IL TRISTE PRIMATO DI TEREZIN
di BRUNO PRONUNZIO ♦
Josefov, il quartiere ebraico di Praga che ospita il famoso cimitero e sei sinagoghe, prende il nome da quello dell’imperatore Giuseppe II, che nel 1781 eliminò le restrizioni che affliggevano gli abitanti del ghetto. Una visita a Josefov consente al turista un’immersione nella cultura ebraica, un accostamento alle pratiche religiose, un viaggio nella memoria spesso dimenticata. A Josefov, prima della Seconda Guerra Mondiale, vivevano 50.000 abitanti, esistenze che vennero interrotte con la deportazione nei campi di sterminio. Uomini, donne e bambini privati della propria identità, prima che della vita, ridotti a macchie d’inchiostro tatuate sull’avambraccio, esseri umani che finalmente hanno ritrovato la loro imperitura dignità in quelle lettere incise nel marmo, lungo le pareti interne della sinagoga Pinkas. Segni che riportano nome, cognome, data di nascita e morte di ognuno di loro. In altre stanze annesse ai luoghi scari sono conservati disegni, lettere, quaderni pieni di speranza vergati da scolari ignari di quello che sarebbe stato, di lì a poco, il loro sventurato destino.
Nei piani nazisti, per gli ebrei di Boemia e Moravia non era previsto l’immediato trasferimento nei campi di sterminio. Il viaggio verso la morte prevedeva una tappa intermedia, all’interno di una struttura di smistamento: Terezin. Per ironia della sorte, la fortezza di Terezin (Theresienstadt in tedesco[1]) sorse alla fine del diciottesimo secolo per volere dello stesso Giuseppe II, come avamposto militare a protezione di Praga, distante appena 60 chilometri, dalle eventuali invasioni prussiane. Le fortificazioni realizzate a difesa della grande e della piccola fortezza, separate dal fiume Ohře, consentirono a tale villaggio di trasformarsi, venuta meno la sua primitiva funzione, in carcere di sicurezza per gli oppositori degli Asburgo.
Attualmente Terezin conta circa tremila abitanti ma, durante la Shoah, dal villaggio transitarono oltre 155 mila persone e vi trovarono la morte più di 35 mila. Quasi novantamila esseri umani continuarono il viaggio verso i campi di sterminio di Auschwitz e di Treblinka. Ma prima della gestione nazista, Terezin ospitò Gavrilo Princip, l’assassino dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, l’uomo che con il suo gesto diede il via alla Grande Guerra. La permanenza di Princip nella prigione di Terezin durò fino al 1918, anno in cui l’attentatore morì di tubercolosi.
Fu nel 1941 che Terezin diventò un enorme ghetto. Gli abitanti non ebrei vennero trasferiti altrove e il villaggio fu riempito di deportati da tutta la Cecoslovacchia, oltre che da Germania e Austria. Ben presto, Terezin divenne un set cinematografico per essere presentata come una “zona autonoma di insediamento ebraico”. Per tacitare la stampa e l’opinione pubblica estera sui sospetti che iniziavano a trapelare riguardo alle reali condizioni degli ebrei deportati nei “campi di lavoro”, la propaganda nazista iniziò a girare brevi filmati, tuttora visibili nel museo locale, nei quali gli ebrei venivano ripresi nelle attività di tutti i giorni. Lo stesso villaggio fu “abbellito” in occasione dell’ispezione condotta dalla Croce Rossa nel giugno 1944. È triste pensare che, spenti i riflettori e deposte le macchine da presa, gli stessi improvvisati attori venivano caricati sui vagoni e inviati a morire nelle camere a gas.
Questo piccolo villaggio nella pianura boema, il cui nome ricorda quello della madre dell’imperatore Giuseppe II, così distante dai principali teatri di scontro, è diventato custode prima e testimone poi di persone ed eventi legati ai due periodi più cruenti del recente passato. Un triste primato che rende Terezin luogo per ricordare e riflettere.
BRUNO PRONUNZIO
Noi ricordiamo tentando di far rivivere nel presente il dolore . Tentare di ascoltare i gemiti, le grida, i pianti dei bambini, lo strazio della madri. E’ essenziale nominare i luoghi di questo immenso inferno.
Tuttavia, pensare che tutto questo si risolva in una attualizzazione del passato è faccenda incompleta. Non è evento accaduto, purtroppo è evento che rimane nelle possibilità del futuro.
La belva umana dimentica facilmente. Non è sufficiente la memoria per cancellare nel dominio delle possibilità il ripetersi.
E’ un atto di giustizia rinnovare la ritualità del ricordo ma, ahimè, la belva appare assente solo perchè acquattata in vigile attesa che le condizioni storiche rendano propizio il suo novello riemergere dal dormiveglia.
I buoni della terra, i giusti, i pietosi, i misericordiosi, sempre si interrogano sulla possibile vittoria del bene sui demoni. La loro è una lotta che sempre si ripete e sempre si manifesterà nei secoli a venire,
In ogni caso, pur nella desolata considerazione che questa lotta sempre accadrà il Bene deve sempre sperare, anche quando è certo che il Demone mai sarà vinto.
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