“I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI” DI MICHELE CAPITANI – L’UOMO CHE GIRAVA NEI GARAGE

Una nuova rubrica con cadenza mensile (il primo lunedì di ogni mese) di Michele Capitani dal titolo I racconti dei sopravvissuti.
Si tratta di racconti che hanno come protagonisti i marginali della nostra città: uomini e donne senza dimora, persone con disagio psichico che vivono in case famiglia, anziani soli, immigrati, rom, ecc. Ed anche i volontari, una popolazione nella popolazione a Civitavecchia.
Una narrativa vicina al reportage che svela i lati invisibili della nostra città.

di MICHELE CAPITANI

  Pablo venne in Italia dal suo paese balcanico venticinque anni fa, una storia passata che sappiamo da lui, poiché noi l’abbiamo conosciuto quando era già un senza-dimora, con le sue trovate per non finire a dormire sotto nuvole e stelle, e il suo carattere, a volte umano, altre volte sconcertante, sempre unico.

  Indimenticabile la prima sistemazione in cui lo conoscemmo, dieci anni or sono: una maestosa rimessa in ondulati di stagno, dove iniziano le campagne, zeppa di dimenticati oggetti felliniani (lampadari, roba in ferro battuto, una carrozza…) ma zeppa anche di spifferi feroci da cui penetrava il freddo, la guazza, e i sorci, che riuscirono a cacciarlo fuori, una volta divoratogli tutto il materasso.

  Si ficcò così in un garage, sempre nei paraggi del supermercato dove a volte chiede l’elemosina: un garage (concessogli da un amico a noi ignoto) ma non privo di un certo benessere: c’era luce e acqua, nessun topo, e soprattutto c’era più sicurezza, pur se il freddo riusciva egualmente ad entrare; ma vuoi mettere con la baracca di lamiere! Anche perché lassù ci poteva entrare chiunque, mentre nel garage solo lui, ed è tutt’altro orizzonte.

  Purtroppo, dopo qualche mese dovette traslocare nel garage di fronte, ahinoi privo di utenze, utile giusto per avere un riparo e non dover buttare il suo ciarpame: qualche mobile, letto, coperte, abiti, pentolame, radiolina, e antiche ed inservibili musicassette. Pablo era considerato una sorta di custode gratuito dai condòmini che altrimenti avrebbero avuto da ridire su uno sconosciuto piazzato lì; ciò non impedì purtroppo che ricominciasse, poco dopo, la sua discesa, metaforica ed effettiva: terminata la disponibilità di quel secondo spartano garage, si vide messo fuori, cioè nella galleria del vento che è lo spazio carraio: la visione più surreale fra tutte quelle che la vita dei senza-dimora ci ha posto davanti: il suo letto (e tutto il resto) fra i garage, proprio dove la macchine passavano e manovravano.

  La prima volta che, scendendo là sotto, mi vidi quest’incredibile immagine, restai trasecolato e angosciato, non solo per tanta miseria, ma per la privazione anche dell’intimità che doveva subire questo povero cristo. Un tetto sopra la testa sì, ce l’aveva ancora, ma vento e freddo imperversante, e le proprie cose esposte a tutto e tutti, e il suo sonno e la sua vita esposta e parallela alle persone e alle auto che entravano sotto i garage…

  Tanta la dovizia delle nostre conoscenze sulla sua penosa odissea intorno e sotto al condominio, quanta la penuria di storia su tutto il pluridecennale antefatto che è la sua vita: si sa solo che Pablo ha settant’anni, venne dall’Est dopo il crollo del Muro poiché appartenente a una famiglia invisa al regime comunista, ed è stato sempre qui, per ciò conosce varie persone, e per questo ha avuto di recente anche una donna (che a volte l’ha ospitato), ma trovandosi alfine, come sappiamo, con un pugno di mosche.

  Di una sorella emigrata in Francia non ha notizie da vent’anni.

  La vita se l’è giocata probabilmente male, visto che qualche occasione di reinserimento alcuni anni fa l’aveva avuta, ma ha mantenuto amicizie fra la gente del posto che, a un certo punto, riesce a rimediargli una roulotte usata: emergerà quindi da quella sua foiba sotto i garage, finalmente, mantenendosi sempre lì accanto, ma nella roulotte, poggiata in un’area che in realtà è pubblica, una situazione su cui però i vigili, che lo conoscono, non si mettono a obiettare; se non vivesse qui da anni e anni, non godrebbe di cotanto privilegio!

  Diviene pertanto anche per noi più agevole e più piacevole fargli visita, e anche più facile scoprire lati morbidi del suo carattere. Per almeno due anni, infatti, Pablo è stato quello che dubitava di rivederci dopo le prime volte che andavamo, reso lamentoso e pessimista e incupito dalla carenza di prospettive e dalla compagnia dei topi, per peggiorare ulteriormente scendendo nel tristo sacello dei garage. Come stupirsi se ce l’aveva sempre con tutto e tutti? Sospettoso e maledicente contro amministratori locali, assistenti sociali, politici d’ogni colore, il Vaticano, i comunisti, e vari altri -isti, e personaggi storici e famosi. Un modo di porsi verso il mondo che, a esser franchi, spesso risultava comico, tanto assurdi erano gli improperi di questo pezzente capaneo che dal pozzo sotto il condominio inveisce contro i potenti della terra e della storia!

  Pablo è, logicamente, un maestro supremo di dietrologia: vede complotti dappertutto, malversazioni trasversali e infestanti, che si parli dell’assessore locale o del Papa, della televisione o dell’ebraismo internazionale. È un maestro insuperabile soprattutto di manicheismo: nella vita si è comunisti oppure fascisti, tertium non datur, e io stesso da anni tento invano di convincerlo che non sono né l’uno né l’altro. Ancora: cittadini di qua e politici di là, e stati sovrani di qua e finanza mondiale di là. Ma soprattutto, quasi superfluo dirlo: Europa di qua e musulmani di là. Tanto che, da un dato momento, piglieremo una precauzione: ogni volta che stiamo per arrivare da lui, ancora in auto facciamo il promemoria degli argomenti tabù: il papa, gli ebrei, Putin e Obama, e ovviamente comunisti e fascisti; vabbuo’, facciamo tutta la politica, compresa quella cittadina, e tagliamo la testa al toro; noi non ne parliamo, e se è lui a parlarne, fingiamo fretta: «È tardi, arrivederci, Pablo!»

  Sono argomenti tabù sia per non dargli occasione di abbrutirsi in disforia e maledizioni all’universo mondo, sia per poter parlare di tutto il resto, per mantenerci su cordialità e affetto, e conoscenza reciproca: Pablo è quello che quando lo andavamo a trovare era capace di accoglierci anche con un «Non mi vendo per un pasto!», salvo poi stringere grande amicizia con un diciottenne dell’associazione.

  Piano piano, perché un uomo lo si conosce guardandolo da vicino, e a lungo.

  Anzi, ormai Pablo è uno che ci telefona per farci gli auguri di Pasqua. O mi telefona perché alla sua radiolina ha sentito che Papa Francesco assieme alla Comunità di S.Egidio si è “caricato” e portato in Italia alcune famiglie siriane profughe: mi fa i complimenti, che io accolgo un po’ confuso perché non è che abbiamo attuato noi nel nostro piccolo queste iniziative internazionali; ma resto del tutto sbalordito quando confessa di essere rimasto colpito soprattutto dal fatto che sono musulmani… I suoi schemi possono essere spezzati, come la sua malafede, e lui stesso l’ha compreso.

  Scrivere questo capitolo su Pablo, perciò, era doveroso non solo perché mi aveva chiesto spesso notizie dei miei libri sui senza-dimora (in cui lui peraltro non compare), ma più che altro perché è uno di quelli che ci convincono di una cosa decisiva: che al mondo non ci sono persone cattive, ci sono solamente persone incattivite.

MICHELE CAPITANI