Brividi: recessione in arrivo?

di ANDREA MORI ♦

Negli ultimi giorni la curva dei rendimenti dei titoli di Stato americani si è quasi invertita, che significa? Provo a raccontare questa storia di finanza, curiosa e a tratti inquietante, agli amici di SpazioLiberoBlog.

In uno scenario economico classico i rendimenti dei titoli di Stato, tenuto fermo l’istante attuale di valutazione, dovrebbero essere crescenti via via che aumenta l’orizzonte di investimento.
In base ai rendimenti che si osservano sul mercato, assegnando un certo rendimento ad ogni scadenza futura, è possibile costruire la “curva dei rendimenti” dei titoli di stato.


Una curva dei rendimenti “normale” è crescente, vale a dire che i titoli a medio-lungo termine hanno rendimenti più elevati di quelli a breve termine. Ad esempio se un investitore vuole investire 100 euro su un obbligazione senza cedole, con un rendimento annuo dell’1%, tra un anno riceverà 101 euro; se invece volesse investire gli stessi 100 euro ma su un orizzonte di due anni dovrebbe aspettarsi un rendimento superiore all’1%, dovrebbe cioè poter trovare disponibile ipotizziamo un’obbligazione con un rendimento effettivo annuo del 1,2%, e così via.
I tassi di interesse dei titoli di stato però dipendono da vari fattori, e sono le stesse banche centrali a manovrare il tasso di interesse per perseguire scopi di politica monetaria atti a incidere su variabili come inflazione, disoccupazione, tasso di risparmio, tasso di investimento ecc…, tramite strumenti convenzionali o non convenzionali, si ricordi in tal caso il Quantitative Easing, l’acquisto massiccio dei titoli di stato locali da parte della BCE per tenere bassi i tassi d’interesse di alcuni Stati UE nel periodo successivo alla grande crisi del 2008.
La questione è che nonostante i tassi di interesse siano oggi nettamente più bassi rispetto agli anni passati (basti pensare che negli anni ’80 alcuni titoli di stato italiani a 12 mesi pagavano rendimenti del 15%, e che oggi sullo stesso orizzonte si ottengono rendimenti sotto 0%), la curva dei rendimenti negli ultimi anni è rimasta tuttavia con inclinazione positiva, e infatti se il tasso di interesse a un anno fosse -0,5%, quello a 2 anni è -0,3%, quello a 10 anni è 0,1%… si presuppone comunque che aumentando l’orizzonte dell’investimento il rendimento pagato sia sempre via via crescente.

Tale principio, oltreoceano, nelle ultime settimane sembra aver invertito rotta: se si osservano i titoli di stato americani in questo momento si nota che la differenza tra il rendimento di una obbligazione a 10 anni e di una obbligazione a 2 anni è appena dello 0,2%. Vale a dire che se investo 1 dollaro oggi, lo stesso dollaro tra 2 anni vale circa come 1 dollaro tra 10 anni.
Questa banale relazione in realtà potrebbe essere interpretata come un indicatore di una imminente catastrofe: nell’ultimo secolo ad una inversione della curva dei rendimenti ha quasi sempre seguito dopo una ventina di mesi una “recessione”, ovvero un forte periodo di declino della produzione interna e dei mercati, con delle conseguenze sull’economia reale che amaramente ben conosciamo.
La FED, la banca centrale americana, sta cercando di rasserenare gli animi, eppure il clima potrebbe surriscaldarsi da un momento all’altro, e anche in Europa il rischio di uno scenario simile è assolutamente probabile.
Bisogna essere ottimisti o pessimisti? Come al solito, dipende. 
Quel che si sa è che l’economia è ciclica, e alterna fasi di espansione a fasi di recessione, a noi l’arduo compito di non farsi trovare impreparati per quest’ultime.
Aspettiamo, e per sicurezza cominciamo ad allacciarci le cinture.

ANDREA MORI