RUBRICA – “BENI COMUNI” – 9. TI CONOSCO, MASCHERINA… Dal “folleggiar della carne” alla follia della guerra, usi e costumi verso la Quaresima… Capitolo 4 Fine
Catalogo Documenti Utili: Voce Maschera in Cooper, J.C., Dizionario dei simboli. Dizionario illustrato dei simboli tradizionali di tutto il mondo, con 210 illustrazioni, Traduzione a cura di Silvia Stefani, Franco Muzzio editore, Padova 1987, 19882, pp. 178-179 (titolo originale An Illustrated Encyclopaedia of Traditional Symbols, Thames and Hudson Ltd., London 1982).
a cura di FRANCESCO CORRENTI♦
La barba è una maschera naturale, usata sia a scopo psicologico, per conferirsi un sembiante autorevole, venerando, cattedratico, religioso ecc. oppure per aumentare la propria beltà o più spesso per nascondere la propria bruttezza o la deformità o l’aria troppo mite. In voga per millenni, era caduta in disuso dopo gli eccessi risorgimentali e i primi anni del Regno, con la glabra pelata ducesca e con la tranquillizzante ed emaciata (in grado relativo) pulizia delle gote della prima Repubblica, per ridiventare con Fidel e il Che un segno di rivoluzione popolare e marxista, poi di impegno intellettuale di sinistra (ma anche gli estremi opposti, a volte, trascuravano forbici e rasoi).
Allo stesso modo, nel ’700, la moda di indossare ricche parrucche elaborate per coprire i colori naturali della capigliatura o, più frequentemente, l’antiestetica calvizie, era un modo di alterare il proprio sembiante per fini estetici o per darsi tono e austerità, e questo come ancora (sembra per poco) si usa fare da parte dei giudici e degli avvocati britannici.
Certo, bisogna convenire che in fondo anche i baffi da soli o con la barba sono un antichissimo mezzo per cambiare viso. In origine, un fatto naturale, la crescita spontanea lasciata a sé stessa e con il tempo, la praticità, la comodità di non doversi rasare ogni giorno, più utilizzata da persone che non avevano da praticare relazioni amorose con giovani dei due sessi imberbi e insofferenti del pelo pungente. Solo baffi portava Mandrake, il mago dei fumetti, che poi di trucchi viveva, mentre l’Uomo Mascherato e Diabolik – la sua versione “al negativo” – sembrano glabri ma non è certo, non si vede.
Poi, per motivi diversi, l’onor del mento ha conferito auctoritas e prestigio a senatori e generali – Lucio Papirio il Cursore (per la velocità nella corsa, quindi in altre parole uno dei Correnti!) o Catone il Censore –, a filosofi, saggi e sapienti dell’Areopago, a monaci e frati (ed anche più su). Non pochi animali e non poche piante usano alterare il proprio aspetto o nasconderlo in tutto o in parte. Così molti usano scavare nel terreno e nascondersi lì, altri in forma parziale come lo struzzo nascondono una parte del corpo, non sempre con successo, altri ancora assumono forme – come certi bruchi inoffensivi – tali da spaventare i predatori. Ma anche divenuti farfalle, cercano di apparire con forme mimetiche per non farsi vedere o tali da indurre spavento negli uccelli che li vorrebbero cacciare a scopo alimentare (e sono macchie sulle ali a forma di grossi occhi dilatati e rapaci. Altre forme di mimetismo più raffinato prevedono di cambiar colore, forma, aspetto, apparenza, del manto, dell’epidermide, delle squame, a seconda, e così fa la salamandra.
Che hanno i loro corrispondenti umani in quelli che chiamiamo voltagabbana, versipelle, casaccari, banderuole, ondivaghi, mimetici, migranti ideologici, animi instabili, temporanei, provvisori, infedeli, volubili, ipocriti, opportunisti. Tenendo presente che il mimetismo ha forme varie, come la foresta shakespeariana semovente di Birnam e come la grande varietà di tute mimetiche presenti negli eserciti di tutto il mondo, dal “cartoccio” minimalista delle tribù d’Amazzonia (sul tipo, ma più sfinato, dei cartoccetti a cono per fusaje, ai vari colori e disegni in relazione al colore dei luoghi. Con la particolarità di tipo protettivo dal freddo, delle pellicce indossate da signore bene. Per apparire forse più selvagge o spontanee o misteriose… La Venere in pelliccia di Pitigrilli, tra le dimenticate audacie letterarie.
Poi le maschere da guerra… La maschera d’arme era usata in Giappone dal X secolo insieme all’elmo kabuto ed era modellata in lamina di ferro o cuoio e laccata su entrambe le facce, in genere rosso all’interno e nero all’esterno. Ed aveva vari nomi, a seconda di come era fatta: Somen e Menpō erano maschere complete, che coprivano tutto il volto, plasmate con lineamenti terrificanti e buchi per la vista; cominciarono ad essere usate alla fine del secolo XV e furono conservate fino al XIX. Alcune di queste erano dotate di lunghi baffi fatti di canapa. Avevano lo scopo, oltre che di proteggere il viso, d’assicurar meglio l’elmo alla testa e appunto servivano a render molto più sinistro l’aspetto del guerriero. Era un trucco. Ma trucco chiama trucco. La maschera dà il nome anche al mascara, ossia a quella sostanza cosmetica che s’applica con uno scovolino sulle ciglia per rendere l’occhio più profondo e largo e quindi lo sguardo più espressivo. Così, consente di “mascherarsi”, ossia di utilizzare un “trucco” per modificare le proprie sembianze. E appunto, a proposito di trucchi, passiamo al trucco teatrale, ovvero l’uso di barbe finte, parrucche e altri travestimenti, che può essere utilizzato, oltre che per fini di scena, come le vere e proprie maschere del teatro greco e latino o di quello giapponese, per scopi disonesti o banditeschi.
Per compiere rapine ed assalire le banche, i banditi del Far West usavano far salire sul volto, fino al naso, ruotandolo al contrario, il fazzolettone che tenevano intorno al collo. Per questo, coprire il viso era vietato: era indizio di cattive intenzioni. Anche l’uso di divise o di abiti sacerdotali per nascondere la propria identità è soggetto a disposizioni molto restrittive. D’altra parte, in guerra la maschera protettiva, ossia la difesa del volto, ha assoluta importanza, sia per la difesa fisica ossia la protezione del viso da offese violente, sia in quanto la stessa difesa poteva rappresentare un mezzo per spaventare l’avversario e per esercitare una paura e quindi era un mezzo psicologico che derivava direttamente dalla natura, dai metodi utilizzati da molti animali – e non solo – per dissuadere i possibili nemici o predatori da azioni che recassero nocumento o morte.
Diverso è il caso del velo islamico, imposto alle donne dell’harem, alle concubine, in quanto in quel caso la difesa è quella dell’onore del geloso consorte maschio. Velo, burka e altre forme d’abbigliamento del capo, compresi i copricapi, son di vario tipo ed han motivazioni diverse, comprese quelle della volontà femminile di coprirsi per qualche motivo. Ma da noi si usavano le velette (mia mamma la portava con strani cappellini fatti dalle “modiste”, con strani steli a spirale appuntati di lato, e aveva sulla rete tante palline nere).
Ai tempi della Facoltà, primo anno del triennio, anni 1963-64 circa, e lezioni di Giovenale, Aymonino, Tafuri… un manifesto era in tutti gli studi (grafica nero-verde) ad ammonire: «I progettisti sgobbano, curvi sui tavoli da lavoro. Una cifra sbagliata e le città del nemico restano incolumi…» (Bertold Brecht, dal “Breviario Tedesco”, ovvero la satira demistifican-te contro l’imperialismo bellicista di Hitler, “l’imbianchino”, ma vedo oggi l’Ucraina, ahimé).
Nessuno commentava, allora, si annuiva e basta. Ma che caspita avrà voluto dire?!
Fondo di documentazione archivistica e bibliografica sul tema “Beni Comuni” – CDU / Catalogo Documenti Utili: Voce Maschera in Cooper, J.C., Dizionario dei simboli. Dizionario illustrato dei simboli tradizionali di tutto il mondo, con 210 illustrazioni, Traduzione a cura di Silvia Stefani, Franco Muzzio editore, Padova 1987, 19882, pp. 178-179 (titolo originale An Illustrated Encyclopaedia of Traditional Symbols, Thames and Hudson Ltd., London 1982).
Maschera Protezione; occultamento; trasformazione; non-essere. La maschera può essere unificante o identificante; si può essere «mascherati» e persi nella folla, oppure si porta la maschera di qualche personaggio identificante. La Maschera di Dio è l’illusione del mondo fenomenico, maya. Nelle rappresentazioni sacre le maschere raffigurano le forze soprannaturali delle divinità; nelle rappresentazioni comuni simboleggiano le caratteristiche interne che possono normalmente essere nascoste dalla personalità esterna.
Le maschere di animali o di uccelli denotano il ripristino della comunione con animali e uccelli e il ritorno allo stato paradisiaco; rappresentano anche la saggezza istintuale animale da cui l’uomo può apprendere, inoltre la natura animale insita nell’uomo con cui egli deve venire a patti. La maschera raffigura anche la rigidità della morte e può essere apotropaica. In Grecia simboleggiava il potere, detenuto dalla Gorgone, di dare la morte, oppure la natura tragica o comica del personaggio delle rappresentazioni. La maschera comica è un attributo di Talia e quella tragica di Melpomene. Le maschere delle «anime della macchia» portate dagli aborigeni australiani identificano chi le porta col potere dell’animale, uccello o pianta rappresentati. Fra le tribù africane le maschere possono simboleggiare e conferire un potere.
FRANCESCO CORRENTI