ALMANACCO CIVITAVECCHIESE DI ENRICO CIANCARINI – L’ospedale delle povere donne.
di ENRICO CIANCARINI ♦
Nella nostra città, per centocinquanta anni, uomini e donne furono curati in due ospedali diversi e distanti. Gli uomini in Piazza d’Armi all’ospedale governato dai Fatebenefratelli; le donne al Ghetto in una struttura più piccola gestita direttamente dal Comune.
Nel 1761, anno di pubblicazione della Istoria dell’antichissima città di Civitavecchia scritta dal marchese Antigono Frangipani, la città evidenzia una buona organizzazione sanitaria soprattutto connessa alla realtà portuale. Il nobile romano elenca gli Ospedali che stanno in Civitavecchia: Ospedale di San Giovan di Dio detto l’Ospedale de’ Bonfratelli. Ospedale de’ forzati in Darsena detto l’Ospedale di Santa Barbera. Ospedale pe’ rognosi, e altri mali attaccaticci in Darsena; Ospedali per gli schiavi in Darsena. Al primo sono obbligati i Medici della Communità uno per mese, e il chierurgo della suddetta; a i tre ultimi, il medico delle Galee, e i quattro Chierurgi delle Galee ognuno per la sua Galea”.
L’anno successivo, papa Clemente XIII visita Civitavecchia. È l’occasione per il pontefice di scoprire che a Civitavecchia “sebbene in essa vi fosse l’ospedale per gli uomini, niuno però ve n’era per le donne, tanto che vedevansi alle volte alcune di esse morire per le pubbliche strade. E che parimente vedevansi girare raminghe per la città molte giovanette, orfane di genitori, per non esservi alcun conservatorio”. Sono parole tratte dal Motuproprio emesso nel 1766. Uno dei più grandi storici del Settecento italiano, Ludovico Muratori negli Annali d’Italia, scrive che il pontefice per favorire la sollecita erezione dell’ospedale per le povere donne inferme, elargisce la notevole somma di duemila scudi.
È grazie all’opera del padre domenicano Giacinto Bambocci, parroco unico della città, che sorgono il Conservatorio della Divina Provvidenza delle Zittelle Orfane e lo Spedale delle Povere Inferme di Civitavecchia.
Papa Pio VI, nel 1766, secondo anno del suo pontificato, approva le Costituzioni che regolano le due importanti istituzioni benefiche di Civitavecchia. In questo articolo affrontiamo la storia dell’Ospedale delle povere donne che si chiuse solo nei primi anni del secolo scorso quando fu unito a quello maschile.
Le Costituzioni meritano di essere lette per intero, possibilità oggi offerta da internet. La loro lettura ci proietta nel XVIII secolo dandoci la possibilità di conoscere aspetti poco noti della realtà quotidiana in cui vivevano le donne in quegli anni.
Nella parte terza delle Costituzioni del 1766, è ben precisato che padre Giacinto volle “fondare il Conservatorio delle Orfane […] per addossare loro il peso di assistere allo Spedale delle povere Inferme”. I numerosi articoli che seguono, dettagliano e regolano le attività delle zitelle nell’ambito dell’ospedale: “Capo I. In qual modo si debbano accogliere le Inferme da chi assiste allo Spedale. Capo II. Come, ricevute, che sieno, debbano esser trattate le Inferme nello Spedale. Capo III. De’ doveri della Superiora dello Spedale. Capo IV. Dell’Offizio, e Doveri della Custode della Guardaroba dello Spedale. Capo V. De doveri delle Zittelle Orfane assistenti alle Inferme.”
Riportiamo ad esempio l’ultimo comma, il XII, che dispone importanti ed efficaci regole per mantenere l’igiene e la salubrità fra le degenti e le zitelle che operano nelle camerate del nosocomio:
“Le Zittelle destinate ad assistere di giorno allo stesso Spedale dovranno ogni dì scopare, spolverare, rifar i letti, ripulire gli urinali, le sputacchiere, le concoline, i boccaletti, e ogn’altra cosa, che venga adoprate dalle inferme. Che se queste talvolta per avventura imbrattassero il pavimento, sarà cura delle Zittelle stesse di subito ripulirlo; ricercandosi la pulizia non solo per una certa decenza dello Spedale; ma pel ristabilimento eziandio delle Inferme, e pel mantenimento della salute delle Zittelle medesime, le quali si rammenteranno, che assistendo con quella carità, che da lor si richiede alle povere Inferme, ne riporteranno il premio promesso da Gesù Cristo a quelli, che per amor di Lui, in somiglianti opere di pietà volentieri s’impiegano”.
Fra le prime morti registrate nell’ospedale delle donne, è ricordata quella della “degnissima di lodevol memoria Sig. Priora del Conservatorio della Divina Provvidenza, e Spedale delle donne”. È il dottor Gaetano Torraca nel suo volume Dell’epidemica costituzione di Civitavecchia nell’anno MDCCLXVII a ricordarla, tessendo le lodi della superiora del Conservatorio che “nel prestare caritatevole assistenza a moltissime inferme della febbre Epidemica nello Spedale, fu assalita dalla medesima febbre”. Una prima volta guarì, per soccombere la seconda volta quando generosamente volle ritornare di nuovo a svolgere i suoi caritatevoli uffici.
Oltre al Torraca, nell’ospedale femminile di Civitavecchia operarono medici che hanno lasciato interessanti memorie cliniche pubblicate sulle riviste mediche dell’epoca. È il caso di Nicola Lamberti che sul Giornale medico di Roma (1866) riporta gli interventi chirurgici in cui opera Anna Ferri, Maria Marini e Luisa Defazi ai gangli (qui debbo confessare la mia ipocondria che mi spinge a sorvolare sugli specifici aspetti medici). Altri interventi in quell’ospedale sono riassunti dal dottor E. Casati nel Bollettino grandi operazioni rubrica inserita nel milanese Il faro medico.
Un vistoso avviso pubblicato sul Diario di Roma del 9 novembre 1831 svela chi fossero i medici impegnati nell’ospedale e come fossero reclutati e stipendiati. A Civitavecchia “è vacante una delle comprimarie mediche condotte”. L’onorario annuale è di 300 scudi “oltre l’assegno per l’assistenza dell’Ospedale delle Donne, e i soliti incerti”. Si cerca anche un chirurgo, a cui è promesso un assegno annuale di scudi 240 “oltre l’assegno per la cura chirurgica dell’Ospedale comunicativo per le donne”.
Monsignor Vincenzo Annovazzi (con l’aiuto di padre Alberto Guglielmotti) nella sua Storia di Civitavecchia fornisce alcuni particolari chiarificatori sui primi anni di attività dell’ospedale femminile. Ben presto Conservatorio e Spedale furono separati ed ospitati ognuno in un diverso edificio: “il comune eresse di poi nel borgo della città un locale suo proprio, ed addetto alle inferme povere ed invalide”. Monsignor Tesoriere decreta di affidare al Comune l’assistenza ospedaliera delle povere donne e con istrumento del 4 gennaio 1806 gli concede i pochi stabili che ospitavano le inferme “ed un numero di 12 letti compiti, unita la somma per una sol volta di scudi 200”. Annovazzi ricorda che i cittadini “presi da simile commiserazione per l’altro femminil sesso, si occuparono in ricevere ogni possibile materiale elemento, ed in pria un locale sufficiente, per riuscire allo scopo”. Presso la Chiesa di Sant’Antonio al Ghetto furono acquistati “un certo residuo di stanze” e questi ambienti furono adattati a corsia di ospedale e a camere: “si diede facilmente principio ad uno stabilimento di tanta carità, che andò ad ampliarsi in progresso, come in estensione di ambienti”. Cappellano fu designato il parroco della vicina chiesa dei frati conventuali. Il monsignore e storico ricorda “il zelante cittadino” Anselmo Dumas che molto si spese a favore dell’ospedale delle povere donne. Anche dopo la sua morte “lo spedale sussiste col suo approvvigionamento e decoro, accompagnato dalla benedizione degli indigenti, e dalla compiacenza de’ cittadini”. Sotto il pontificato di Gregorio XVI il casamento dell’ospedale femminile è elevato di un terzo piano. Il suo successore, Pio IX, lo visita il 14 settembre 1857.
In quegli anni, a leggere la Biografia cristiana di Virginia Bruni di padre Ventura (1853) nella camerata dell’ospedale civitavecchiese delle povere donne avviene una guarigione miracolosa. All’inferma e pia Virginia era stata regalata una reliquia di san Leonardo da Porto Maurizio (allora beato) affinchè ottenesse la tanto sospirata guarigione. Ma “nel visitar le inferme dell’ospedale di Civitavecchia, inferma essa stessa, essendosi incontrata in una povera madre di famiglia, che per paralisi alle gambe giaceva immobile in letto, ne sentì una vivissima compassione; e non potendo far altro le diede tosto la reliquia suddetta che portava addosso, facendole sapere ciò che dovea fare per ottenere la grazia”. In pochi giorni la donna paralizzata guarisce mentre poco tempo dopo, Virginia Bruni, zelante ed eccelso modello di virtù cristiane proposto alle vedove romane, muore.
La gestione economica di un ospedale ha sempre avuto costi elevati e il Municipio di Civitavecchia, ieri come oggi, non ha mai nuotato nell’oro. Il 29 ottobre 1875, sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, appare l’avviso d’asta “a candela vergine” per l’appalto della fornitura dell’Ospedale delle povere donne per il biennio 1876 e 1877. Per partecipare all’asta è necessario un deposito di Lire mille presso il segretario comunale, l’avvocato Ettore Liverani:
“L’asta sarà aperta sulla somma di italiane lire 1 per ogni testa e per ogni giornata di presenza nell’Ospedale. Le offerte in ribasso non potranno essere minori di centesimi 1 ciascuna. L’appalto verrà aggiudicato a colui che farà la maggior offerta in diminuzione”. Il 6 novembre, sempre sulla Gazzetta, apprendiamo che il vincitore dell’asta ha ottenuto l’appalto “al prezzo di centesimi 81 per ogni testa”. Anche allora gli ospedali erano aziende dove il risparmio andava a colpire il benessere di chi era ricoverato.
Nell’Italia umbertina di fine Ottocento, la statistica regna sovrana. È Luigi Bodio, uno dei fondatori della statistica italiana, a guidare all’interno del Ministero dell’agricoltura, industria e commercio la raccolta dei dati in ogni settore della società italiana. Nel 1883 gli è affidata la neocostituita Direzione generale della Statistica, che viene strutturata in due divisioni: la prima dedicata alla statistica demografica, amministrativa e giudiziaria; la seconda alla statistica economica e finanziaria. È un’esplosione di dati e relazioni. Bodio e i suoi collaboratori forniscono al governo e al parlamento un’enorme mole di dati che partendo dal censimento della popolazione, effettuato ogni decennio, analizzano e sintetizzano la realtà economica e sociale del giovane regno.
Nel 1885 la Direzione generale della Statistica pubblica il Movimento negli ospedali civili del Regno Anno 1883. Nell’introduzione si legge che “è questa la prima volta che si pubblica una statistica ufficiale degli istituti ospitalieri del Regno” che al 1 gennaio 1883 erano 1299, il rapporto prende in considerazione i dati di 990 nosocomi, gli altri non risposero, erano chiusi, risposero in modo erroneo.
A Civitavecchia risposero entrambi gli ospedali: quello maschile di San Giovanni di Dio e quello Comunale per le donne. Anche Corneto Tarquinia in quegli anni ha gli ospedali divisi per genere.
Estrapoliamo alcuni dati: al 1 gennaio 1883 nell’Ospedale delle donne erano presenti 27 pazienti, durante l’anno ne entrano 109 per un totale di 136 presenze (nell’ospedale maschile sono 667).
Ne guariscono 77, migliorano 6, altri esiti 6, 19 muoiono, 28 sono ancora presenti al 31 dicembre.
La statistica entra nel dettaglio delle malattie, ne cataloga 22. La prima causa di ricovero sono le febbri da malaria che colpiscono 25 donne ma nessuna ne muore. Si muore per malattie del sistema nervoso (4), malattie dell’apparato respiratorio (4), apparato digerente (3), una per lesioni dovute a cause esterne. Nessuna ricoverata per avvelenamento.
Dati che evidenziano che le donne restano a casa pur se inferme, la famiglia ha un bisogno maggiore di loro mentre gli uomini malati se sono ricoverati purtroppo no producono reddito ma allo stesso tempo non gravano sul magro bilancio familiare. Ancora non è attestato l’uso di partorire in ospedale, ostetriche e “mammane” operano a domicilio. Un dato che non emerge dalle statistiche è che i ricchi, maschi o femmine, rimangono a casa quando sono ammalati e preferiscono morire nel loro letto, avendo le possibilità economiche di essere visitati dai migliori dottori sulla piazza.
Nel 1901 il Comune di Civitavecchia raggruppa amministrativamente le due realtà ospedaliere e nel 1911, finalmente, le donne e gli uomini malati sono tutti ospitati nell’unico fabbricato di Piazza Calamatta.
Chiudo con un brano tratto dallo Stato antico ed attuale del porto città e provincia di Civitavecchia del cavaliere Pietro Manzi (1837):
“Nell’aere malsano tu vedi visi pallidi, ventri tumidi e rilasciati, infingardo il piede e la mente. Quivi al contrario gli uomini, e soprattutto le donne, possono per bellezza di colorito parere a confronto di quelle di Roma stessa, che anche in questo menano il vanto ed il grido di bellissime, e quivi tutt’altro apparisce che gravezza di membra, ed ottusione di mente. Quello poi che sopra tutto dee convincere i più increduli, che l’aere nostro sia salubre e purissimo, è il vedere che quivi abbondan vecchissimi, i quali trassero il corso della loro vita fino all’età più senile, senza soffrire quelle malattie, cui l’uomo è ovunque soggetto”.
ENRICO CIANCARINI
Ottimo articolo, Enrico.
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Enrico, in questa nuovissima epoca di guerra e direi di relativismo e di nichilismo, lo storico, il ricercatore e noi tutti abbiamo un problema civico e morale: abbiamo la responsabilità di far conoscere le miserie umane del nostro passato delle quali dobbiamo “rendere conto”.
Apprezzo la comparazione tra la storia sociale locale con la storia nazionale: dal Muratori al positivismo statistico.
Aggiungo, per le tracce pulsionali che mi legano
al Borgo del Ghetto Sant’Antonio, la potente eredità simbolicaal femminile che ritrovo nel tuo scritto
Grazie, Paola.
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Grazie a te Paola. Il mio percorso nell’aspetto femminile della storia di Civitavecchia prosegue.
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