, me l’avrebbero fatta pagare e così fu. Quattro anni dopo, nonostante fossi ancora il più veloce ottenendo anche il tempo necessario per la qualificazione olimpica, pur di non mandarmi alle olimpiadi, non mandarono nessuno!

A quel punto ho capito che l’atletica, lo sport per me erano storie oramai concluse. Non si ricordarono di me neanche alle olimpiadi di Sidney, dove, ignorando completamente i miei risultati, non mi presero affiato in considerazione come tedoforo “.

“ Una volta lasciato lo sport che facesti ?”

“Mi dedicai completamente al mio lavoro, l’insegnante, occupandomi poi – e come poteva essere diversamente – di diritti civili e poi….e poi  mi trovai con non  poche difficoltà a …gareggiare con la bottiglia”.

Peter Norman morì nel 2006.

Al suo funerale a portare la bara c’erano Tommie Smith e John Carlos, le due pantere nere che eran

 con lui sul podio quel 16 ottobre del 1968.

Entrambi erano stati riconosciuti come simboli dello sport, non solo americano.

Peter invece ebbe una riabilitazione postuma nel 2012 da parte del Parlamento australiano con una dichiarazione con la quale si porgevano le scuse per il trattamento riservatogli e ne veniva riconosciuta la grandezza di atleta, e (udite, udite) il contributo dato alla causa dei diritti civili.

Il suo record di 20 secondi e 6 centesimi  è ancora record australiano e continentale.

STEFANO CERVARELLI

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