Quello che l’Oriente può dare
di PAOLO BANCALE ♦
“Religioni” è un termine antico quanto ambiguo: va dal potere dei sacerdoti egizi a quello dei papi, dal culto dei morti al dio di turno, passando per l’interpretazione di umani stati d’animo e angosce interiori. Il romanziere inglese Julian Barnes nel suo libro “Nulla di cui aver paura” usa la frase di sentore dostoevskijana o nietzschesciana “Non credo in Dio, ma mi manca!” che ben interpreta Il conflitto tra le religioni, fredde istituzioni con la loro ratio di potere sulle masse, e l’individuo nella sua solitudine esistenziale. E’ un conflitto che già esprimeva Pascal dicendo “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. E non dimentichiamo Montaigne e Leopardi.
Le religioni saranno sempre ottuse aggregazioni di masse dominate da mantra ossessivamente riciclati dai loro preti, fintantoché non si riproporranno invece come religiosità con tutto il Mistero che la sottintende, patrimonio personalissimo di ciascun individuo, con presa libera e autonoma sulla coscienza e sull’ interiorità di ognuno E’ qui che la superiorità dell’Oriente è schiacciante, nonché congeniale ai turbamenti, dubbi e negazioni dell’Occidente che, con la sua radice fondante nel pensiero speculativo, logica escludente e “progresso” della tecnica nel produrre fini, continua a motivare “non-felicità” e ansia ignorando la risorsa “spirituale” rappresentata dalla osservazione del proprio panorama interiore e dal valore dell’esperienza in prima persona.
Il mondo occidentale è da tempo su una deriva nichilista, vista come Turgeniev nel suo “Padri e figli”: “Un nichilista è un uomo che non si inchina davanti a nessuna autorità, che non accetta nessun principio come fede, di qualunque rispetto questo principio sia circondato”. Lo stesso grande Kant parlando di dio (Ragion pura) gli mette in bocca “Io esisto dall’eternità, al di fuori di me non esiste nulla che non venga dalla mia volontà, ma donde sono sorto io, allora?”, e quindi Nietzsche con “dio è morto!” e “nichilismo vuol dire che i valori supremi si svalutano”, a cominciare dal presunto dio. E’ il crepuscolo degli assoluti intellettivi.
Questo è il pensiero dell’Occidente con i suoi concetti forieri di infelicità. E qui entra in gioco l’Oriente con il suo messaggio di sostanziale ribaltamento di prospettiva, rivolgendo la ricerca non al di fuori di noi ma dentro noi stessi: l’esistenza è intrisa di dukkha, la sofferenza esistenziale che ci angoscia e di cui l’agnostico Buddha indicò l’antidoto, invitando ad affrontarla non nelle sue presunte cause oggettive o nelle religioni, ma partendo da noi stessi, da colui che soffre. E il dolore rappresenta l’innegabile, indubitabile e onnipresente Assoluto nella realtà dell’Uomo. Le religioni con i loro dèi, riti, miti e dogmi sono solo una arcaica pretestuosa e inefficiente banalità.
PAOLO BANCALE
Nostalgia per la considerazione oggi inattuale e rimando a Schopenhauer che cita i filosofi Veda: l’esistenza comune è una sorta di illusione ottica.
Infatti l’uomo è un animale metafisico e noi non siamo una “testa d’angelo alata senza corpo”, ma siamo dati a noi medesimi come Corpo, ci “viviamo” anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio questa esperienza di base che ci permette di “squarciare” il velo del fenomeno e di afferrare l’assoluto, la cosa in sé.
Per me, gentile scrittore Bancale, questo è stato il Satori che mi ha permesso di accogliere la sofferenza.
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Caro Paolo, citi Kant, ma non dimentichiamo che proprio il filosofo prussiano- pietista laico- dopo aver mostrato nella Ragion pura l’indimostrabilità dell’esistenza di Dio, nei postulati della Ragion pratica avverte come esigenza etica suprema non la fede bensì la speranza che Dio esista come promessa di una giustizia somma che ripartisca la felicità secondo i meriti.
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Grazie al contributo di Paolo Bancale, vedo ricordati pensatori e letterati che prediligo. Barnes e il suo umorismo inteso proprio come sentimento del contrario pirandelliano, ma soprattutto l’Oriente di Schopenhauer che, per quanto rispondente alla diffusa indomania del suo tempo, apre orizzonti sempre attuali a una concezione dolorosamente sana dell’esistenza in linea con il buddismo, a una morale compassionevole(tanto vicina a quella leopardiana) e a una giustizia sganciata dal concetto di rimunerazione e quindi dal tempo. Tanti gli spunti di riflessione.. Grazie!
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