“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – LA  BOXE A CUBA

di STEFANO CERVARELLI

“Il professionismo è diventato più umano e può dare buone opportunità ai nostri atleti. I guadagni saranno all’80% riservati a loro, il resto andrà agli allenatori, ai medici, alla Federazione. Stavamo studiando da tre anni e mezzo un accordo che potesse essere soddisfacente e conforme ai nostri valori”.

Con queste parole il Presidente della Federazione Pugilistica Cubana, AlbertoPuig, ha chiuso un’epoca mettendo fine a sessant’anni di dilettantismo della boxe sull’isola.

La messa al bando del professionismo era stato voluto da Fidel Castro nel 1962 perché si riteneva che lo sport non potesse essere legato al denaro.

Con questo annuncio la boxe cubana, acclamata ed ammirata su tutti i ring del mondo, perde così la sua proverbiale e primigenia purezza, i suoi rappresentanti torneranno ad indossare i guantoni al di là della dimensione amatoriale, ma nelle piccole vie dell’Avana, di Santiago, di Camagurey, nelle piccole e spesso improvvisate palestre di quartiere, frequentate da ragazzini di ogni età, il pugilato rimarrà sempre una religione e, nello stesso tempo, l’orgoglio “ bailado “ di tutto il paese.

La Federazione Nazionale ha stretto un accordo con la Golden Ring, società messicana che si occupa di promuovere incontri tra i professionisti, e dal prossimo mese di  maggio cinque pugili cubani avvieranno questa nuova epoca.

Indubbiamente a dare una notevole accelerata al cambiamento, davvero storico,  ha contribuito senz’altro  il rischio, molto elevato, che la boxe venga cancellata dal programma olimpico a partire dal Los Angeles 2028, questo comporterebbe che ai cubani potrebbe venir meno un notevole spazio di gloria; infatti nella lunga storia del pugilato olimpico sono ben 78 i podi conquistati e 41 le medaglie d’oro.

Una vera e propria rivoluzione quindi  quella che si prospetta per  lo sport cubano  come, d’altra parte, lo fu quella di “Jefe” Fidel quando, abbandonando il professionismo, costruì in meno di 10 anni, un modello di movimento dilettantistico, vanamente imitato.

La boxe era approdata a Cuba all’inizio del 900, quando vennero disputate le finali dei campionati statunitensi, disputate sull’isola in alta stagione, per “arrivare” agli incassi dei ricchi turisti in vacanza; nel 1909 all’Avana venne organizzato il primo incontro professionistico ed appena un anno dopo nasce la prima Accademia di boxe.

Trascorrono solo tre anni ed il governo si vede costretto a vietare il pugilato, per via delle violente risse che scoppiano nelle strade tra bianchi e neri; si apre così l’epoca degli incontri clandestini, ricordati anche da Hemingway.

Nel 1921, davanti alla crescente pressione, prende vita la Commissione Nazionale per il pugilato; la nobile arte torna alla luce del sole ed i primi ad esserne felici sono sempre loro: i facoltosi turisti americani che sulle splendide spiagge dell’isola caraibica passano le vacanze.

Facciamo ora un lungo balzo ed arriviamo al 1959, anno della  vittoria della rivoluzione cubana. Prima di allora Cuba non aveva mai vinto una medaglia olimpica, però poteva vantare ben  sei campioni del mondo tra i professionisti, di cui tre davvero eccezionali: il superpiuma Eligio ”Kid Cholate”Sardinas, il welter Gerardo “ Kid Galivan” Gonzales e l’altro welter Benny Paret: a quest’ultimo è legato purtroppo un tragico evento, nel 1962 nel corso di un match venne  ucciso dai pugni di Griffith.

Ma al di sopra dei campioni sopra citati si erge la figura di Josè Napoles, soprannominato Mantequilla, cioè burro, perché sembrava che i pugni che riceveva gli scivolassero addosso.

A Cuba  Josè Napoles disputa 21 incontri, ma alla sopravvenuta abolizione del professionismo si trasferisce in Messico, prende la nazionalità di quel paese e diventa uno dei più grandi, alcuni esperti dicono il migliore in assoluto, pesi welter della storia. Conquista, per due volte, la cintura di campione del mondo, la prima nel 1969, la seconda ben sette anni dopo nel 1976.

Fece anche un’escursione tra i pesi medi ma qui trovò Monzon , dal quale venne demolito.

Torniamo a Cuba dove nel frattempo è scoppiata un’altra “rivoluzione”. I bambini fin dalle scuole elementari si cimentano nella boxe; i più bravi di ogni provincia vengono radunati nel centro federale  di Wajay, come istruttore hanno un allenatore sovietico Andrej Chervonenko, coadiuvato da un giovane dal nome destinato ad entrare nella storia: Alcide Sagarra.

L’attenzione che viene posta nella cura dei giovani pugili è prevalentemente  indirizzata sulla tecnica e sulla tattica, non sulla potenza, con particolare attenzione all’uso più appropriato delle guardie, (per chi non conoscesse i termini pugilistici con “guardie” s’intendono le posizioni delle braccia per la difesa) in quanto se colpire è sì importante, la scuola cubana privilegiava l’arte del non farsi colpire, da qui il continuo, incessante movimento del pugile che fa della boxe cubana una vera e propria danza, il loro “orgoglio bailado”.

Tutto questo lavoro non poteva non produrre risultati ed ecco che nel 1968 Cuba conquista le prime medaglie olimpiche, sono due, d’argento; quattro anni dopo a Monaco arrivano le prime tre medaglie d’oro, ed insieme a queste Cuba fa conoscere al mondo Teofilo Stevenson il più grande di tutti, un peso massimo dal fisico apollineo, con destro al fulmicotone. Alle olimpiadi di Monaco , nei quarti, distrugge la grande speranza bianca americana: Duane Bobiek.

I promoter, giunti nella città tedesca per seguire il pugile yankee, cambiano decisamente ..rotta e puntano su Teofilo proponendogli un’offerta alquanto allettante: un milione di dollari per passare professionista e ben cinque milioni d dollari per affrontare Muhammad Alì.

La risposta data dal pugile cubano è entrata nella storia facendone un’icona popolare di una nazione ”A cosa mi servono cinque milioni se ho già l’affetto di otto milioni di cubani?”.

Teofilo Stevenson vincerà altri due ori olimpici, nel 1976 e nel 1980; ad impedirgli uno storico poker, mai riuscito a nessuno, fu il boicottaggio delle Olimpiadi di Los Angeles del 1984.

Un episodio che si racconta nel mondo pugilistico parla di come fu proprio lui Teofilo a far nascere (sportivamente) un campione. Il fatto è questo.

Un giorno del 1985 Teofilo è in palestra ad allenarsi, in un momento di pausa viene avvicinato da un  ragazzo di diciotto anni che, assai coraggioso, bisogna dirlo, lo sfida. Il nome del ragazzo è Felix Savon.  Teofilo  stimolato dall’intraprendenza del giovane accetta la sfida. Naturalmente l’insolito incontro non dura molto: il ragazzo finisce al tappeto colpito da una tremenda combinazione sinistro, destro, accompagnata da una battuta del campione”Ragazzo, quando il leone è sveglio, stai attento: non giocare con la catena!”.

Savon farà tesoro del  consiglio (e dei pugni) tanto da diventare l’erede di Teofilo; conquisterà infatti , nella categoria massimi, tre ori olimpici tra il 1992 e il 2000.

In cinquant’anni Cuba riesce nell’impresa di scrivere pagine immortali e belle nella storia del pugilato amatoriale, ma deve ben presto fare i conti con la realtà dei tempi; è sempre più difficile fare in modo che i suoi giovani campioni riescano ad emulare Ulisse, non esistono corde talmente forti da impedire loro di resistere al …. canto delle sirene dei facili guadagni lontano dall’“Isla”.

In momenti diversi tre olimpionici, Rigondeaux, Gamboa e Solis, approfittando di tornei ed allenamenti all’estero, fuggono dall’isola firmando contratti in Europa e America; diventeranno tutti campioni iridanti, evento non certo sorprendente perché la scuola che hanno frequentato e che li ha formati è stata  la migliore al mondo.

Adesso Cuba con la nuova apertura al professionismo si avvia a vivere un’altra “rivoluzione”, ci saranno problemi? Sì ….ma per gli altri !

Stefano Cervarelli