“OLTRE LA LINEA” A CURA DI SIMONETTA BISI E NICOLA R. PORRO – In guerra con la modernità: una recessione democratica? (V)
di NICOLA R. PORRO ♦
Il New York Times ha definito come «conflitto culturale» le insorgenze no vax che si sono sviluppate in Europa. Non pochi osservatori, al contrario, negano l’esistenza di una riconoscibile «cultura» no vax. La protesta risponderebbe piuttosto a un mix di sentimenti – paura, diffidenza, pura e semplice disinformazione, generica insofferenza per obblighi e divieti – che rispondono a motivazioni disparate senza tuttavia poggiare su credenze e valori condivisi. Secondo questa tesi, solo una minoranza sarebbe sedotta da teorie cospirative o da una sorta di rivolta ispirata allo scetticismo verso la scienza che si traduce in una rabbiosa delegittimazione del ruolo sociale degli esperti. Non casualmente nel contesto europeo le resistenze maggiori sono venute dall’area di lingua tedesca, più sensibile di altre agli influssi della cosiddetta medicina alternativa, e dai Paesi post-comunisti, per memoria storica meno inclini a dare fiducia alle politiche dei governi. Anche nel caso italiano, del resto, abbiamo già osservato come le categorie strutturali – dall’estrazione sociale alla condizione economica – e le preferenze politiche non presentino una relazione significativa con la protesta no vax. Le stesse simpatie manifestate dalla destra estrema appaiono ai più strumentali e non sarebbero comunque ricambiate dalla maggioranza degli antivaccinisti. Ha osservato tuttavia Maurizio Ferrera come i movimenti neo-populisti europei rispondano ormai da alcuni decenni esclusivamente a logiche di azione «contro» e tendenzialmente monotematiche. La figura del nemico, essenziale alla costruzione ideologica dei populismi, è identificata di volta in volta nella «casta», nell’euro, negli immigrati, nell’Islam. Simulando una minaccia incombente, la propaganda neopopulista mira a erigere il simulacro di un «popolo» immaginario cui dare in pasto un nemico comune. Enfatizzarne la presunta pericolosità è utile a generare e drammatizzare la classica opposizione noi-loro, buoni-cattivi. Di poco altro si compone il programma politico di forze attive da anni ai confini del nostro Paese: il Partito delle Libertà in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la Sinistra Libera e il Mass Voll in Svizzera. Le campagne contro il «nemico» vengono affidate a una propaganda ripetitiva e martellante, che insiste compulsivamente su poche questioni giudicate di forte impatto emotivo e remunerative in termini elettorali. Per qualche esempio nostrano va ricordato il battage scatenato da Salvini in tema di immigrazione durante il governo Conte I o le forsennate tirate anticasta del grillismo della prima ora. I nemici possono variare o moltiplicarsi secondo le convenienze. Le sparate di Bossi alla fine dei Novanta contro «Roma ladrona» si sono più tardi indirizzate all’euro e ad ambigue suggestioni di Italexit. Nella prima decade del Duemila Marine Le Pen aveva invece scatenato un’insistente campagna contro il fantomatico «idraulico polacco» responsabile in Francia della crescita della disoccupazione. A seguire verranno poi le denunce contro l’islamizzazione, le proteste contro i tecnocrati europei e l’incoraggiamento a imitare sulla strada della secessione dalla Ue la virtuosissima e patriottica Gran Bretagna.
Codici, linguaggi e forme comunicative del movimento no vax, per quanto morfologicamente sfuggente, lo collocano – lo si è ripetuto più volte – nella galassia dei nuovi populismi. La rivolta antivaccinista, affievolitasi con il progressivo ridimensionamento dell’allarme pandemia, potrebbe riprendere vigore cavalcando la prevedibile reazione alle sanzioni e magari tentare una mobilitazione contro i possibili costi sociali della transizione verde. I no vax si nutrono infatti di un naturismo naïf venato di ribellismo anarcoide che poco o nulla ha a che fare con autentiche sensibilità ecologistiche. Una prova del fuoco alla quale sono attese le democrazie liberali, costrette a imporre norme rigorose a tutela di un bene pubblico come la salute ma esitanti nell’adozione di misure rigorose adeguate al livello della sfida.
L’intreccio di questione ambientale, democratica ed energetica sarà inevitabilmente al centro dell’agenda politica, tanto più in presenza di uno scenario internazionale turbolento. Lo stesso presidente americano ha parlato, in occasione del Summit for Democracy tenutosi in remoto il 9 e 10 dicembre 2021 con la partecipazione di oltre cento capi di Stato e di governo, di una sorta di «recessione democratica». Freedom House, la più autorevole agenzia di documentazione sui diritti umani e le libertà politiche, ne ha segnalato una contrazione persino negli Usa e nei Paesi leader dell’Occidente. Episodi paradigmatici sono stati rappresentati dal già ricordato assalto scatenato nel gennaio 2021 a Capitol Hill da manipoli di fanatici sostenitori di Trump e l’attacco alla sede nazionale della Cgil messo in atto a Roma il 9 ottobre dello stesso anno, al termine di una manifestazione no vax, da squadristi di Forza Nuova. Episodi da indagare con la dovuta serietà ma senza cedere a indebite generalizzazioni: non esistono rigorosi nessi causali fra disagio sociale e insorgenze eversive. La prolungata pandemia ha piuttosto acuito fratture sociali preesistenti e generato inedite polarizzazioni politiche nuocendo alla salute delle democrazie. Una crescente disaffezione veniva registrata già nel dicembre 2020 da un sondaggio condotto in area Ue, secondo il quale il “disincanto” per le istituzioni democratiche toccava il 46% degli intervistati, e ben il 60% fra gli italiani, aggrediti dal virus prima e più duramente di altri. Ciò conferma come la pandemia abbia generato un’insicurezza diffusa e insieme reso visibile quel potere di costrizione cui nessun regime politico-istituzionale può rinunciare quando occorra affrontare acute emergenze sociali.
Intere generazioni cresciute nell’illusione dell’onnipotenza tecnologica hanno dovuto fare i conti con la loro individuale vulnerabilità ma hanno anche materialmente toccato con mano la dimensione potenzialmente globale del rischio. Progressivamente, superando le diffidenze registrate nella prima fase dell’offensiva pandemica, si è fatta strada una domanda di protezione indirizzata sia alle istituzioni sia alle competenze scientifiche. La disciplinata accettazione da parte degli italiani di vincoli, divieti e restrizioni – dal lockdown alla vaccinazione di massa iniziata nel 2021 -, è apparsa sorprendente a osservatori prigionieri di antichi pregiudizi, ma ha sancito nient’altro che la ragionevole rilegittimazione del ruolo della scienza e della funzione delle istituzioni. Qualcuno ha parlato di un «patto faustiano» fra Stato e cittadini: protezione in cambio di obbedienza. Certamente si è ridimensionata un’idea di governo inteso come puro dispensatore di benefici in cambio di consenso elettorale. Il potere politico ha dovuto esigere un’osservanza rigorosa degli obblighi vaccinali imponendo un’obbedienza di carattere straordinario ma limitata nel tempo e regolata da procedure rispettose dei diritti fondamentali. Fondamentale per il successo della campagna è stato il ricorso a competenze non limitate all’area medico-sanitaria ma estese agli aspetti logistici e operativi di una campagna di vaccinazioni a scala totale e della gestione di una complessa macchina organizzativa. La propaganda no vax si è così rivolta verso il feticcio di una democrazia “coercitiva” e contro la presunta esondazione del potere della scienza. Ingredienti polemici variamente mescolati attingendo, in tutti i Paesi colpiti dalla pandemia, a umori profondi e a un cocktail lessicale ed emozionale mutuato dai codici espressivi dalla subcultura social e del tifo calcistico ultra.

Foto LaPresse/Andrea Alfano 23/03/2019 Torino (Italia)
Cronaca No Vax Manifestazione
Nella foto: Manifestazione No Vax.
Photo LaPresse/Andrea Alfano
March 23, 2019 Turin (Italy)
News
No Vax Demonstration
In the picture: No Vax Demonstration
A uno sguardo retrospettivo, gettato sulla fase acuta della pandemia, l’Italia ha dato buona prova di sé. La campagna vaccinale è stata massiccia e ha raggiunto percentuali fra le più elevate a scala mondiale, la ribellione no vax ha fatto proseliti in proporzioni più contenute di quanto avvenuto in altri Paesi. Il governo Draghi, gemmato dall’emergenza, è stato sostenuto nella sua azione dall’opinione pubblica e il sostegno finanziario europeo è stato particolarmente generoso. Gli interrogativi riguardano adesso la sua concreta implementazione. Tradotto in volgare: la grande pietra d’inciampo è rappresentata non più dall’invadenza dei partiti bensì dalla loro latitanza. La crisi pandemica – lo ha osservato con grande chiarezza Sabino Cassese – ha soprattutto accelerato e reso evidente il degrado di una forma partito sempre meno capace di aggregare i cittadini, di dare espressione alle loro domande e di aiutare a soddisfarle con strategie efficaci. Senza una visione condivisa del bene comune, del resto, i soldi dell‘Europa potranno tamponare gli effetti dell’emergenza ma non certo assicurare quella ripresa e quella resilienza cui mira il programma finanziario. Riusciremo magari a spendere il denaro ma senza evitare che si consumi quella “recessione democratica” così pericolosa tanto per la coesione sociale del Paese quando per la stabilità del quadro politico. Un rischio da evitare a ogni costo: dopo la pandemia, oltre il virus, c’è una democrazia da rigenerare.
NICOLA R. PORRO
Grazie Nicola per la tua analisi che dovrò leggere con più accuratezza nelle sue varie parti.
Ad occhio una considerazione sulla parte conclusiva: tutti noi, attori o agenti passivi,tocchiamo con mano questa grave condizione di recessione democratica, che possiamo chiamare inflazione o disincanto o “furore”.
Riflettevo su quanti intellettuali o poeti, di fronte a gravissime emergenze storiche, abbiano scelto il personale suicidio proprio nell’acme dell’impegno politico. La vicenda personale di W. Benjamin ne è un esempio.
Il disincanto, la sfiducia negli uomini delle istituzioni, anche in Coloro che paternalisticamente ci chiedono resilienza, ha un limite. Temo me stessa e tutti coloro che in questa situazione limite( fine pandemia-nuova “pandemia”) richiedono un nuovo Leviatano, al quale ubbidire e che ci protegga.
Hai scritto un requiem per la pandemia e la democrazia, sul campo rimane la recessione della democrazia.
Un saluto a te e Simonetta.
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Interessante analisi, soprattutto in questa fase dove i totalitarismi si stanno diffondendo e la Russia sta invadendo l’Ucraina, con grosse responsabilità anche dell’Europa e dell’occidente.
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Come sempre la memoria storica e le analisi geopolitiche di Nicola richiedono una ripetuta lettura, tanta è la materia che mobilitano, tutta di elevato interesse e pregnanza. L quadro sintetico è semore desolante, oggi ancor più, visto che la demoscopia di Nicola è confermata dalle scelte del popolo “putiniano”. Se lo scudo dei nostri valori non è più la democrazia, o non lo è più come un tempo credevamo (illusoriamente?) a chi/cosa dovremo appellarci, quali saranno in futuro i nostri riferimenti assiologici??Grazie comunque sempre delle tue acute pagine di lettura del reale e della sua complessità.
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