Noi qui non ricamiamo cuscini
di ROSAMARIA SORGE ♦
Noi donne dall’inizio del secolo scorso ad oggi abbiamo percorso un lungo cammino e tante leggi sono state acquisite grazie anche al nostro impegno, dal divorzio che è stata una delle leggi per la quale siamo scese in campo, con compagni di percorso dubbiosi e non sempre solidali, alla legge 194 sulla procreazione responsabile, fino alle leggi di tutela della maternità e del lavoro; alcune scelte non sono state condivise da alcune di noi, come le quote rosa e altre come la declinazione al femminile di cariche e professioni si sono rivelate divisive anche tra donne della stessa area ideologica.
Un passo decisivo deve ancora essere fatto per fermare i femminicidi, espressione di una società patriarcale che considera le donne un oggetto e non un soggetto con emozioni e diritti, ma questo passo deve andare oltre le leggi e deve incidere profondamente nel tessuto culturale del paese passando principalmente dall’istruzione o meglio dall’educazione del maschio e dalla scuola, anche se va sottolineato che in molti casi il tracciamento attraverso braccialetto elettronico comincia a dare i suoi frutti.
Detto questo vorrei entrare nel merito del discorso che mi interessa e che da senso al titolo di questo articolo.
Noi architetti donne e uso il temine architetti e non architette, termine per le quali ho una certa idiosincrasia, come del resto l’aveva Zaha Hadid che reagiva bruscamente a chi la chiamava architetta e che sicuramente susciterà la riprovazione di care amiche presenti nel Blog, da indagini accurate risultiamo esserci laureate mediamente con voti più alti dei colleghi maschi ma occupiamo meno posti nella gestione del governo del territorio, siano esse di natura tecnica siano esse di natura politica. Eppure ci contraddistingue una concretezza e una sensibilità più accentuata a detta di molti e forse anche una visione della trasformazione del territorio più orientata verso un’attenzione per il sociale.
Nel 1994 -1995 fu varata la Carta europea delle donne nella città, sovvenzionata dalla UE e in particolare dalla Commissione europea per le pari opportunità che pone tra i suoi obiettivi «pensare e rimodellare la città attraverso lo sguardo delle donne al fine di apportare un’altra dimensione e nuovi equilibri, […] perché le donne sono assenti o particolarmente invisibili a tutti i livelli decisionali soprattutto nelle scelte che creano e generano la città, l’abitare e la pianificazione territoriale.
Preservare il territorio e assicurare uno sviluppo duraturo, promuovere una maggiore qualità della vita per tutti e tutte con maggiore equità, porre rimedio al disfunzionamento urbano e lottare contro l’intolleranza, costruire una democrazia più attiva, più equilibrata sono gli obiettivi da raggiungere e le donne non possono rimanere escluse da questo processo.
Non da meno rimodulare i tempi della città che attualmente riflettono poco le esigenze delle donne e della famiglia.
Nell’approssimarsi dell’8 marzo ho voluto porre l’accento su una delle tante discriminazioni che ancora persistono nell’immaginario maschile, lo stesso per il quale Le Corbusier ad una giovane donna laureata in architettura di nome Charlotte Perriand che si era presentata nel suo studio nel 1927 per un tirocinio disse: noi qui non ricamiamo cuscini e le mostrò la porta di ingresso.
Charlotte Perriand fu un grande architetto di notevole talento e dovette dare ampia prova delle sue capacità perché Le Corbusier ritrattasse quella sciocca battuta.
Noi donne abbiamo smesso da tempo di ricamare cuscini e abbiamo imparato a ricamare le pietre, e quando serve abbiamo imparato anche a lanciarle.
ROSAMARIA SORGE
❤️
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Complimenti bell’articolo che condivido a e per nome di tutte le donne lavoratrici che oltre lavorare duramente si devono difendere da uomini arroganti e inefficienti
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Compagne amiche e sorelle care,
Molti sono gli spunti dell’articolo di Rosamaria. Vi invito ancora però, non per convincerci per forza. Ognuno può farsi chiamare come vuole.
Perché “architetta” al femminile è percepito come uno sminuire?
Questo è il punto.
Una volta si sarebbe detto: “sessuare il linguaggio è una necessità primaria del femminismo.”
Chi non viene nominato non esiste. Non cMe cacofonia, non c’è volontà di sminuire.
Ha a che fare con il potere!
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Valentina con il tempo mi sono abituata al termine architetta ma rimane il fatto che è lo stesso brutto e in cantiere ti ci chiamano con una sorta di pausa tra archi e tetta per non evidenziare che io comunque vengo chiamata architetto mentre la finale con la a viene spesso riservata a qualche mia giovane collaboratrice, quindi è nell’immaginario degli altri, donne comprese che avviene questa distinzione di valore
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Carissima Architetto,
sono d’accordo con te.
La forma mai potrà sostituire la sostanza.
E’ meglio una “architetta” maltrattata oppure
un “architetto” (femmina) rispettato?
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Grazie Rosamaria per il tuo pensiero forte libero e convincente. Mai saputo ricamare!! Ma che bel ricordo storicamente inquietante e più chiaro di tanta retorica.. ❤️👏
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Nella mia situazione famigliare non so dire quale genere sia preferito dalle mie varie congiunte, che sicuramente svolgono la professione senza soffermarsi a pensarci su. A parte i tantissimi e apprezzatissimi colleghi amici, posso dire che ho sempre lavorato molto meglio con colleghe, bravissime e leali. Per il resto, credo che l’indole di ciascuna persona sia un fatto indipendente dal genere, mentre certamente ci sono caratteristiche proprie di questo, il che vale però per tutte le attività umane. Buon senso, buon gusto, buona preparazione si coltivano e si accrescono a prescindere.
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Aggiungo una annotazione. Ho detto più volte dell’ammirazione che avevamo nel nostro studio di studenti di architettura in via Grazioli Lante della Rovere (Gruppo A/Nuova Città: quattro studentesse e uno studente, io), tanto da chiamarlo “Papà” (non “Mamma”, naturalmente). Ma la stupidità e il pregiudizio si possono trovare ovunque. Devo dire, però che il ricamo è una nobilissima arte, che può essere praticata o conosciuta anche da chi fa architettura. Tu, Rosamaria, lo sai, da siciliana: dei lavori delle mie nonne e bisnonne, ti assicuro, hanno a monte pregevolissimi progetti e sono opere più complesse ed artistiche d’un piano urbanistico. Devo dirti anche che mio padre, che aveva frequentato alle medie una classe a maggioranza femminile, pur divenuto poi bravo avvocato, valoroso soldato e benemerito cittadino in vari campi, sapeva ricamare benissimo…
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Tra ricami e uncinetti, chilometri di strisce ad uncinetto, ho ancora i cassetti pieni e la magnificenza del ricamo traforato siciliano non è paragonabile a nulla di altrettanto bello; io ci trovo una maestria straordinaria e se una donna sa tirare fuori cose così belle da un pezzo di stoffa bianca è in grado di fare qualunque cosa; detto questo tocca aggiungere che nell’immaginario maschile questo genere di lavoro è ritenuto di scarsa importanza e relegato tra quelli specificamente femminili . Ma che meraviglia un uomo che sa ricamare!!!
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