IL TEATRO TRA VERITÀ E DENUNCIA: MARIO TRICAMO – 13. A ciascuno la sua parte: gli attori e la musica

di GIULIA MASSARELLI ♦

Il teatro di Mario Tricamo non aveva la pretesa di dare risposte, ma tutt’ora, dai suoi testi, si può prendere coscienza sul modo di reagire dello Stato.

Il drammaturgo messinese formulava delle ipotesi senza dare una soluzione. Basandosi su dei documenti e dati accertati, Mario Tricamo esplica la propria opinione sui temi trattati.

Per rappresentare quel periodo storico, gli anni di piombo, e la strategia della tensione in Italia – che tendeva alla destabilizzazione o al disfacimento degli equilibri precostituiti – Tricamo recuperava dei frammenti, oggetti di realtà da trasformare in drammaturgia attraverso attori, musica e movimento. È in questo senso che il teatro di Mario Tricamo si può definire come un teatro basato sul montaggio della realtà: i documenti – materiali recuperati – vengono giustapposti e prendono forma e movimento grazie agli elementi essenziali, ovvero gli attori, la musica e lo spazio che li ospita.

Ciascuno di questi elementi aveva un ruolo specifico nello spettacolo, strettamente necessari tra loro, avevano tutti la stessa importanza. Gli attori e la musica prendevano vita in uno spazio teatrale che si distanziava da quello del teatro tradizionale e, lo spazio stesso, aveva un ruolo di fondamentale importanza.

La musica all’interno degli spettacoli di Mario aveva un ruolo di fondamentale importanza. Nella stesura del copione, il drammaturgo stesso scriveva quando far iniziare e terminare la musica. La musica, come l’attore, assume un ruolo specifico all’interno del testo e quindi dello spettacolo. A mettere più in risalto questo aspetto c’è il musicista – o i musicisti a seconda dei casi – che suona dal vivo: il musicista assume il ruolo di attore, interprete della musica.

Mario si è avvalso della collaborazione con la compositrice Lorena Palumbo, la quale ha realizzato delle musiche originali appositamente create per gli spettacoli. Queste musiche, composte dopo la stesura del copione e in parte anche durante le prove, hanno avuto il compito significativo di sottolineare tutti i passaggi drammaturgici ed in special modo le liriche creando un unicum tra voce e strumenti. La musica era di stile contemporaneo ed utilizzava vari strumenti: pianoforte, violino, chitarra, xilofono, varietà di percussioni, voce.

La musica ha esaltato il significato delle opere conducendo la recitazione e gli spettatori in una atmosfera sospesa nella consapevolezza di ciò che stava accadendo. Più precisamente, l’atmosfera musicale non raccontava gli episodi, ma accompagnava l’azione creando un excursus hic et nunc che conduceva lo spettatore lungo l’azione fino all’epilogo finale.

La musica, dunque, non era affatto di contorno o sottofondo, ma assolutamente protagonista; particolare spazio veniva dato alle percussioni in grado di sottolineare, rinforzare e accompagnare il ritmo martellante delle parole.

Tutto questo era di forte impatto sullo spettatore, erano rappresentazioni emotivamente molto intense: gli attori e la musica riuscivano ad amplificare e dare maggior spessore e risalto ai tragici temi scelti.

Il lavoro che Mario Tricamo svolgeva con i suoi attori era piuttosto impegnativo. Da veri professionisti, lavoravano circa otto ore al giorno e la maggior parte del tempo veniva impiegato nella lettura e l’interpretazione attenta e dettagliata del testo. Il regista conosceva l’importanza del testo, e reputava che l’essenza dello spettacolo, il suo significato, era racchiusa nella forza di ogni singola parola.

Gli attori del teatro di denuncia interpretavano ruoli tragici e il regista chiedeva una recitazione tragica, cioè epica, straniante: quindi totalmente assente di psicologia.

La recitazione tragica è una recitazione difficile; in questo tipo di performance, non si può scendere in modulazioni psicologiche: va tenuto alto il senso e lo scopo di quello di cui si sta parlando.

L’attrice Caterina Casini nello spiegare come funzionava questo tipo di recitazione, ha riportato l’esempio dello spettacolo Vita e morte di Aldo Moro, democristiano. L’attrice interpretava il ruolo della moglie, Eleonora, più precisamente, leggeva l’ultima lettera scritta da Aldo Moro alla moglie: fisicamente l’interprete era sdraiata per terra, come un corpo privo di vita – quindi era nei panni del presidente della Democrazia Cristiana – ma recitava il ruolo della moglie, ovvero immaginava come quest’ultima avesse letto la lettera. Quindi c’erano dei piani sfalsati e questo portava lo spettatore a pensare con la propria testa molto velocemente, senza immedesimarsi negli attori. L’assenza di immedesimazione era possibile perché c’era sia un piano di identificazione in chi leggeva la lettera, ma c’era anche una visione fisica, del corpo sdraiato a terra: non a caso era una delle scene più forti di quello spettacolo. L’attrice era una donna e non poteva essere Aldo Moro – e già questo risultava strano – inoltre la voce di Caterina Casini cercava di essere la voce di chi legge. Dunque, lo sfalsamento dei piani era stato appositamente pensato dal regista Mario Tricamo in modo che il pubblico potesse vedere e assistere sia criticamente, che emotivamente; allo stesso tempo, lo spettatore, immerso nella scena, aveva una lucidità che gli permetteva di mettere insieme i dati. Più che d’uno spettacolo, si trattava di una sorta di severo oratorio, dove preminente era l’importanza della parola.

La voce e il volto dello statista ucciso il 9 maggio 1978 trovano due interpreti in Giorgio Granito e Walter Toschi, il cui avvicendarsi sulla scena è alternato dalla complessità della figura di Moro e dal ruolo che il suo destino ha rappresentato per le sorti di un Paese sull’orlo di una crisi irreversibile.

Da sottolineare che in questo spettacolo, a differenza dei precedenti, c’era un richiamo ai modelli classici, mediante un piccolo coro (composto da tre ragazze: Maria Chiara Sasso, Maria Paola Conrado, Laura Marchianò), che commentava i fatti. Ma è la forza bruta dei dati reali quella che s’imponeva. Rievocare i modelli classici, per uno spettacolo ambientato negli anni Settanta, non era esclusivamente pensato per un fattore estetico, per gusto stilistico del regista. Gli anni di piombo, con tutte le tragedie che portano con sé, sono essi stessi assimilabili alla tragedia greca.

La ricostruzione del dramma di un uomo, e con il suo quello di un Paese intero, avviene attraverso i solidi schemi della tragedia greca, dove la necessità di un destino imperscrutabile rende gli uomini ancora più fragili e smarriti.

È da questa duplicità del dolore, che prende spunto Vita e morte di Aldo Moro, democristiano. Anche nel lavoro dedicato alla prigionia di Aldo Moro la drammaturgia viene costruita con un fitto rimando ai documenti. Le lettere dello statista al segretario della Dc Zaccagnini, così come quelle indirizzate alla moglie e ai figli, diventano i nodi attraverso cui comporre un mosaico infinito.

Infatti, questa volta, la ferita dolorosa connessa a quella che Tricamo ha chiamato elaborazione del lutto – “Per accettare la materia inquietante di cui siamo fatti e per elaborare il lutto”[1] – è, a proposito di Moro, un montaggio di lettere del politico della Democrazia Cristiana risalenti all’epoca del suo sequestro con aggiunta di documenti drammatizzati ed epilogo tratto da pagine del suo Memoriale rinvenuto più tardi.

Tricamo decide di non risolvere il caso Moro allo scontro tra Moro e Br, ma di indagare sulla situazione politica italiana ed internazionale che tendeva a rinnegare il compromesso storico di Moro, l’avvicinamento del Pci al Governo e il rinnovamento in senso democratico e progressista della vita politica e sociale italiana[2]. Non vi sono rivelazioni particolari o nuove prospettive d’indagine.

Mario Tricamo prende di petto con coraggio vicende inquietanti, gli eventi drammatici oscuri della nostra società. Con questo spettacolo, il regista riflette, ancora una volta, il clima drammatico, ed esplora argomenti scomodi, retroscena inquietanti, documentazioni scabrose.
Non è un testo che si avvale di una didascalica evocazione dei fatti trascorsi, ma di un frammentario percorso che ci delucida, senza servirsi dell’identità dei giovani eversori, ricostruendo i punti di un tassello infernale, ferite non rimarginabili inflitte dagli abitanti di un palazzo che custodisce, ancora oggi, i propri segreti[3].

L’autore, ancora una volta, dà vita ad un valido esempio di teatro civile, che tenta di elaborare collettivamente momenti non ancora ben risolti del vivere sociale e politico.

Quello di Tricamo è un testo in divenire, suscettibile di cambiamenti, condizionato dall’attualità, come afferma il regista: “Confessioni, dichiarazioni, rivelazioni che si susseguono, inesorabili. Perché, a distanza di 21 anni, c’è, purtroppo, ancora molto da scoprire”[4].

Questo è un aspetto importante che fa riflettere sull’attualità del teatro di denuncia di Mario Tricamo. Infatti, oggi, si possono riportare in scena i suoi testi con l’aggiunta delle nuove verità, dei nuovi documenti che si vanno a sommare con quelli già analizzati dallo stesso drammaturgo. Un teatro in continuo divenire, sempre attuale.

Con Vita e morte di Aldo Moro, democristiano, Tricamo intendeva anche abbattere certezze che per anni sono servite come pietra tombale per una verità scomoda. Dietro gli implacabili j’accuse di Eleonora Moro – interpretata da Caterina Casini – come dietro le risate di maschere prive di sostanza, fuoriusciva un male difficilmente conciliabile con le modeste fattezze di un terrorismo accecato dall’odio sociale e dai fumi ideologici. L’autore messinese parte dall’oggettività del documento per arrivare alla ricerca di verità nel tentativo di penetrare una ferita così dolorosa. Mario Tricamo, con lo spettacolo su Aldo Moro, si propone, ancora una volta, di rappresentare e sublimare attraverso la catarsi tragica del teatro il delitto, passando attraverso i luoghi prescelti dai terroristi e vedendone la terza dimensione del significato oltre l’immediatezza del tempo e la bidimensionalità dello spazio[5].

GIULIA MASSARELLI                                                                                                               (continua)

[1] Fabiani R., In scena la tragedia di Moro, La Stampa, 4 giugno 1999.
[2] Verlezza G., Giochi di potere nell’Italia del 1978, Il Giornale d’Italia, 13 giugno 1999.
[3] Aspri P., Vita e morte di Aldo Moro al Teatro dei Documenti, Italia Sera, 8 giugno 1999.
[4] Ibidem.
[5] E.M., Vita e morte di Aldo Moro, democristiano di Tricamo, Rinascita, 26 maggio 1999.