“OLTRE LA LINEA” A CURA DI SIMONETTA BISI E NICOLA R. PORRO – In guerra con la modernità: una fenomenologia della paura (II)
di NICOLA R. PORRO ♦
Alessandro Cavalli (2021), in un’immaginaria lettera inviata a un amico no-vax, ha descritto con le parole di Baudelaire l’incertezza diffusa all’origine di quella “rivolta contro la modernità” cui dà espressione il movimento no vax: «la forma della città cambia più rapidamente del cuore di un mortale». Sta a significare che l’incertezza potrebbe essere principalmente figlia dell’accelerazione del mutamento e dei suoi effetti sui vissuti esistenziali. Le generazioni passate avevano, sui grandi numeri, aspettative di vita assai più brevi delle nostre. Ciò che le circondava – il “mondo esterno” – conosceva, fra il tempo della nascita e il tempo della morte di un individuo, cambiamenti assai meno significativi e comunque infinitamente meno visibili di quelli direttamente sperimentati da noi ed enfaticamente descritti da un onnipervasivo sistema mediatico. Cavalli fa alcuni esempi di trasformazioni che hanno “aggredito” la vita quotidiana delle nostre generazioni più anziane: «… la motorizzazione di massa, i voli low cost e l’esplorazione dello spazio extraterrestre, i treni ad alta velocità, la plastica, il tramonto della macchina da scrivere e l’avvento del computer, la diffusione degli antibiotici, la fine dei dischi in vinile e la loro sostituzione con le cassette e poi i compact disk; per non parlare dell’elettronica, della digitalizzazione e delle macchine intelligenti; e ancora, la bomba atomica, la fine del colonialismo, il crollo dell’impero sovietico, l’ascesa della Cina, l’esplosione demografica, le emissioni crescenti di CO2 e il cambiamento climatico». L’elenco sarebbe ancora lungo, quasi interminabile. Una diffusa incertezza sociale rappresenterebbe dunque l’effetto perverso, e solo apparentemente paradossale, dell’accelerazione costante del progresso scientifico-tecnologico. Saranno gli esperti, gli scienziati, capaci di governarlo? Oppure, come l’apprendista stregone, non saranno in grado di controllarne gli effetti? La scienza stessa, di fronte a questo genere di sfida, è veramente al di sopra di qualsiasi interesse di parte?
Le narrazioni del sospetto trovano alimento nella stessa cultura di massa. Basti pensare alla produzione cinematografica o letteraria contemporanea, sempre più dominate dall’incubo della catastrofe, dell’estinzione, dell’apocalisse prossima ventura. Un sentiment strettamente imparentato alla rappresentazione di una scienza asservita a oscuri poteri e sottratta a sua volta a qualunque controllo. Bombardata da informazioni prive di filtri e verifiche – sono le fake news a scandire i tempi e le forme delle mobilitazioni anti-vaccini – e turbata da un protrarsi della pandemia indifferente all’istantaneità del tempo digitale, l’opinione pubblica è stata attraversata da torrenti carsici di ansia. Ideale brodo di coltura per una contronarrazione basata su un’aprioristica contestazione di qualsiasi “verità ufficiale” e schizofrenicamente alimentata dal sospetto antiscientista e, allo stesso tempo, dal panico di perdere le conquiste del progresso. A chi dar retta? I nostri saperi di oggi saranno ancora utili domani? Quali attività, professioni, competenze sopravvivranno? Domande senza risposte certe che minacciano di condannarci a un’incertezza di durata indefinibile ma capace di estirpare tutte le rassicuranti certezze elaborate nel tempo “di prima”. A lenire l’ansia non bastano nemmeno quelle credenze religiose che, postulando l’esistenza di un aldilà, hanno rappresentato in tutti i tempi una potente strategia di controllo e mitigazione dell’incertezza. La più aspra battaglia culturale si combatte però sul terreno della scienza perché, contestandone la credibilità, si destabilizza il più poderoso argine all’incertezza che la modernità ha affiancato alle fedi religiose.
Si è aperta così la strada a un’esorcizzazione dell’ansia collettiva che Agostino Cera (2022) ha riassunto nella formula “negare la realtà della realtà”. Processo che si vale di diverse strategie: inizialmente minimizzare i fatti e dubitare dell’attendibilità dei dati, poi dare credito a qualunque panzana purché alternativa alle versioni ufficiali. Il sollievo dall’incertezza non è dunque più affidato alla scienza o a qualche forma di autorità riconosciuta – fosse pure per farle oggetto di contestazione – ma si tramuta nella pura e semplice costruzione di una realtà alternativa, disegnata a misura delle nostra angosce e legittimata dalla pura possibilità di pensarla. È ciò che Cera ha battezzato idioverso. La post-realtà costruita dalla subcultura no vax ne può rappresentarne un caso esemplare proprio perché si basa sul disconoscimento preventivo di qualsiasi “verità”. L’idioverso non può tollerare verità universali. Quella offerta dalla scienza è liquidata come una delle infinite possibili narrazioni, tutte esposte al sospetto della menzogna e dell’inganno. La post-realtà non prevede insomma la possibilità stessa del dimostrare. Vero è ciò che ci piace ascoltare, esattamente come accade nei processi di regressione infantile che Freud associava al principio di piacere: “se voglio (desidero, preferisco, ho bisogno…) che sia così, allora è così”. Uno dei fondamenti di tutti i negazionismi consiste nell’inclinazione a narrazioni alternative basate sul disvelamento di oscure macchinazioni ordite da misteriosi geni del male per perseguire altrettanto misteriosi interessi. Big Pharma, i laboratori genetici, i complotti dei poteri forti: tutto fa brodo per nutrire la post-realtà dell’idioverso, come accade da sempre nella rappresentazione del mondo propria delle sette. Il confronto con la scienza è rifiutato, come si giocasse una partita truccata, salvo arrogarsi il diritto di confutarla in nome di balzane controverità. Ciò ha prodotto ovunque danni tangibili alle campagne di contrasto al virus. Nel caso italiano, il secondo report mensile sulla disinformazione dell’Italian Digital Media Observatory (Special Report di NewsGuard del 29 dicembre 2021) ha segnalato, ad esempio, come nell’ultimo trimestre del 2021 si sia registrato un significativo rapporto fra incremento dei contagi e intensificazione delle campagne di disinformazione sul Covid-19. Ha osservato in proposito Massimiliano Panarari (2022) come l’autentica infodemia scatenata dal diluvio di notizie incontrollate, e spesso incontrollabili, abbia accresciuto a dismisura proprio l’incertezza diffusa degenerando in una sindemia che associa lo stress collettivo indotto dal virus alla proliferazione di misinformazione, disinformazione e fake news. Con il risultato di minare «… la coesione sociale delle nostre nervosissime e ipersuscettibili “democrazie emozionali” sprofondate nel clima di opinione della postverità».
Il report dell’Italian Digital Media Observatory denuncia il proliferare di storie così false «che più false non si può». Pur sconfinando spesso nel ridicolo, esse vengono tuttavia compulsivamente e istantaneamente condivise sui social. Con il protrarsi della pandemia la delegittimazione del ruolo e della credibilità degli esperti – favorita forse da un eccesso di esposizione mediatica di plotoni di virologi – ha incrinato la fiducia diffusa che si era manifestata nella prima fase dell’offensiva virale. All’epoca l’opinione controcorrente, che avrebbe fatto da incubatrice al fenomeno no vax, insisteva sulla presunta innocuità del virus accusando di terrorismo psicologico quanti ne segnalassero invece la pericolosità. Divenuta ostaggio di logiche settarie, anche la scienza è precipitata nel tritacarne della post-verità. Subendo pochi mesi dopo – quando l’evidenza della pandemia era ormai innegabile – anche la beffa di doversi misurare con una fantasiosa farmacologia affidata ad alchimistici intrugli e a improvvisate, ma spesso lucrose, terapie alternative.
Il fenomeno non è limitato all’Italia e neppure circoscritto all’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia. Un esempio di produzione di un’insostenibile post-verità o controverità – stavolta in relazione a eventi politici di grande portata – è rappresentato dalla contronarrazione delle elezioni presidenziali degli Usa che il 6 gennaio del 2021 ha ispirato l’attacco dei seguaci di Trump a Capitol Hill. Convinti non che fosse giusto aggredire le istituzioni infangando il mito della democrazia americana bensì che fosse necessario rifiutare, anzi rimuovere in modo spettacolare – come si addice all’universo mediatico – un’evidenza che smentiva le loro illusioni. Analogamente, per la vulgata no vax, ciò che è inaccettabile per me non può essermi imposto soltanto perché risponde alla verità. Il rancore antiscientista sembra motivato da una sorta di ritorsione o di vendetta: come se la scienza fosse responsabile delle ferite narcisistiche che la “realtà” ci infligge. Quella che oppone la scienza (e lo stesso buonsenso) a quella contronarrazione rappresenta dunque un vero e proprio conflitto culturale che la propaganda no vax lo ha progressivamente caricato di significati più ampi sino a dare forma a un’inedita arena di conflitto.
Per disegnarne il profilo occorre però preliminarmente precisare, e restringere, il perimetro dell’universo no vax. Andrebbe espunta, ad esempio, quell’area assai vasta di soggetti mossi semplicemente da paure o idiosincrasie soggettive, da istintiva diffidenza o da scarsa e distorta informazione. Successivamente, all’interno della composita galassia dei “resistenti”, bisognerà isolare differenti modelli argomentativi che pure si trovano spesso fra loro combinati. Una rappresentazione complottista o cospirazionista fantastica di una congiura planetaria che metterebbe capo agli interessi delle Big Pharma. Definizione inizialmente riservata alle dieci maggiori aziende farmaceutiche mondiali e poi dilatata dall’uso giornalistico sino a comprendere genericamente l’intero sistema produttivo del settore. Un’altra variante (nomen omen) di questa composita galassia è quella che potremmo classificare come anarco-libertaria. Più che sposare le alternative narrazioni pseudoscientifiche dei no vax., essa manifesta una radicale opposizione a strumenti normativi come l’obbligo vaccinale e il green pass in nome di una singolare filosofia dei diritti individuali. In forza della quale i singoli sarebbero autorizzati ad esentarsi motu proprio da qualsiasi obbligazione sociale. Più strutturata e ancora più incline a una visione ideologica del conflitto, infine, è l’irriducibile contestazione alla scienza e al “totalitarismo degli esperti”.
Sembra insomma stagliarsi il profilo di un movimento allo stato nascente entro i cui incerti confini si sviluppano innesti e contaminazioni di vario tipo. Cercheremo di analizzarli più da vicino in un prossimo appuntamento.
NICOLA R. PORRO
Carissimo Nicola, la lettura mattutina dei tuoi scritti è come la prima tazzina di caffè fumante! O il primo capitolo di un romanzo avvincente che scatena il piacere del testo.. Grazie ancora una volta. L’analisi sociologica condotta da te non è mai fredda rielaborazione di dati. Quanto amore per il sapere dietro le tue parole! ❤️
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Carissimo Nicola, aspetto sempre con curiosità gli scritti della vostra rubrica. Una sociologia critica e… partecipante!
Grazie. Paola.
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Noi siamo in un periodo di crisi. Afasia di Broca circa i valori, ovvero incapacità ad esprimere con parole e gesti il senso della vita, il fine dell’agire. Siamo in una fase di piena sommersione del soggetto. Ma è una fase. Può durare a lungo, certo, ma è una fase. L’uomo non può alla lunga rinunciare ad essere tale, ad esprimere la sua essenza.
Perchè siamo in questa fase recessiva? E’troppo presto per indicare le cause. Quando, si dice, un giornalista chiese a Chou En-Lai che ne pensava della Rivoluzione francese si sentì rispondere: “ma è troppo presto per giudicare!”
Questa crisi valoriale quanto durerà?
Il mercato quanto dominerà la scena?L’unica cosa che possiamo dire è proprio questa: la dissociazione fra mercato e società. Il mercato non è un risultato della società ma sembra essere un elemento della natura che predomina. La società per essere deve conformarsi al mercato. Il dominio del mercato significa il dominio dello scambio di equivalenti: tutto si riduce a questo scambio. Le “News” sono componenti dello scambio, sono merci che circolano il cui valore non è in sè ma il valore di esse deriva dall’essere scambiate, dall’essere in circolo. Una notizia vale non per il suo contenuto di verità ma solo perchè riesce ad essere prevalente, ad avere, cioè, consensi.
Un giorno, probabilmente, l’umanità comprenderà che il mercato non è entità metafisica, slegata dal contesto comunitario. Comprenderà che il mercato è “radicato (Embedded, come diceva Polanyi) nella società. Il mercato è solo l’espressione di un momento storico, quello attuale dove tutto, proprio tutto è merce(non solo terra, lavoro, moneta ma anche notizia, senso della vita, fine).
Noi, per ora, abbiamo il vantaggio del non soffrire guerra. Il costo sociale che paghiamo è, però, di essere nel dominio del mercato: la realtà è quella che ha valore di mercato, quella che il mercato filtra perchè coagula domanda, consenso, dunque valore.
Qualsiasi altra realtà deve essere negata perchè non sostenuta dal mercato. Io nego valore ad una merce che non sia apprezzata dal mercato. Io nego, dunque, la realtà della realtà quando questa “non ha mercato”.
Quanto durerà questa fase? Chou En-Lai risponde di nuovo!
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Anche le persone sono merce, non per niente si parla di “mercato del lavoro” sarebbe più corretto usare l’espressione “mercato dei lavoratori”, ma probabilmente non viene usato perché pare brutto, somiglia tanto a “mercato di schiavi”, invece l’hanno buttata sulla “sana concorrenza”. Insomma si vale per ciò che si rende… così come le idee, valgono per quel che rendono.
Luciano Damiani
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Condivido le considerazioni di economia politica di Carlo e di Luciano, ma vorrei richiamarmi anche ad un’altra prospettiva. In un articolo di Eloisa Beatrice Troisi sull’Apocalisse vi furono commenti, tra i quali il mio e quello di Enrico Iengo. La prospettiva é filosofica, si parla del ruolo delle fedi, della trascendenza, necessaria nella religione, non necessaria nella scienza. L’apocalisse è dell’uomo dell’anomia, il nostro tempo, il tempo del fratello di Prometeo che spinse Pandora a scoperchiare il vaso. Vi sono figure e simboli escatologici e apocalittici che si sono venuti secolarizzando nella storia politica dell’Occidente. Sono richiamati da grandi interpreti, Agostino, Dante e Dostoevskij. Ci si interroga su cosa verrà dopo, ma l’attesa è ancora fideistica, oltre vi è solo il nichilismo puro. Ci si interroga sulla pandemia, ma non sulle sue cause. Oltre la religione e la scienza siamo arrivati ad una grande incertezza, al monotono e soporifero conteggio dei dati, al vuoto nichilistico.
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