RUBRICA – “BENI COMUNI” – 10. PERSONE. L’ARCHEOLOGO MARIO MORETTI

Catalogo Documenti Utili: “Darsi alla bella vita…”: Giuseppe Moretti

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Premessa del curatore

Diversi amici che hanno seguito le precedenti puntate di questa rubrica dedicate a ricordare, doverosamente, alcune personalità particolarmente benemerite nei campi dello studio e della tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio, la cui attività ha riguardato i luoghi o le tematiche di nostro più frequente interesse, mi hanno segnalato l’opportunità di estendere queste note, che naturalmente non hanno né possono avere carattere esaustivo e sistematico, ad altri protagonisti della rinascita culturale del territorio della Tuscia dopo la dolorosa e insanabile tragedia delle distruzioni e dei lutti causati dalla Seconda Guerra Mondiale. Le immagini e le notizie che ci giungono continuamente in questi giorni dall’Ucraina, come quelle giunteci da altri luoghi in precedenza negli anni – tutte di uguale, terribile drammaticità – richiamano quelle tremende delle distruzioni degli anni 40 in tante parti del mondo, tra cui quelle – a noi ben presenti – di Civitavecchia, documentate dalle fotografie di Armando Blasi e di Giuseppe Scotti. E ci rendono incomprensibili, assurdi, inaccettabili gli avvenimenti attuali e le ipotesi sui rischi d’una “Terza” carneficina mondiale, che potrebbe essere definitiva, nello scellerato oblio di Hiroshima e Nagasaki. 

La prima figura di cui mi è stato chiesto di dare un profilo informativo sull’opera meritoria da lui compiuta nella Tuscia – e non solo – è Mario Moretti, archeologo, etruscologo, Soprintendente alle Antichità per l’Etruria Meridionale, poi coordinatore dei Gruppi Archeologici d’Italia. Essendo stato anche mio suocero, non voglio svolgere il tema personalmente ed ho ripreso per intero la biografia sintetica ma chiara e completa scritta dal collega ispettore onorario Eugenio Moscetti, nel contesto delle tante commemorazioni. Per le altre figure, molte delle quali ho conosciuto personalmente, con le quali ho collaborato in innumerevoli iniziative e che mi hanno onorato della loro amicizia, devo chiedere aiuto. Infatti, essendo stati i miei rapporti con loro limitati e condizionati dalla mia presenza in città totalmente impegnata dal servizio presso il Comune e quindi dalla mia estraneità alla dimensione famigliare e domestica di quelle persone, ai loro studi scolastici, alle loro esistenze private, mi sono rivolto a Carlo Alberto Falzetti, della cui affettuosa e cordiale attenzione per il mio lavoro di ricerca ho frequenti testimonianze, pregandolo di voler curare lui stesso una panoramica esauriente ed informata degli artefici degli aspetti più rilevanti della crescita culturale cittadina.

L’archeologo Mario Moretti: sintesi biografica (dal Ricordo di Mario Moretti di Eugenio Moscetti, in «Annali Associazione Nomentana di Storia e Archeologia», 2002, pp. 157-158.

Mario Moretti è stato, indubbiamente, uno dei grandi protagonisti dell’archeologia italiana del Novecento, colui che, più di ogni altro, ha promosso scavi diretti, non tanto alla scoperta e valorizzazione del singolo monumento, quanto a risolvere ampie problematiche storiche ed archeologiche. Da ciò è derivata la straordinaria conoscenza della civiltà dell’Etruria raggiunta nel XX secolo e la grande diffusione dell’interesse per gli Etruschi anche presso  un pubblico non specializzato.

Nato a Roma il 28 maggio 1912, visse fino al 1930 ad Ancona, ove il padre Giuseppe era titolare della Soprintendenza delle antichità delle Marche e dell’Abruzzo, collaborando con lui al riordinamento del Museo Nazionale di Ancona.

Successivamente si trasferì nella capitale con il padre nominato Soprintendente delle antichità di Roma con sede al Museo delle Terme. A Roma frequentò la Facoltà di Lettere dove si laureò nel 1936 con Giulio Quirino Giglioli, discutendo una tesi sul centro di Ancona, che verrà successivamente pubblicata nella collana “Italia romana: Municipi e Colonie”.

Risale a questi anni l’amicizia con altri giovani studiosi che diverranno più tardi tra i protagonisti dell’archeologia italiana del Novecento, tra cui Massimo Pallottino e Carlo Pietrangeli. Dal 1936 al 1939 completò gli studi universitari frequentando la Scuola di Archeologia. Nel 1938 aveva nel frattempo curato l’allestimento della sala dedicata alla medicina nella Mostra Augustea della Romanità. Sempre in quell’anno, Pietro Romanelli, di cui era stato allievo prediletto all’Università, lo fece assumere in qualità di salariato temporaneo alla Direzione degli Scavi di Civitavecchia e Tolfa, per collaborare con Raniero Mengarelli alla “classifica di materiale e revisione inventari” finalizzate alla “pubblicazione degli scavi di Caere”. Iniziò così il suo legame con l’antica Cerveteri, affascinante terra di morti, di tombe, di memorie e di bellezze remote, che si protrasse praticamente per tutta la vita. Partecipò al conflitto mondiale col grado di tenente a partire dal 1941, finendo prigioniero in Algeria. Prese parte alla Liberazione ed alla conclusione delle operazioni belliche gli venne conferita la croce di guerra.

Finito il conflitto, nel 1945 riprese servizio a Villa Giulia, allora guidata da Gioacchino Mancini, tornando ad occuparsi del territorio dell’Etruria, con funzioni di Ispettore a Cerveteri, di cui sarà nominato Direttore degli Scavi a partire dal 1951. Nel frattempo portò a termine uno studio monografico sul municipio romano di Septempeda.

Nel corso degli anni Cinquanta fu fra i protagonisti della crescita della Soprintendenza dell’Etruria Meridionale, insieme a Maria Santangelo, Goffredo Ricci, Roberto Vighi, Giuseppe Foti e Umberto Ciotti, e del riordinamento e ampliamento del Museo di Villa Giulia, promossi da Renato Bartoccini.

La zona di sua competenza oltre a Cerveteri, comprende ormai anche Tarquinia, Tolfa (ove allestì l’Antiquarium), Allumiere, Bracciano, Blera, S. Giovenale e altri comuni del Viterbese. Fu proprio a S. Giovenale che iniziò la lunga e fortunata collaborazione con la Scuola Svedese, proseguita poi nel centro di Acquarossa, che vide protagonisti sul campo lo stesso Re Gustavo e Carl Eric Östenberg. A partire dal 1957 prese il posto di Roberto Vighi, occupandosi in particolare della nuova sistemazione del museo di Villa Giulia.

Iniziarono in questi stessi anni, con il supporto tecnologico della Fondazione Lerici, le campagne di scavo da lui organizzate e dirette che portarono a straordinarie scoperte sia nelle necropoli di Cerveteri sia in quella delle tombe dipinte dei Monterozzi a Tarquinia, in cui furono anche avviate, sul pianoro della Civita, prospezioni archeologiche fondamentali per la conoscenza del centro urbano.

Nel 1961 subentrò a Renato Bartoccini nella carica di Soprintendente. Sotto la sua guida, la Soprintendenza dell’Etruria Meridionale attivò una politica di tutela e valorizzazione del territorio, allora considerata rivoluzionaria, basata sul decentramento, con la creazione di un sistema museale “satellite” affiancato al museo di Villa Giulia. Furono così istituiti, tra il 1965 e il 1977, i Musei nazionali archeologici di Cerveteri, Civitavecchia, Vulci, Pyrgi, Civita Castellana (Agro Falisco), e gli antiquaria di Barbarano, Trevignano Romano, Tuscania e Ischia di Castro. Contemporaneamente furono ampiamente rinnovati il Museo di Tarquinia e il Museo Civico di Viterbo. Nel 1975, sotto il suo impulso, fu completato il percorso espositivo del Museo di Villa Giulia, arricchito con le nuove sezioni di Vulci e di Pyrgi, i bronzi e gli ori della Collezione Castellani e la Raccolta Pesciotti, acquisita all’inizio degli anni Settanta. Sotto la direzione di Mario Moretti, la Soprintendenza procedette anche ad un lavoro di ampliamento e riorganizzazione per rendere maggiormente fruibili al pubblico le aree archeologiche, prima fra tutte quella della Banditaccia a Cerveteri, raddoppiata con i nuovi scavi, e quelle di Tarquinia, Vulci, Bolsena, Acquarossa, Tuscania, Orte, Lucus Feroniae (Agro Capenate), la Villa dei Volusii e altre ancora.

Negli anni Sessanta e Settanta, particolarmente proficui per lo sviluppo della Soprintendenza, pose le basi per la soluzione dell’ampliamento del Museo di Villa Giulia, avviando il lunghissimo processo di acquisizione della contigua Villa Poniatowski, e per la creazione del Museo di Lucus Feroniae, per la Rocca Albornoz di Viterbo e per il Museo di Tuscania, centro etrusco in cui profuse un particolare impegno per la ricostruzione, dopo il terribile terremoto del 1971.

Fu amico fraterno di Massimo Pallottino, con il quale avviò gli scavi di Pyrgi, che portarono alla scoperta dell’altorilievo mitologico del Tempio A (1957-63) e al rinvenimento, nel 1964, delle tre celebri lamine d’oro, due in lingua etrusca, la terza in punico. Dopo il suo collocamento a riposo, avvenuto nel 1977, si dedicò soprattutto alla direzione del Museo Civico di Viterbo e del Museo Archeologico di San Severino Marche, a lui particolarmente caro, perché intitolato al padre Giuseppe. Negli ultimi anni della sua vita profuse tutte le sue energie nel tentativo di portare a termine la pubblicazione degli scavi della Banditaccia a Cerveteri, iniziata già negli anni Cinquanta e sempre rinviata per i tanti impegni istituzionali da assolvere, senza purtroppo riuscire nell’intento. È scomparso a Roma il 16 gennaio 2002.

Catalogo Documenti Utili: La bella vita dell’archeologo Giuseppe Moretti

Darsi alla bella vita. Un’espressione ambigua. Che spesso sottintende un giudizio negativo.  Riassumo quella che a mio parere è stata davvero una bella vita, assolutamente positiva ed ammirevole, dalla quale è derivato un eccezionale arricchimento del nostro patrimonio culturale nazionale: quella di Giuseppe Moretti, archeologo attivissimo e geniale, padre di Mario. Anche in questo caso, la riprendendo da scritti ufficiali.

Nato a San Severino Marche il 6 giugno del 1876, Giuseppe Moretti entrò a far parte della Direzione Generale alle Antichità e Belle Arti il 1° marzo del 1902, iniziando una carriera che, grazie al suo appassionato impegno di studioso e di archeologo militante, si sarebbe protratta per quarant’anni e lo avrebbe nel tempo visto impegnato con successo sul territorio come nei musei, in Italia e all’estero. Dopo i primi intensi anni di attività trascorsi nel Museo Nazionale Romano, ove procedette al riordinamento scientifico dell’enorme mole dei materiali ivi affluiti nel tempo a seguito di scavi condotti a Roma e nel territorio e che lo vide realizzare l’allestimento del ricco Antiquarium, tra il 1910 e il 1912, su richiesta di Ernesto Schiapparelli, operò in Piemonte conducendo, fra l’altro, importanti scavi e ricerche nell’area dell’antica Libarna e sul Piccolo S. Bernardo.

Nel 1914 prese parte alla Missione archeologica italiana in Asia Minore compiendo straordinarie scoperte ad Adalia, sito al quale, con altri, dedicherà rinnovate energie nel 1919, anno della seconda missione.

Tra il 1912 e il 1920 Giuseppe Moretti è di nuovo a Roma, in servizio al Museo Nazionale Romano, cui fra l’altro assicurerà, con abile e paziente mediazione, la celebre Collezione delle ceramiche, dei bronzi e degli ori Castellani, oggi vanto del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, e quindi ad Ostia ove esplora il settore dell’abitato compreso fra gli Horrea e il Decumano.Nel 1920 si conclude la prima fase della sua attività romana: egli viene infatti chiamato alla guida della Soprintendenza alle Antichità delle Marche la cui competenza, all’epoca estesa sino agli Abruzzi, fu nel 1923 ulteriormente ampliata a comprendere il Molise e Zara.

Restituito così alla sua terra d’origine, Giuseppe Moretti si dedicò senza risparmio allo studio e alla valorizzazione del patrimonio storico e archeologico di territori all’epoca quasi inesplorati. Sono di questi anni interventi fondamentali per la conoscenza di centri quali Ascoli Piceno, Ancona, Albacina, Arcevia, Corinaldo, Fabriano, Falerone, Fano, Numana, Osimo, Ostra, Pioraco, Potenza Picena, Sassoferrato, Urbisaglia, cui si aggiungono, in Abruzzo, le gran-di ricerche condotte a Teramo ed a Chieti e, oltre Adriatico, gli importanti scavi di Zara.

Con la stessa infaticabile passione esplorò e valorizzò l’antica Septempeda, centro romano presso la natia San Severino, ove individuò e riportò in luce gran parte della cinta fortificata con le sue porte urbane monumentali e cospicui resti di complessi edilizi ubicati all’interno dell’abitato.

Ma quello che resta la più importante impresa del periodo marchigiano fu, malgrado i formidabili ostacoli frapposti, la realizzazione del Museo Nazionale di Ancona, con sede nel Convento di S. Francesco agli Scalzi, complesso monumentale che seppe restituire alla sua originaria dignità grazie a mirati interventi di restauro avviati e portati a termine nell’arco di pochi anni. Inaugurato dal re Vittorio Emanuele III il 9 ottobre del 1927, il Museo di Ancona, purtroppo cancellato dai successivi eventi bellici, per la prima volta poneva a disposizione degli studiosi e del pubblico un quadro ampio e articolato della realtà archeologica delle Marche riservando, in particolare, spazi finalmente adeguati alle ricchissime, composite testimonianze della Cultura Picena della quale veniva finalmente posto nel dovuto risalto il ruolo di primo piano che ad essa compete nel panorama dell’Italia preromana.

Nel 1930 Giuseppe Moretti lasciava le Marche per assumere la guida della Soprintendenza alle Antichità di Roma, all’epoca con competenze ben più ampie delle attuali, tornando anche a svolgere la sua intensa attività presso quel Museo Nazionale Romano che l’aveva visto giovane funzionario. Nei successivi dodici anni con immutata tenacia affrontò compiti ancor più gravosi di quelli del decennio marchigiano, riuscendo in imprese talora fuori dell’ordinario quali, per citare le più note, l’isolamento e il restauro del complesso monumentale delle Terme di Diocleziano, il completamento del recupero delle Navi di Nemi e la loro musealizzazione, le sensazionali scoperte delle statue di Capestrano, gli impegnativi restauri della Porta Venere a Spello o del Ponte romano di Narni.

Quelli che possono però essere considerati quali episodi centrali di questa fase della sua attività sono il progetto e il riordinamento del Museo Nazionale Romano, concepito e assunto quale fulcro di un sistema espositivo tanto ampio e articolato quanto di sconcertante attualità e la ricomposizione dell’Ara Pacis Augustae, insigne espressione dell’arte augustea, simbolo del potere imperiale.

Di tale monumento, già oggetto di studio nei suoi anni giovanili, procedette, con tecniche tanto sofisticate quanto di avanguardia, allo scavo e al recupero, operazioni cui seguirono lo studio, il restauro, condotto secondo criteri filologici ancor oggi validi, e infine la musealizzazione, per la quale avrebbe voluto una soluzione diversa da quella che fu suo malgrado adottata. La pubblicazione del libro postumo fu curata dal figlio Mario, che ne aveva seguito le orme

Il 1942 segna la conclusione della sua attività di archeologo militante: non cessa però che con la morte, avvenuta a Roma il 20 luglio del 1945, il suo indefesso impegno di studioso.

Nelle foto, il cosiddetto “Guerriero di Capestrano”, in una sala del Museo archeologico nazionale d’Abruzzo a Villa Frigerj di Chieti – la Teate romana -, una eccezionale struttura espositiva, come quella analoga della “Civitella” sull’acropoli (architetto Ettore De Lellis), dove le ricostruzioni della città, dei templi e di ogni aspetto delle civiltà antiche sono davvero entusiasmanti, come molti altri aspetti della città. Una città, del resto, dove le tombe alla cappuccina sono conservate e visibili in situ e dove nei musei si guardano le cose anche con umorismo. Gli abitanti si chiamano Teatini, ma anche se fossero “Chietini”, vi assicuro, sono tutt’alto da quel che sono un po’ dovunque quei tali con caratteristiche “assonanti”…

FRANCESCO CORRENTI

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