“OLTRE LA LINEA” A CURA DI SIMONETTA BISI E NICOLA R. PORRO – ODESSA, O SOLE MIO.

di SIMONETTA BISI

Che bella cosa ‘na jurnata ′e sole

N’aria serena doppo ‘na tempesta!

Pe′ ll’aria fresca pare gia’ na festa

Che bella cosa ‘na jurnata ′e sole

Non conoscevo la storia della città di Odessa, non sapevo della forte presenza napoletana nel XIX secolo, e che l’italiano fu per un periodo la lingua ufficiale (con accento napoletano? Forse, mi piace pensarlo). È di parte la mia commozione – devo confessarlo – perché a Napoli ho metà delle mie radici: mia madre era napoletana, cantava bene e mi ha insegnato da piccola le canzoni della sua terra che ha sempre amato, anche se la guerra l’ha allontanata per sempre. Vedendo le case ucraine bombardate penso alla bella palazzina dei nonni materni, in pieno centro della città partenopea, distrutta dalle bombe e svuotata dagli sciacalli di tanti oggetti e quadri preziosi di famiglia. Mia madre non è più tornata con piacere a Napoli, preferiva la costiera amalfitana, le isole. Questi ricordi mi aiutano a partecipare con commozione alle terribili notizie che provengono da un Paese che un invasore vuole annettersi per delirio di imperialismo. Per questi motivi mi fa piacere condividere questa storia di Odessa con gli amici del blog, per ricordare com’era e aiutarla a tornare come prima, anche se il dolore di chi ha subito perdite di persone e di cose rimarrà come una cicatrice mal curata, destinata a stillare per sempre gocce di sangue.

Parliamo allora della Odessa “dei napoletani”.

Nel 1794, Giuseppe De Ribas, nato a Napoli da un nobile spagnolo al servizio dei Borboni, fondò la città di Odessa, in Ucraina, organizzandone il porto, la flotta e il commercio, rendendola una città importante per il Mar Nero e il Mediterraneo. Al posto di Odessa “città leggendaria”, come la definisce Charles King, docente di Affari internazionali della Georgetown University di Washinghton, nel suo recente libro Odessa (Einaudi 2014), sorgeva un villaggio, Khadjber, abitato dai tatari. De Ribas entrò in contatto con questo lembo di terra quasi fortuitamente, in quanto Ufficiale di collegamento al servizio dell’Ammiraglio Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, principe e amante dell’imperatrice Caterina, il cui obiettivo, dopo la sconfitta dell’impero ottomano, era di estender verso Ovest il grande impero russo. De Ribas ribattezzò il villaggio Odesso, in omaggio alla vecchia colonia greca che si estendeva sulla costa. Luogo di incontro tra la civiltà orientale e quella occidentale, multiculturale per la sua stessa natura geografica, situata alla foce di grandi fiumi, tra cui il Danubio, divenne presto il cuore pulsante dell’impero meridionale della zarina Caterina, la quale per la sua stessa forza ed importanza geo strategica ribattezzò il villaggio al femminile, Odessa.
Ben presto, a Odessa si costituì una colonia italiana, che nel 1850 contava circa tremila abitanti, quasi tutti di origine meridionale. Rilevante fu il contributo che questa comunità diede alla fondazione, allo sviluppo e all’economia dell’impero russo. L’italiano rimase lingua ufficiale dell’attività economica della città. Cartelli stradali, passaporti, liste dei prezzi erano scritti in italiano, e la comunità italiana ha lasciato la sua presenza nella cultura di questa città alle porte del Mar Nero, soprattutto nell’ambito dell’architettura. Il napoletano Francesco Frapolli fu nominato architetto ufficiale della città da Richelieu, nel 1804 e fu lui a progettare la monumentale Opera di Odessa e la Chiesa della Trinità.

La famosa canzone O’ sole mio fu scritta e composta a Odessa nel 1898 da Giovanni Capurro e Eduardo Di Capua, due napoletani che in quel tempo si trovavano nella città russa. La musica si ispirò ad una bellissima alba sul Mar Nero e fu dedicata alla nobildonna oleggese Anna Maria Vignati Mazza. Il brano non ebbe immediato successo a Napoli, salvo poi diventare famosa sulle sponde del Mar Nero e da lì divenire canzone patrimonio della musica mondiale.
Inoltre, grandi attori teatrali come Tommaso Salvini, Ernesto Rossi ed Eleonora Duse contribuirono alla formazione dell’Opera di Odessa, facendo della città la più europea e mediterranea dell’impero russo.
Tuttavia, il peso della colonia italiana diminuì progressivamente nella seconda metà dell’Ottocento (nel censimento del 1900 la comunità italiana contava solo 286 unità), ma l’impronta italiana nella città è evidente tutt’oggi. Odessa, città di frontiera tra est e ovest, in realtà vanta radici nell’Italia meridionale. E ieri come oggi, la costa del Mar Nero rimane una regione di frontiera tra l’Europa occidentale e quella orientale.

OGGI

Odessa trema: quattordici navi russe in arrivo da Est.

Le navi sono arrivate. Partono le bombe che si abbattono sulla città.  Piovono bombe da terra e dal mare su Odessa e su Mariupol. Cadono sulle case dei civili, sui monumenti, cadono le bombe di Putin, per distruggere non solo la città, ma la sua cultura, la sua storia.

Una guerra vigliacca vuole appropriarsene con la violenza, vuole annientare Odessa e tutta l’Ucraina. Vuole farne un paese fantoccio sotto gli ordini della Russia di Putin.

Le immagini dell’orrore non ammettono dubbi, non siamo in un videogame, i corpi di donne e bambini sono cadaveri reali, ammazzati senza motivo: non avevano alcuna arma in mano. La ferocia disumana di chi uccide deliberatamente civili inermi è quella dei killer, pagato per farlo. Aggiungiamo le tante morti innocenti dovute al missile “caduto per sbaglio” sull’ospedale pediatrico, come afferma la propaganda russa.

E allora: dobbiamo solo fare il possibile e l’impossibile per aiutarli a difendersi, per non assuefarsi alle atrocità che quotidianamente ci mostrano le televisioni in presa diretta.

Ripensiamo alle radici comuni, guardiamoci con fratellanza e unione. Non lasciamoli soli, così come non vorremmo noi essere lasciati soli in una, non impossibile, situazione analoga.

SIMONETTA BISI