I cento anni di “Ulisse”….
di ANNA LUISA CONTU ♦
Sono cento anni che “Ulisse” di Joyce è stato pubblicato, il 2 febbraio 1922. Io ricordo un magistrale corso monografico nell’anno accademico 1971/2 tenuto dal prof Agostino Lombardo all’università La Sapienza di Roma . Ci consigliò il testo tradotto da Giulio De Angelis ed edito da Mondadori nella collana dei Meridiani.
È ancora lì dopo cinquantuno anni , nella mia libreria, un pò ammaccato dall’uso e ingiallito dal tempo ma sempre a disposizione nel caso volessi riprendere qualche parte e cercare di svelarne il mistero.
Il corso del professor Lombardo ci guidò alla scoperta di un libro-mondo, nella dilatazione temporale di quell’unica giornata in cui il protagonista Leopold Bloom, ebreo irlandese, col pensiero costante dei tradimenti della moglie Molly, e della morte del figlio, attraversa Dublino in lungo e in largo fino all’incontro con l’altro protagonista , lo scostante e tormentato Stephen Dedalus.
Il romanzo non è un accidente nella tradizione letteraria inglese, anzi esso ne è il compimento, tracciato da quel primo romanzo del realismo borghese “ Robinson Crusoe” e il picaresco Fielding, lo sperimentale “Tristram Shandy” di Sterne, il conterraneo Swift e la sua devastante ironia. E poi la dimensione psicologica con i romanzi epistolari e la grande Jane Austen , tutta la narrativa ottocentesca fino a Conrad e il problema dell’oggettività della narrazione.
Era maturo il tempo, con la scoperta della psicanalisi, per quel tipo di romanzo, perchè il pensiero dei protagonisti non venisse descritto dal narratore onnisciente , ma prendesse vita nella pagina da sè, in un flusso di coscienza, stream of consciousness , del personaggio, che non è una registrazione meccanica dei pensieri ma è un procedere per “ lampi intuitivi che si dispongono come tasselli di un mosaico mentale estremamente elaborato”. ( G. Melchiorri ) .
“Ulisse” è la summa della tradizione letteraria inglese, ripercorsa, nei vari capitoli, attraverso diversi stili e tecniche narrative, che ne fanno un libro rivoluzionario o “ eversivo” come lo definì Giorgio Melchiorri. Esso ha l’ambizione di rappresentare l’uomo moderno in tutti gli aspetti della vita, nella sua molteplicità e contraddizioni.
Il personaggio di Bloom il borghese colto nella sua decadenza, è un outsider , un escluso, alieno alla società cui dovrebbe appartenere , a causa delle sue origini; Stephen Dedalus, anche lui é un escluso, è un giovane intellettuale preso in trappola dal conformismo della società Dublinese, dalla religione che è solo superstizione, dal velleitarismo della ribellione anti inglese, roso dal senso di colpa di non aver assistito la madre morente. “Ulisse” è per molti versi un romanzo tragico ma gli aspetti tragici, diversamente che in Conrad, si dissolvono in una accettazione della realtà storica e umana, in una affermazione della vita. Non a caso il romanzo si conclude con il lungo monologo senza punteggiatura, un lungo flusso di coscienza, di Molly Bloom che ripercorre tutta la sua vita , il matrimonio, i tradimenti, la morte del figlioletto, la figlia lontana e i suoi ultimi pensieri “ E il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì”.
La città di Dublino accompagna il girovagare di Bloom, le strade, i bar, il giornale dove lavora , il traffico, il corteo del Viceré, il calessino dell’amante che va all’appuntamento con Molly, il cimitero per il funerale di un collega, l’ospedale, il bordello e infine il ritorno a casa. È come se la città fosse il centro di un incontrollato caos, il cumulo di immagini infrante di cui parla T. S. Eliot. Per dare ordine e poter raccontare questo mondo in disfacimento ( i primi capitoli di “ Ulisse” furono scritti nel 1914 poco prima della Prima Guerra Mondiale), Joyce utilizza il metodo mitico, il parallelismo con l’Odissea, contrapponendo alla realtà contemporanea l’ordine ideale del mondo classico. Per Eliot , che di Joyce fu estimatore, “ il mito è un modo di controllare , di ordinare, di dare forma e significato all’immenso panorama di futilità ed anarchia che è la storia contemporanea”.
Quest’anno è uscita una nuova edizione con una nuova traduzione, con testo inglese a fronte , edito da Bompiani ma non credo che lo comprerò. Ho letto che il traduttore, una persona, peraltro , preparatissima e studioso di Joyce, ha apportato molte modifiche rispetto al testo di De Angelis. Per me è come se una traduzione dell’Iliade non contenesse il familiare “ Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta”. Certe traduzioni di capolavori hanno vita propria.
Così non potrei sopportare che l’incipit di Ulisse non fosse “ Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall’alto delle scale , portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio…… Levò alto il bacile e intonò: – Introibo ad altare dei”. Un precursore di Achille Lauro che fa una parodia della religione nella Torre Martello dove abita con Stephen Dedalus. E come sarà tradotto quel pensiero del solitario e scostante Stephen : “ Non appartarti più a ruminare sull’amaro mistero dell’amore”?
Nè mi alletta il fatto che questa nuova edizione abbia il testo a fronte. Con i nuovi strumenti tecnologici è interessantissimo tracciare con Google Maps il tragitto che compie Leopold Bloom, nel suo girovagare per le strade di Dublino. Oppure scaricare il Joyce Project ed avere a disposizione il testo integrale in inglese con le note che forniscono informazioni sul contesto , interpretazioni testuali , approfondimenti su punti controversi. Perchè “Ulisse” non è un libro facile e molti ne abbandonano la lettura dopo un primo approccio.
Io rimango fedele alla traduzione di De Angelis e anche se sono consapevole che la lingua è un sistema vivo soggetto a trasformazioni e ad adeguamenti alle temperie culturali ( non leggerei mai una traduzione di Dickens fatta nell’Ottocento) , io mi tengo il testo che ho.
ANNA LUISA CONTU
Cara Anna Luisa, quella di De Angelis è la stessa traduzione che ho io ed è vero, non potrei pensare un incipit diverso da quello che ricordi tu. Non si può tranquillamente dislocare(ogni traduzione questo fa) un testo come l’Ulisse dal cassetto della memoria, che ha faticato non poco ad aggredirlo e collocarlo nel proprio regno!!!
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Lo lessi a 28 anni; i miei 28 anni furono straordinari da questo punto di vista, in un anno lessi l’Ulisse, Proust con la Recherche e Musil; riprovato trent’anni dopo a riprendere in mano l’Ulisse ma con sincerità non sono riuscita a finirlo, i monologhi interiori che tanto mi appassionarono a 28 anni, alle soglie dei sessanta mi annoiarono non poco
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Si, è così Caterina. Io ne ricordo piccoli brani a memoria e il nuovo mi sconcerterebbe.
Rosamaria, io non ho letto la Recherche ma spero di poterlo fare nel futuro.
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Cara Lisa, rileggo il tuo scritto avendo in mente l’archeologia del sapere di Foucault, per prendere atto come noi docenti, tu, Caterina ed io, abbiamo questa fedeltà al libro, sempre tentate tra innovazione e conservazione. Nel caso di Ulisse di Joyce, la fedeltà rimanda ad un Dedalus di relazioni che voi ben conoscete, mi fermo solo al “soliloquio” di Dostoevskij o alla tecnica del montaggio secondo Ejzenstein, secondo il quale lo stile e il dipanarsi dei pensieri dei personaggi sono sequenze di un film. Sempre per la fedeltà al testo di Joyce, mi limito a dire le sue relazioni con Husserl, per il conoscere come”esplodere verso”/intenzionalita’come coscienza d’altro da sé. Insomma, un’opera cosmo da dosare nella lettura, magari quella autentica, e on la consolazione che la punteggiatura non vale poi tanto…
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Cara Paola, grazie per questo tuo commento. Io aggiungerei il cubismo, lo stravolgimento della figura e la destrutturazione del romanzo. Ho pochissime conoscenze di filosofia per cui mi scuserai se il mio commento é così scheletrico.
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