“LE PROMESSE DELL’EQUINOZIO” DI CARLO ALBERTO FALZETTI – LETTERA AL MIO CORPO
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Corpo mio carissimo,
siamo sempre stati assieme. Ti ho visto trasformarti nel tempo. Ho vissuto momenti meravigliosi tramite te. Mi hai dato tanto: mi hai concesso il piacere, il gusto dei sapori. Mi hai dato la possibilità di ascoltare suoni che mi entusiasmavano, mi rasserenavano.
Corpo, spesso mi hai dato preoccupazione, dolore, agitazione.
Ora sento quanto sei affaticato. Vorresti fermarti, esaurire la tua forza, arrivare alla stasi dopo tanta fatica. Sistole e diastole, incessantemente in alternanza, senza mai una sosta. Capisco lo sforzo, capisco la faticosa forza di continuare.
Io ti confesso quanto aneli a proseguire con i miei affetti, i miei sapori, i miei colori. Ma capisco anche che per proseguire dovrei scambiarti con un organismo del tutto nuovo e mandare te a riposarti per sempre, esausto sistema che tanto hai fatto.
Ma tutto questo non è possibile e, dunque, debbo accettare il tuo esaurirti.
Tuttavia, nel momento in cui tu, mio corpo, precipitassi in un baratro, cessando del tutto alcune tue funzioni io non saprei più come poter vivere nella mia modalità, nella modalità che rappresenta la mia individualità, la mia persona. Corpo, ti ho sempre avuto con me ma io non sono te. Io vivo per il tuo tramite, certo, ma io sono altro da te.
Queste mani che ora guardo sono mie nel senso che appartengono al mio organismo ma in un certo senso non sono me, sono qualcosa che s’è sviluppato con me. Potrei dire che mi sono estranee quanto estraneo è tutto il corpo. Che cosa sono tutto l’intreccio dei miei organi interni, organi che io non ho mai visto e che se anche vedessi a seguito di una operazione non potrei che pensarli come oggetti estranei .
Se tu, corpo, difettassi gravemente io sarei potentemente ed inesorabilmente influenzato dal tuo collasso. A che mi servirebbe una tua forzata sopravvivenza? Se la vita, nella mia modalità di affetti, di colori, di sapori, di suoni, di luci, di relazioni ,fosse per tua causa devastata a che gioverebbe il tuo parziale movimento di sistole e diastole, i tuoi fluidi in movimento, le tue alchimie, il tuo metabolismo? Un puro fatto meccanico che non mi riguarda. E non mi riguarda perché non mi può più fornire la base per la modalità di vita che io ho svolto nel mio tempo.
Mio corpo, io penso che la morte vera sia l’interruzione della vita nella mia personale modalità. Se io morissi in termini di vita a che mi servirebbe il tuo essere in movimento. A che mi servirebbe il fatto che il sangue circola, che il polmone acquisisce ossigeno, che i liquami sono espulsi?
La morte è il venir meno della vita vissuta . La morte è ciò che mi riguarda non ciò che riguarda l’organismo con il quale coabito.
Io muoio quando la mia vita, così come io l’ho desiderata, vissuta, non può più essere. La morte biologica è la morte del mio organismo, non la mia morte.
Con rispetto ed ammirazione per ciò che mi hai dato.
. . .
Quanti sono coloro che il destino ha condannato ad essere morti pur avendo il proprio organismo biologico funzionante, seppur parzialmente?
Il “suicidio assistito” è progetto di legge non ancora approvato e, forse non lo sarà a breve.
Qual è la definizione di morte, qual è la definizione di vita?
Quanto si crede veramente alla “sacralità della vita” e quanto è squallida ipocrisia o addirittura, ricerca meschina di voti elettorali?
CARLO ALBERTO FALZETTI
Non mi ci ritrovo, sento di essere profondamente una cosa sola, il mio essere non è limitato al mio pensiero, le mie emozioni, passioni, sapere e quant’altro. Saranno i miei passati sanitari e il presente, ma mi sento profondamente fuso col mio corpo, anche il pensiero scaturisce dall’attività cerebrale, ne sono convinto se pur non nego la possibilità di una sorta di coscienza staccata dal fisico, cosa che non saprei comunque descrivere, un mistero che ho idea rimarrà tale. Per me il limite fra la vita e la morte é qualcosa di indefinibile se non forse definibile nella capacità di pensare. Certo non discuto la inalienabile libertà di decidere della propria vita dell’individuo, ma il dubbio è invece atroce nel momento in cui l’individuo non é più in grado di decidere, ecco.. allora davvero per me é difficile prendere una qualsiasi posizione.
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Hai reso bene la distinzione fra vita biologica e quella che si può definire vita biografica. Questa è fatta di progetti, aspirazioni, relazioni, sentimenti. Non sempre questi due concetti di vita sono in armonia fra loro. Può cambiare una rispetto all’altra, ma non può esserci l’una senza l’altra. Una vita solo biologica non è vita, intesa come degna di essere vissuta, ma non esiste una vita biografica senza vita biologica. La nostra grande illusione è mettere la nostra vita biologica al servizio di quella biografica: ad un certo punto una delle due ci tradirà e dovremo essere liberi di scegliere cosa fare della seconda.
Enrico Iengo
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Tutta colpa di La Mettrie se la macchina si è identificata sempre più con l’esser uomo. Stupisce che a sostenere la sacralità della vita biologica sono coloro che più si richiamano ai valori dello spirito.
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D’Holbach e La Mettrie sono “colpevoli” di quel materialismo radicale, totalitario sconosciuto alle altre menti dell’Illuminismo e apprezzato da Leopardi, che poi però come poeta sentiva il bisogno di aprire le finestre sull’illusione dell’anima che sogna, immagina e ricorda. Ma per non indurre in equivoci intollerabili ribadiva che anche il pensiero è materia pensante. E basta. Sentire così tanto il peso del corpo ha appesantito anche il suo materialismo di cui ha scelto l’ala più estrema.
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Ma poi rivolgeva alla luna domande di senso di dimensione cosmica. E noi?
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