“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – LA PARTITA DELLA MORTE
di STEFANO CERVARELLI ♦
Una di queste pagine è stata scritta in Ucraina. Ci sono circostanze, nel corso della storia dei popoli, delle nazioni, dove avvenimenti umani, politici, incrociano le loro strade con quelli sportivi; si scrivono allora pagine destinate a rimanere scolpite proprio nella storia del Paese che le ha vissute in quanto contengono imprese eroiche, direi quasi epiche, che finiscono per appartenere alla storia dell’umanità.
Il 22 giugno 1941 l’esercito tedesco invade quel Paese, sebbene l’obiettivo principale di Hitler fosse entrare a Mosca, il fuhrer non disdegna un “passaggio“ attraverso le risorse agricole ed industriali di quel paese con uno sguardo particolare ai bacini carboniferi.
Il popolo ucraino venne, come altri popoli, sottoposto ad estrema violenza, che ebbe il suo apice nel massacro di Babij Jar; qui 34.000 ebrei vennero fucilati nei pressi di un fossato, i corpi vennero fatti cadere uno sopra l’altro fino a riempirlo per l’intera sua lunghezza. La storia dice che le mitragliatrici restarono in azione per tutta la notte tra i il 29 e il 30 Settembre. I tedeschi dettero così un’altra prova della loro triste fama di esperti in esecuzioni di massa.
Quella disumana azione dimostrò ulteriormente, per chi avesse avuto ancora dubbi, che una delle principali motivazioni dell’azione militare nazista consisteva nello sterminio scientifico degli ebrei.
Nonostante le esecuzioni si susseguissero, la propaganda nazista si sforzava di far credere che tutto si stava normalizzando, e per far questo cosa c’era di meglio che organizzare un torneo calcio?
Ma per Kiev in quel tempo non poteva esserci niente di normale.
L’invasione era stata preceduta da massicci bombardamenti sulla capitale che divenne per metà cumuli di macerie e per metà cimitero; si susseguivano uccisioni e deportazioni e la vita era diventata durissima. Come pensare al calcio? Tra l’altro le due squadre locali, Dinamo e Lokomotiv, erano state sciolte e tutta l’attività sportiva era ferma; quando la Germania iniziò l’invasione dell’Unione Sovietica molti calciatori ucraini si arruolarono nell’esercito.
Uno di questi, Nikolaj Trusevic, nato nel 1909 era il portiere della Dinamo e della nazionale sovietica. Un portiere decisamente all’avanguardia perché capace, già a quel tempo, di giocare fuori dai pali e partecipare ai disimpegni difensivi. Era comunista ed aveva sposato una donna ebrea, quindi rappresentava senza ombra di dubbio, l’esatto prototipo del nemico dei nazisti; infatti fu catturato e messo in campo di prigionia.
La strada verso la normalizzazione, di cui parlavo prima, indusse i tedeschi a liberarlo, anche perchè non mancarono le pressioni del Dipartimento dell’Istruzione del governo collaborazionista che ottenne la liberazione di Trusevic e di altri sette calciatori, in cambio di un giuramento di fedeltà al nazismo. Trusevic non si mostrò tanto entusiasta del baratto che però significava tornare libero; ma la sua Kiev, che in passato l’aveva osannato non fu tenera con lui, gli fece pesare la scelta e si mostrò decisamente poco accogliente nei suoi confronti, tanto che, dicono le cronache, per un periodo divenne addirittura un senzatetto.
Ma il destino aveva in serbo un’altra vita per lui, e non solo per lui, come vedremo.
Trovò lavoro presso un panificatore di origine cecoslovacca, appassionato di calcio; il suo nome era Iosif Kordik ed il suo idolo era proprio Trusevic.
Appartenendo alla minoranza boema di lingua tedesca, il panificatore era considerato ariano, di stirpe germanica, ma senza cittadinanza tedesca; questo gli garantiva di avere qualche privilegio e fu mandato a dirigere un forno per la panificazione.
Quando Kordik riconobbe il portiere suo idolo in un bazar ebraico dove lavorava, lo portò a lavorare con lui. Venuto a conoscenza che i tedeschi volevano organizzare un torneo di calcio, a Trusevic venne l’idea di partecipare ed iniziò ad elaborare un progetto; approfittando del fatto che, dove lavorava, cercavano altro personale, convinse Kordak ad assumere ex giocatori della Dinamo, che erano rimasti in città.
Successivamente si mise in contatto con alcuni giocatori della Lokomotiv e con altri di squadre minori, tutti entusiasmasti dell’idea, sicuri che sul campo avrebbero umiliato gli invasori, non immaginando assolutamente quale svolta stavano dando alla loro vita. Anche se il dubbio che lo immaginassero non è stato mai ben chiarito, vollero ugualmente andare avanti. Un momento, ma solo un momento, di debolezza, come vedremo, però ci fu.
Il gruppo ebbe il sostegno del panettiere che trovò le maglie da gioco, di color rosso, e i pantaloncini bianchi; la squadra venne chiamata Start FC.
Ora è chiaro che se i tedeschi organizzavano un torneo, oltre che per dare l’idea di normalità, non era certo per fare i comprimari, anzi la loro mira principale era vincere il torneo ed affermare così la loro supremazia anche in campo sportivo, questo lo sapevano benissimo anche i giocatori della Start.
Le avversarie erano squadre messe insieme per fare ”comparsa” a quella che doveva vincere il torneo: la Flakelf, squadra della Luftwaffe, aviazione militare tedesca.
C’era la Ruch, formata dai collaborazionisti ucraini, c’era una squadra di soldati ungheresi e una di soldati rumeni che erano alleati dei tedeschi e poi c’era una squadra composta da tedeschi, la PGS ed infine la MGS Wal, nella quale giocavano gli ufficiali ungheresi. I nazisti, oltre che vincere il torneo, avevano disposto che la finale si disputasse tra le uniche due squadre di rango ossia la loro Flakelf e quella degli ufficiali ungheresi.
Ma le cose presero una piega diversa, una piega che infastidì i tedeschi.
La prima partita vide di fronte i panettieri della Start ed i collaborazionisti della Ruch; i primi vinsero 7 a 2, tra l’esultanza del pubblico accorso numeroso ad assistere alla partita. Se prima, infatti, di un torneo di calcio organizzato dagli invasori e nel quale oltretutto non partecipava nessuna squadra locale, non importava niente a nessuno, la notizia che una squadra composta dai loro idoli avrebbe partecipato con il chiaro intento di sconfiggere, almeno nel calcio, gli occupanti, servì a far ritrovare nella gente un forte entusiasmo; Trusevic venne riabilitato in quanto si venne a sapere che era stato lui l’ideatore della formazione della squadra.
I tedeschi però, capito che aria tirava, spostarono le partite della Start in campo periferico, molto più piccolo dello Zenit, lo stadio principale, ed oltretutto più facile da controllare in caso di disordini.
Ma le cose non cambiarono. La Star sconfisse 6 a 2 gli ungheresi e vinse per 11 a 0 contro i rumeni; a queste seguirono le vittorie contro la PGS (squadra formata da tedeschi) per 6 a 0 e poi quella contro la compagine degli ufficiali ungheresi-MGS Wal-per 5 a 1.
I calciatori ucraini avevano così raggiunto il loro primo scopo: giocare la finale, ma i tedeschi trovarono il preteso per far ripetere la partita.
A questo punto è necessaria una precisazione. Gli ufficiali ungheresi mangiavano regolarmente, riposavano ed avevano la possibilità di allenarsi; i giocatori della Star, pur essendo ex professionisti,vivevano momenti non certo belli: mangiavano quando era possibile ed erano sottoposti a duri turni di lavoro. La condizione fisica non poteva non risentirne ed era proprio su questo che gli organizzatori del torneo puntavano: insomma la paura d’incontrare i rappresentanti ucraini c’era tutta.
La partita venne rigiocata, e sebbene non nello stesso modo trionfale della prima volta, la Start vinse nuovamente con il punteggio di 3 a 2: i tedeschi dovettero rassegnarsi, la finale sarebbe stata
tra la squadra della loro aviazione, la Flakelf, e la Start squadra di giocatori ucraini.
Gli aviatori, visti i risultati ottenuti dai loro avversari, entrarono in campo con meno baldanza di quanta esibita all’inizio del torneo ed i loro timori trovarono giusto fondamento; la partita fu a senso unico ed i panettieri vinsero per 5 a 1.Tutto finito? No, quello fu solo l’inizio.
Per la verità l’invasione tedesca non aveva trovato particolari difficoltà, ma non solo per questioni militari, gli ucraini sono sempre stati un popolo di spiccata indole nazionalista e mal sopportava la “padronanza” sovietica.
Nei tedeschi una buona parte della popolazione vide dei liberatori e quindi non fu particolarmente difficile trovare ed arruolare collaborazionisti che sarebbero dovuti servire ad organizzare la macchina amministrativa ucraina. Ma i tedeschi compirono uno sbaglio: affidarono il comando dell’intera operazione a Erich Koch, ferreo nazista. Infatti, una volta insediatosi la prima cosa che fece fu quella di far chiudere le scuole perché, secondo lui, i bambini non ne avevano bisogno, tutto quello che c’era da sapere glielo avrebbero insegnato loro: i padroni tedeschi.
Koch era ossessionato dallo sterminio degli ebrei e dalla guerra contro i partigiani, finì per essere condannato in Polonia per crimini di guerra. Al suo posto Hitler nominò Alfred Rosenberg, anche lui fautore dello sterminio e nei paesi dell’Est (era stato nominato capo dei territori occupati in quella zona) trovò il terreno adatto ad applicare le sue idee.
La successione di questi due personaggi trasformò l’Ucraina in una vera e propria polveriera dove le bande anti-comunisti, inizialmente sostenitori dei tedeschi, si trasformarono in bande di partigiani.
In questo quadro si pose l’operazione di propaganda dei nazisti, tra cui il torneo di calcio di Kiev.
Anche qui i tedeschi fecero un errore dovuto alla loro presunzione ed al loro eccessivo orgoglio.
Sarebbe bastato infatti, all’interno proprio di un’opera di propaganda, concedere la vittoria allo Start comportarsi da sportivi e conquistare così un margine di simpatia o perlomeno di accettabilità, ma così non fu; al razzista Koche la vittoria della Star non andava assolutamente bene. Anche questa volta trovarono quindi il modo di far ripetere la partita.
Venne ripetuta tre giorni dopo: il 9 agosto 1942, passando alla storia come “la partita della morte “.
Koch richiamò a Kiev i giocatori di calcio tedeschi presenti sul fronte dell’Est. La partita si giocò allo stadio Zenit e per arbitro venne scelto un tedesco; questi prima dell’incontro si recò negli spogliatoi della Start, e dopo, assai diplomaticamente, fatto i complimenti per il loro valore, consigliò ai giocatori di stare molto attenti a quello che facevano. La presunzione nazista, a cui prima facevo riferimento, si manifestò nel fatto che, sicuri di vincere, fu concesso agli esausti panettieri di effettuare tre cambi.
Una volta in campo i giocatori ucraini rifiutarono di fare il saluto nazista e nonostante accusassero la stanchezza per le partite precedenti, non ebbero molta difficoltà ad imporsi e chiudere il primo tempo su 3 a 1.
Tra i giocatori più rappresentativi c’era ovviamente il portiere Trusevic, un russo di Odessa, poi passato alla Dinamo Kiev, mentre l’altro giocatore più famoso, Makar Honcarenko, era nativo di Kiev e aveva giocato sempre con la Dinamo conquistando il titolo di capocannoniere nel 1938.
Perché ho nominato lui? Perché fu uno dei pochissimi sopravvissuti alla guerra che venne fatta a quella squadra ed è stato grazie ai suoi racconti se siamo venuti a conoscenza della storia della Start FC.
Ma torniamo negli spogliatoi e vediamo cosa accadde durante l’intervallo.
Arrivò un alto ufficiale delle SS che consigliò ai giocatori ucraini di osservare la direttiva, certo non esplicita, di far vincere la squadra degli aviatori tedeschi. Il monito, con quanto di “nascosto” conteneva, sembrò ottenere l’effetto desiderato: la Flakelf non ci mise molto a pareggiare.
A questo punto la storia, tramite testimonianze diverse, prende due strade; alcune versioni riferiscono che i giocatori della Start, dopo quel momento di debolezza alla quale facevo riferimento prima, con un scatto d’orgoglio, sostenuti dal numerosissimo pubblico, e per il rispetto che dovevano a questo ed a loro stessi, ben consapevoli di andare incontro ad un destino che non sarebbe stato certo benevolo (come puntualmente avverrà) decisero di vincere la partita dando una dimostrazione di coraggio agli abitanti della capitale.
Altra tesi sostiene che si trattò di mera propaganda sovietica e che la vittoria della Start fu accolta nel più elegante far play (i fatti successivi non depongono a favore di questa tesi). L’incontro finì 5 a 3 ed a perdere non fu solo la Flakelf, ma tutta la macchina della propaganda nazista.
Al di là delle tesi c’è il fatto che pochissimi di quei giocatori vincenti sopravvissero, sebbene non fossero stati mandati in prima linea e ben presto si capì perché a quell’incontro fu dato il nome ”La partita della morte”.
Il primo ad essere arrestato fu Korotkich e con l’accusa di essere un agente segreto russo venne torturato dalla Gestapo e morì durante gli interrogatori; gli altri giocatori che lavorano nel panificio di Kordiak furono arrestati con l’accusa di aver organizzato un attentato contro ufficiali tedeschi e trasportati al campo di prigionia di Syrets; da qui Honcarenko – il centravanti – ed un suo compagno riuscirono a fuggire. Il comandante del campo, Paul Von Radonski, era un uomo molto brutale, squilibrato, tanto che ubriaco minacciò di uccidere i suoi sottoposti. Per questo, ma anche perché fu ritenuto responsabile della fuga dei due calciatori, venne trasferito; tre giorni prima di andar via volle vendicarsi e dette l’ordine di fucilare tre giocatori e con loro molte altre persone. I corpi furono gettati nell’ormai tristemente famoso fossato di Babij jar, poco distante dal campo di Syrets. Degli altri giocatori detenuti nel campo non si sono più avute notizie.
E Nkolaj Trusevic, il famoso portiere che dette inizio alla storia formando la famosa Start passata alla storia che fine ha fatto? Lo ritroviamo fuori del vecchio stadio Zenit, rinominato poi stadio Start.
Lo ritroviamo lì davanti, raffigurato in una statua che ricorda le sue sembianze in divisa da gioco, ma non nell’atto di fermare un pallone, bensì con una spada in mano, una spada protesa verso il cielo ad infilzare un’aquila, rappresentazione della sconfitta tedesca davanti al coraggio dei giocatori ucraini. La dedica sotto la statua dice semplicemente: ”A UNO CHE LO MERITA”.
Sinceramente mi auguro che quella statua non venga distrutta da un nuovo, malaugurato, bombardamento.
STEFANO CERVARELLI
Hai documentato come l’espressione ‘barbarie nazista’ non sia solo retorica!
Hai nominato quei luoghi che ora ritornano sulla scena internazionale.
Eppure la guerra nel Donbass è iniziata da 2014! Non tutti sanno che opposti ai filosovietici e indipendentisti del Donbass vi erano filonazisti e mercenari filonazisti.
Come dice la mia amica l’America vuole sempre la guerra in nome della democrazia, ma mai una guerra è stata combattuta sul suo territorio.
“A uno che lo merita” e che sarà ricordato da me. Grazie Stefano, Paola.
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Col tuo racconto è sembrato di rivivere le vicende di un famoso film (sembra che John Huston abbia tratto ispirazione proprio da questa partita della Start). Gli esiti nella realtà furono purtroppo ben diversi, visto il destino dei giocatori ucraini. Da qualche parte ho letto che il monumento e la targa a cui fai riferimento furono dedicati alla squadra e a Honcharenko. Risponde a verità?
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Buonasera Ettore, il film al quale ti riferisci è “Fuga per la vittoria” che ha tra i protagonisti Sylvester Stallone e Pelé’ è un libera interpretazione di quanto accadde in Ucraina; parla di una partita tra tedeschi e prigionieri inglesi che alla fine, con l’appoggio del pubblico e confondendosi con questo- da cui ricevono vestiti borghesi- che aveva invaso il campo appositamente, riescono a fuggire. Per quanto riguarda la dedica a Honcharencko nelle fonti usate non vi è traccia, da ulteriori ricerche non è emerso nulla. Grazie.
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