Il CENTENARIO
di GIORGIO GARGIULLO ♦
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Luciano Lama.
Molti saranno i giovani che non sanno di lui, ma i meno giovani e i “diversamente giovani” come me non solo lo ricordano ma continuano a considerarlo un esempio, un riferimento politico e culturale, in qualche caso anche un mito.
A me piace ricordare innanzitutto la sua partecipazione, nelle file partigiane, alla lotta di liberazione. Infatti da giovane ufficiale di complemento dopo l’8 settembre del 1943 scelse la strada di combattere per la democrazia e la libertà.
Aderì prima al PSI e poi al PCI ma il suo impegno, anzi la sua vita, fu nel sindacato, la CGIL, dove nel 1952 ricoprì l’incarico di segretario generale prima dei chimici e poi, nel 1957 della Fiom, i mitici metalmeccanici.
Nel 1962 entrò nella segreteria nazionale della CGIL di cui era segretario generale Agostino Novella per poi, nel 1970, sostituirlo alla guida della maggiore centrale sindacale del paese.
Lama che per noi giovani allora impegnati nel sindacato era solo Luciano, diresse la Confederazione in un periodo difficilissimo.
Ricordo l’autunno caldo, le dure vertenze di tante categorie per il rinnovo dei contratti di lavoro, il punto unico di contingenza, il superamento delle gabbie salariali. Penso al lungo periodo del terrorismo, alle stragi, alla rivolta di Reggio Calabria, all’attacco all’università di Roma.
Fatti inquietanti che volevano riportare indietro le conquiste operaie e rimettere in discussione i principi della democrazia.
Rammento anche la crisi petrolifera e la conseguente crisi economica.
In tutte queste vicende egli un indiscusso leader, una personalità carismatica, un protagonista, insieme a Benvenuto della UIL e Carniti della Cisl.
Ma fu anche un uomo che del ruolo del sindacato ebbe una visione ampia, incentrata non solo sulle rivendicazioni salariali e contrattuali ma capace di guardare all’intera società, nella consapevolezza che la classe operaia da classe subalterna dovesse elevarsi a classe dirigente.
Insomma un leader di cui oggi, a venticinque anni dalla sua morte conservo un ricordo con grande entusiasmo e commozione, convinto che in quel periodo difficile per l’Italia, senza il suo contributo e la sua azione unitaria molti problemi si sarebbero aggravati.
Dicevo all’inizio che i non più giovani ricordano anche la sua presenza nella nostra città nell’ormai lontano 1970.
Luciano Lama venne da noi ad inaugurare la nuova sede della Camera del Lavoro che in quell’anno si trasferì da corso Marconi a via dei Bastioni.
Rammento il gruppo dirigente della Camera del Lavoro di allora che promosse e realizzò il trasferimento: il giovane segretario Fabrizio Barbaranelli, alcuni membri della sua segreteria, Alfredo De Luca, Giulio Mallamace, Elio Bertola, Francesco Stanzione, Renato Tomassini che divenne poi presidente della Compagnia portule e il lavoro volontario svolto da molti dirigenti sindacali dell’epoca che si impegnarono per restaurare quei locali i che divennero la sede, oltre che degli uffici, camerali anche di molti sindacati di categoria. Come non ricordare Nazzareno Tiengo Vincenzo Angelini, Bruno Tombolelli e Luciano Galli dei portuali, Enzo Fantozzi, Iro Bastianelli, Ivano Feligioni, e tanti, tanti altri che non posso citare senza rischiare di fare un lunghissimo elenco che si impegnarono in vario modo per rendere possibile realizzare il sogno della nuova sede sindacale. Un caro ricordo anche per Gabriella Taldini che con la sua presenza e il suo spirito riusciva sempre a dare un tocco di simpatia ad ogni situazione.
Alla manifestazione di inaugurazione Luciano Lama intervenne strappando gli applausi ai numerosissimi intervenuti e successivamente, nel ristorante Tramontana con la sua voce baritonale intonò i canti della lotta partigiana e del mondo del lavoro.
Personalmente di Luciano Lama ho altri ricordi che custodisco gelosamente. Si tratta di incontri che si sono ripetuti per almeno tre anni presso la roccaccia di Tarqunia., incontri organizzati, si era alla fine degli anni ’70, dal suo grande amico Liviano Bonelli ai quali oltre la moglie di Lama parteciparono Luigi Daga, Giovanni Ranalli e almeno una volta Antonino Foschi oltre a tanti amici e compagni di Tarquinia.
Anche in quelle occasioni la sua voce che intonava canti popolari fu il necessario dessert al pranzo che alcune massaie prepararono; mi rammento delle preoccupazioni e dell’attenzione della moglie di Lama che, con premura materna, si preoccupava del pasto ai poliziotti di scorta che dovevano garantire la protezione dell’illustre ospite nei terribili anni del terrorismo.
Purtroppo Luciano Lama da 25 anni non è più con noi. Non lo sono anche molti dei compagni, degli amici sopra citati. Ricordarli non soltanto è doveroso ma utile per riaffermare un metodo politico che oggi rischia di perdersi definitivamente.
GIORGIO GARGIULLO
La storia del Sindacato italiano e dei suoi massimi esponenti è una storia che deve essere ricordata, così come degli uomini e delle donne che delle rivendicazioni sindacali e della tutela del mondo del lavoro fecero, e fanno, una ragione di vita. Riguardo i fatti dell’università di Roma, ecco, io non li metterei nell’elenco di quelli che misero a repentaglio la democrazia nè i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Nell’analisi storica di chi come me non ha vissuto quei giorni, ma ne riesce a fare una narrazione solo a posteriori, mi piace ricordare il punto di vista di due grandi intellettuali, prima, Eco, che disse in quei giorni che si poneva sulla “linea di confine” tra studenti ed operai (banalizzo così) per poter capire meglio. Oppure di Asor Rosa, uno degli organizzatori del comizio, che lo ricorda come uno degli errori politici più grandi della sua vita, perché sancì, come un fossato, la distanza di quei due mondi. Una lacerazione destinata a durare.
Sulle massaie che prepararono il pranzo e la vocazione materna della moglie di Lama, mi taccio.
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” Zio Giorgio”, mi congratulo con te per la Presidenza della sezione ANPI, Barbaranelli Maroncelli di Civitavecchia. Chi ha vissuto come me l’esperienza sindacale in Cgil dagli anni ’70 al 2010 a Civitavecchia conferma l’attività dei compagni che hai ricordato e non solo “massaie” come annota Valentina Di Gennaro; non erano commercianti e nemmeno donne del popolino, erano colte, informate, con spirito di servizio nei confronti del sindacato di zona, spesso mettendo in secondo piano affanni, lamentele e ricette di cucina per le proprie famiglie. Esse hanno affrontato con accenti critici le trasformazioni di una società in forte evoluzione, non vi era necessità di dichiarare che fossero femministe, perché lo erano! Ricordo, per motivi di amicizia e di stima , Gabriella Taldini, Anna Bruno, Giuliana Greco, Giovanna Cacia, Annalisa Gorla, ma anche le compagne che dal 1973 erano iscritte, con me, alla Cgil -scuola. Fu una grande lotta contro il sindacalismo autonomo che aveva una forte presenza nella scuola. Fino agli anni della pensione ho fatto parte della RSU della scuola in cui prestavo servizio. Posso dare, quindi, una testimonianza degli anni di cui parla il Presidente dell’ANPI.
Posso dare testimonianza del fervore culturale e politico che vi era nel sindacato con il giovane segretario Fabrizio Barbaranelli e le iniziative che alla fine degli anni ’60 potevano mettere in crisi l’egemonia culturale del PCI da parte dei giovani con una confusa critica anche all’organizzazione sindacale. Da parte dell’ortodossia vi era la critica al ” democraticismo”, da parte dei giovani una lontananza dalle togliattiane ” vie nazionali”. Nell’ autunno caldo scendono in piazza una massa di persone sino ad allora escluse dal sistema di rappresentanza: delegati di reparto, Statuto dei lavoratori, la dignità del lavoratore viene affermata. Nella scuola una legge del 1971 sui ” corsi abilitanti” vede una mobilitazione senza precedenti ( certo sono rivendicazioni sessantottine di insegnanti giovani, che percepiscono ,a loro spese, che dai corsi abilitanti si creerà un esercito di precari).
Per concludere e confermare i ricordi di Giorgio, posso dire che chi solo ha vissuto gli anni successivi al 1976 può comprendere la radicalità dei conflitti sociali che investono anche il sindacato. Azioni delle Brigate Rosse e dei ” collettivi autonomi”. Abbiamo vissuto la politica dell’austerità proposta da Berlinguer e nel 1977 Lama sanciva la ” svolta dell’Eur” con sacrifici sostanziali dei lavoratori. Nel sindacato si diceva che i sacrifici dovevano estendersi in modo proporzionale ed equo. Nel 1977 la situazione era catastrofica, con lo scandalo della Lockhed e dall’altra un movimento giovanile magmatico e pieno di marginalità sociale, con nuove forme di protesta. Non vi era più l’avanzata comunista, anche perché moltissimi elettori comunisti ( il sindacato Cgil era sindacato di classe) non appartenevano alla coesa subcultura comunista e non avevano vincoli ideologici rigidi. Irrompe questa inaspettata esplosione di violenza, con l’emergere di fratture generazionali e culturali. L’ordine pubblico vede poliziotti in borghese confusi tra i dimostranti e dall’ altra parte la tattica della P38 messa in atto dai collettivi autonomi. I fatti di Lama all’università sono l’esasperazione violenta di una critica al sostegno comunista al governo Andreotti e alla politica dei sacrifici. Si risponde con violenza e irriverenza. ” Ma fu un grave errore , sotto questi punti di vista, la decisione della Cgil di organizzare all’Università di Roma il comizio del Segretario Generale Luciano Lama, visto più come una sfida che una forma di dialogo”.
Grazie Giorgio per il tuo articolo.
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Grazie Paola per questa bella carrellata di fatti ed eventi relativi a quegli anni..Condivido la non opportunità quasi provocatoria della scelta della Sapienza in quel 77 memorabile per il declino stesso di Lama.
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