IL TEATRO TRA VERITÀ E DENUNCIA: MARIO TRICAMO – 7. Piscator e Brecht: dal teatro di propaganda al teatro epico

di GIULIA MASSARELLI

Attraverso la realizzazione del teatro politico, cioè aperto realmente ai bisogni di un pubblico popolare, si può trasformare il rapporto esistente tra teatro e società. Il teatro politico prendeva posizioni ed esprimeva istanze precise; rivolgendosi a tutti, il suo scopo era di cercare un pubblico che si ritrovasse in queste posizioni e in queste istanze, e fosse disposto ad accoglierle. Dunque, superare lo scarto tra teatro politico e pubblico, significava trasformare quest’ultimo da comunità definita in pubblico teatrale. A questo proposito entra in campo un’altra importante, anzi fondamentale, figura, uno massimi autori, teorici e registi del teatro contemporaneo: Bertolt Brecht (1898-1965).

La valutazione di Brecht nei confronti del teatro politico è complessa. Da un lato riconosce che il proprio modello di teatro non sarebbe potuto nascere senza la svolta politica operata da Piscator: “Senza questa svolta il teatro dello scrittore (Brecht) non sarebbe neppure pensabile”[1]. Dall’altro lato Brecht evita costantemente di presentare il proprio teatro come una variante o uno sviluppo della formula del teatro politico adottata da Piscator.

Erwin Piscator (1893-1966) esordì come regista nel 1920 a Berlino e operò poi alla Volksbuhne dove dal 1924 al 1927 tentò la creazione di un teatro autenticamente proletario che, in opposizione al consueto teatro di propaganda, non affidasse la sua efficacia esclusivamente al contenuto dei drammi rappresentati, ma adeguasse ai fini politici tutti gli elementi della messa in scena. Piscator nei suoi spettacoli utilizzava costruzioni sceniche particolarmente complesse e articolate, sequenze filmate, nastri scorrevoli e ogni sorta di altri meccanismi scenografici, sottolineando la stretta connessione degli eventi rappresentati con le reali circostanze sociali ed economiche della vita contemporanea, e l’esigenza di trasformarle con la lotta rivoluzionaria.

Piscator si può inquadrare in uno dei momenti più travagliati nella vita del popolo tedesco; fu uno dei protagonisti dei violenti movimenti di carattere comunista, ma egli volle sempre mantenere la sua attività nell’ambito del palcoscenico, nel mondo del teatro, tentando di far capire ai suoi contemporanei che questo teatro, il suo teatro, doveva essere considerato esclusivamente come un fatto politico, non un fatto artistico o estetico. Quando Piscator parla della sua attività teatrale come di propaganda, propaganda politica, propaganda come azione politica, indica il dramma non espresso di tutti i giovani rivoluzionari della sua generazione, che si erano battuti contro l’indifferenza del popolo tedesco. I suoi spettacoli miravano a trascinare lo spettatore nel turbine della passione politica, a suscitare i primi germi di quella rivoluzione marxista di cui, Piscator, riusciva a dimostrare le condizioni obiettive e le necessità dialettiche; il drammaturgo, però, ogni volta costatava che il suo lavoro destava solo una breve fiammata nel cuore dei suoi spettatori.

Piscator trasforma il teatro per il popolo in un luogo di propaganda rivoluzionaria. Ciò che chiede all’attore è rendere la dimensione sociale del personaggio, non la sua individualità psicologica, perché il teatro deve raccontare l’epoca, portare il dramma dell’individuo in relazione alla Storia, sia quando si tratta di drammi moderni di argomento esplicitamente politico, sia quando vengono messi in scena i classici.

L’idea di Piscator era che, una regìa basata su una complessa macchineria scenica, riuscisse a dare incisività alla dimensione politica, perché in grado di raccontare la Storia attraverso strumenti di comunicazione diretti, efficaci e moderni. Il teatro ha bisogno di essere teatrale, solo così può pretendere di essere effettivamente propaganda. Teatro totale, dunque, un teatro come strumento musicale da mettere nelle mani del regista. Di conseguenza, la regia diventa un fatto autoriale e impegno politico. La direzione del teatro proletario deve conseguire: semplicità nella parola e nella scena, azione chiara e inequivocabile sui sentimenti del pubblico operaio, subordinazione di ogni intenzione artistica allo scopo rivoluzionario: mettere coscientemente in valore e propagare l’idea della lotta di classe. Gli interpreti non saranno più dilettanti, in quanto il teatro proletario realizza, innanzitutto, la propaganda e l’approfondimento dell’idea comunista, e ciò non può essere naturalmente compito di una singola professione ma solo aspirazione di una collettività nella quale il pubblico rappresenta una parte non meno importante di quanti agiscono sul palcoscenico. Alle spalle di ciò c’è il concetto di teatro popolare che non deve essere il luogo di una predicazione moralista, ma un luogo che serva a rivitalizzare lo spirito sottomesso delle masse popolari, sottratto all’egemonia della borghesia e fatto tornare a vivere tra il popolo. Il teatro non doveva più agire sullo spettatore solo dal punto di vista sentimentale, non doveva più speculare sulla sua capacità emotiva: si rivolgeva invece intenzionalmente alla sua ragione. Non doveva più provocare slancio, entusiasmo, abbandono, ma comprensione, cognizione, idee.

Il teatro di Piscator aveva bisogno di un pubblico proletario senza pregiudizi, ingenuo, ricettivo, che subisce il fascino degli avvenimenti secondo il loro contenuto, la loro sostanza.

A sua volta, Brecht, evita di presentare il proprio teatro come una variante o uno sviluppo della formula adottata da Piscator, sviluppando il modello del teatro epico.

Bertolt Brecht cominciò la sua carriera come scrittore – dopo aver studiato medicina e aver prestato servizio come infermiere in un ospedale militare durante la guerra – utilizzava le tecniche espressioniste per comunicare una visione nichilistica dell’uomo. La prima fase della carriera di Brecht si concluse nel 1926 e la svolta fondamentale nella sua attività di autore è costituita dal dramma Mann ist Mann (Un uomo è un uomo, 1926), in cui si possono ritrovare i germi della consapevolezza sociale e delle intenzioni didattiche che avrebbero poi caratterizzato la sua opera successiva. In quest’epoca Brecht cominciò a studiare il pensiero di Marx, sviluppando progressivamente il proprio interesse politico che lo portò al tentativo di trasformare il teatro secondo una prospettiva coerentemente marxista. Il suo obiettivo principale è la risistemazione dei rapporti tra lo spettatore, la rappresentazione teatrale e la società. Questa risistemazione esige l’abbandono della forma consueta del teatro, che Brecht chiama drammatica o aristotelica. Nel teatro aristotelico lo spettatore è infatti ridotto a una completa passività perché gli eventi sono rappresentati come fissi e immutabili, secondo una logica di stretta concatenazione, che li lega gli uni agli altri nello sviluppo del dramma. Tale effetto viene inoltre rinforzato dalle pratiche sceniche illusionistiche sviluppate dal naturalismo, che conferiscono ai particolari una tale aura di stabilità che i valori tradizionali ed i modi di comportamento sembrano immutabili e immodificabili. Nel nuovo teatro socialmente impegnato, secondo Brecht, lo spettatore deve invece essere messo in condizione di giudicare criticamente quanto viene rappresentato e di collegarlo alla realtà sociale che lo circonda nella vita reale, fuori dal teatro. Per questo è necessario ricorrere a tecniche particolari, dirette a provocare nel pubblico l’effetto straniamento, che rende gli eventi e i personaggi rappresentati nuovi e curiosi in modo da ostacolare l’identificazione del pubblico con quanto accade sulla scena, e sollecitarne invece l’attenzione critica. L’attività teatrale non può non essere condizionata dalle vicende politiche, così come non può evitare di esercitare in campo politico la propria influenza. Di qui nasce l’insopprimibile carattere politico che il teatro possiede in ogni tempo e in ogni circostanza. Brecht osserva: “La capacità di operare sulla realtà politica è insita nell’attività teatrale. Pensare, scrivere, rappresentare un dramma significa infatti trasformare la società, trasformare lo stato, controllare le ideologie”[2]. La validità politica del teatro coincide con la sua validità artistica. Nella prospettiva brechtiana, la capacità politica dell’arte è fondata sulla relazione che sussiste tra gli sviluppi dell’attività artistica e gli sviluppi dell’attività politica all’interno del processo storico generale. Non nasce dal rapporto diretto ed esclusivo di attività artistica e attività politica, ma dalla loro comune partecipazione al processo di trasformazione storica.

Piscator, trasformando il teatro per adeguarlo alle esigenze della lotta di classe, ha concretamente avviato il processo che permette di modificare la posizione del teatro nella connessione degli sviluppi dell’attività umana. Ha infatti operato l’indispensabile rifiuto del punto di vista estetico e considerato il fenomeno della produzione teatrale dal punto di vista extra-artistico della lotta politica. Nella prospettiva brechtiana l’operazione condotta da Piscator è però insufficiente. Il compito fondamentale non è infatti adeguare il teatro alle necessità della lotta di classe. È renderlo conforme ai caratteri e alle esigenze che lo sviluppo storico generale esprime nella nostra epoca.

Il teatro di Brecht si presenta come il corretto superamento della formula del teatro politico di Piscator. Mentre ne mette in luce i limiti, sembra accoglierne tutte le esigenze: il riconoscimento dell’insopprimibile carattere politico del teatro, la necessità di verificare i risultati dell’attività teatrale alla luce dei caratteri e delle esigenze della lotta politica, il desiderio di mettere a punto un teatro che favorisca l’azione delle forze politiche rivoluzionarie.

È con Piscator e Brecht che l’idea di teatro politico fa una svolta. Il legame con i processi rivoluzionari diventa stretto: più organico quello di Piscator, più problematico quello di Brecht.

GIULIA MASSARELLI                                                                                                               (continua)

[1] L’acquisto dell’ottone, in Scritti teatrali, II, 85, in Vicentini C., La teoria del teatro politico, Sansoni Editore, Firenze, 1981.
[2] Contro il carattere organico – e per l’organizzazione – della celebrità, Scritti teatrali, I, 113, in Vicentini C., La teoria del teatro politico, Sansoni Editore, Firenze, 1981.