IL TEATRO TRA VERITÀ E DENUNCIA: MARIO TRICAMO – 12. Dalla realtà al montaggio teatrale: la forza della parola. L’esempio di DC9 Itavia: il caso Ustica (1996).

di GIULIA MASSARELLI

Negli spettacoli di Mario Tricamo non c’era spazio per la fantasia, per l’astrazione, i suoi spettacoli nascevano dalla realtà e cercavano di rimane il più fedele possibile a essa. La finzione del palcoscenico spesso diventava realtà della vita, almeno per quanto riguarda il contenuto, il testo scritto, i dialoghi, i nomi e i numeri.

Ma è nella costruzione scenica che il regista messinese lasciava aperta la porta dell’immaginazione, servendosi del meccanismo del montaggio teatrale: dialoghi brevi e serrati, particolare attenzione alla parola e al ritmo, dinamicità delle azioni e la notevole presenza musicale. I movimenti e le azioni svolte dagli attori erano pensati dal regista e adattati ogni volta per spazi scenici differenti: dalle piazze, al palcoscenico, al Teatro di Documenti.

Dunque, nel teatro basato su fatti realmente accaduti di Mario Tricamo, era la forza della parola a farsi protagonista, era lei che guidava il discorso, i gesti, gli spostamenti e la musica. Era nella forza della parola, martellante come uno strumento a percussione, che risiedeva il significato e la potenza dello spettacolo.

Attraverso il movimento della scrittura, della musica – composta da Lorenza Palumbo, la quale ha lavorato anche per altri spettacoli al fianco dell’Associazione Trousse – e attraverso l’azione drammatica, che nel teatro trova espressione e ragion d’essere, il regista vuole fornire una possibile, anche se non definitiva, chiave di lettura alle vicende più oscure della storia del nostro Paese.

Infatti, Mario Tricamo, con il suo teatro, non intendeva dare una definizione ai fatti, una conclusione. Si basava su atti dei processi e li drammatizzava.

Mediante l’indagine basata su dati veri, il drammaturgo non metteva il dubbio, lui esponeva i dati, ma erano i dati stessi che infondevano dei dubbi.

 

Leggendo il testo di teatro di denuncia scritto da Tricamo DC9 Itavia: il caso Ustica – i suoi copioni non sono mai stati pubblicati e i copioni originali a noi pervenutici sono DC9 Itavia: il caso Ustica e Ilaria Alpi. Omicidio a Mogadiscio notiamo che il dialogo tra gli attori non ha momenti di silenzio, non ha pause, mantiene un ritmo serratissimo dall’inizio alla fine. In realtà, come ricorda il fratello di Mario, Antonio Tricamo, il ritmo e le pause c’erano, ma il modo di pronunciare quelle battute era scattante, le parole rimbalzavano da un attore all’altro, come una pallina da ping-pong.

Questa scelta stilistica è stata pensata appositamente da Mario Tricamo per mettere in risalto i suoi testi, più precisamente per dare maggior spessore alle parole, molto spesso riprese direttamente dalla realtà. Infatti, trattandosi di fatti di cronaca, quindi una successione di fatti ed eventi realmente accaduti, era necessario dare una veste teatrale dinamica, in azione, per non far risultare il testo troppo statico, monotono.

 

Nello spettacolo DC9 Itavia: il caso Ustica, per esempio, c’era tutto un concertato molto drammatico, ripreso direttamente dalle registrazioni della torre di controllo.

In questo lavoro, Mario, aveva costruito una drammaturgia tragica in cui le parole erano accompagnate da musica e davano immediatamente l’idea e il senso che qualcosa non aveva funzionato. Riprendeva esattamente le parole dette.

Ed è così che nel 1996, Mario Tricamo, ormai definitivamente autore teatrale impegnato, ha scritto un testo su quegli ottantuno “inabissati” a “radar spenti”. Nella performance gli attori citano atti giudiziari, denunziando silenzi di Stato, ricostruiscono la dinamica di un eccidio che attende verità. Là dove la cronaca si ferma (o inizia), lì prende piede lo spettacolo.

Nel testo di Tricamo le parole scorrono veloci, martellanti, serrate. Il clima di terrore si fa sempre più fitto anche grazie all’accompagnamento musicale – probabilmente di percussioni – che segue e sostiene il flusso della parola e le feroci interruzioni. Scorrono roboanti parole sommesse e, come una parabola che sfiora l’apice fino a terminare nel vuoto, così questo monologo dopo «solo un boato sordo» precipita, inesorabile, negli abissi più profondi, concludendosi con l’allitterazione della sibilante: Sogno / Solamente / Sogno.

Mario Tricamo, nei monologhi che inserisce nei suoi testi, fa spesso uso di figure retoriche, più precisamente di figure di suono, per evidenziare l’aspetto fonico-ritmico delle parole, come appunto le allitterazioni; e le figure di ordine o sintattiche, come l’anafora, riguardanti la posizione delle parole nella costruzione della frase, dunque per mettere in risalto una parola: Niente sirene / Niente campanelli d’allarme.

Infatti, oltre a essere accompagnati dalla musica, i monologhi irrompono e spezzano il dialogo, trasformandosi in poesia. Dunque, l’autore, alle concitate frasi e parole raccolte direttamente dalla realtà, le quali rimarranno impresse nella storia, alterna flussi e flutti di pensieri che si accavallano e parole che si sommano.

 

DC9 Itavia: il caso Ustica è il suo lavoro sugli infiniti atti giudiziari prodotti in sedici anni di indagini sulla strage aerea. Il drammaturgo siciliano compie un lavoro da cronista, attraverso una minuziosa lettura di migliaia di pagine processuali. Queste ultime contengono silenzi, rimozioni, proteste e disprezzo per la verità. Ed è in questo senso che all’assenza di pause negli spettacoli di Tricamo si oppone il silenzio assordante delle verità occultate.

Il testo di Mario Tricamo riporta i fatti accaduti il 27 giugno del 1980, quando l’aereo di linea italiano, DC9 dell’Itavia, che da Bologna sarebbe dovuto arrivare a Palermo, con a bordo 81 passeggeri, di cui 11 bambini, fu colpito, sparendo nei cieli a nord di Ustica. Intorno a questa tragedia sono sorti molti interrogativi: c’è chi ha sostenuto fosse stato un atto di terrorismo, chi pensava che l’aereo era stato colpito da un missile e chi diceva che c’era stata una rottura del mezzo stesso.

Con DC9 Itavia: il caso Ustica Mario va a sviscerare la questione, non è facile denunciare fatti di questa natura. I servizi segreti, militari e vertici politici hanno custodito un segreto inconfessabile. Solo a tratti qualche verità.

Certo è che il teatro non vuole essere un’indagine esaustiva della tragedia. Vuole narrare, invece, una ferita che ha colpito tutto il Paese sulla base dei dati certi. Ricostruire in sostanza una forma di documento. Con quei frammenti oggettivi della realtà, il regista, attraverso la tecnica del montaggio, ha ricreato un’immagine del mondo.

 

Le figure sono ricalcate su alcuni personaggi della realtà. Le fonti sono dichiarate. Si fanno nomi e cognomi. Il teatro di denuncia è dedicato a un pubblico attento che ha intenzione di capire e approfondire: quello di Tricamo è un teatro che trova nell’impegno civile l’unica sua ragione d’essere.

DC9 Itavia: il caso Ustica è un racconto frammentato, cronachistico, ritmato dal susseguirsi continuo del dialogo degli attori, commentato dall’accompagnamento musicale. Gli interpreti di volta in volta si mettono nei panni di questo o quel testimone, di questo o quel generale dell’aereonautica, pronti a portare nel racconto i loro pezzetti di verità o al contrario i loro depistaggi ben confezionati dai servizi segreti. E ancora frammenti di interrogatori davanti alla Commissione stragi, testimonianze che alcuni hanno anche pagato con la vita. A poco a poco la cronaca della tragedia viene fuori: «Cedimento strutturale dell’aereo»[1].

Ecco la tesi ufficiale che viene fornita alla stampa in un primo momento. Le testimonianze si accavallano. E vengono fuori i tanti depistaggi che nel corso degli anni hanno impedito di trovare la verità su Ustica. Si parla di nastri radar spariti improvvisamente, di scatole nere mai recuperate, di soccorsi partiti in ritardo per permettere le operazioni di depistaggio, di Mig libici e F111 americani, in volo accanto al Dc9 Itavia.

Nello spettacolo di Mario Tricamo l’azione drammatica vuole essere un atto di denuncia contro la congeniale attitudine di politici e militari di coprire le verità che il popolo non deve sapere.

Il teatro di denuncia si impone agli spettatori come espressione di un teatro che si vuol fare portavoce di istanze civili e politiche, che vuole diventare protagonista attivo della crescita morale del nostro Paese a cui da troppi anni ha diritto e aspira.

 

Nel 1998 Mario Tricamo scrive e dirige un altro testo di impegno civile, S come strage: Piazza Fontana. Questo secondo lavoro ricostruisce gli eventi del 12 dicembre del 1969, vale a dire l’eccidio di Piazza Fontana.

La commistione tra finzione teatrale e cruda realtà torna sul palcoscenico con questa seconda opera di teatro di denuncia. Qui Tricamo esamina le carte di uno dei misteri italiani più biechi e più sconvolti da infinite manomissioni. Lo fa con i mezzi del teatro, rievocando – come consueto nel suo modo di lavorare – le precise identità di allora, le parole di allora e gli sviluppi successivi e clamorosi delle inchieste.

 

Il modo di raccontare di Mario Tricamo, ovvero il modo in cui veniva detta una parola, era caratterizzato da un’accelerazione, rallentamento attoriale per mettere in evidenza un punto o un altro e su questo lui lavorava. Musicalità e forza della parola. Infatti, per il drammaturgo siciliano, la parola in teatro doveva avere una forza, perché altrimenti non funzionava, in più la parola di un lavoro drammatico non poteva avere altre interpretazioni, doveva essere esatta nel suo esser detta, doveva essere piena del suo senso.

Pur servendosi di avvocati, documenti, studio approfondito, i testi li scriveva da solo e subivano continue modifiche nel corso delle prove e delle differenti messe in scena. Essendo suo il testo, Mario verificava la funzionalità con gli attori stessi e gli spazi a disposizione.

GIULIA MASSARELLI                                                                                                               (continua)

[1] DC9 Itavia: il caso Ustica, Copione di Mario Tricamo, 1996.