“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – POLITICA, SPORT E … MUSICA.

di STEFANO CERVARELLI

 

In questa città dello sport non importa niente  a nessuno”.

Quante volte abbiamo sentito, e ripetuto, questa frase? Per la verità non mi sento di dare torto a chi la pronuncia e  non credo neanche che i destinatari siano tutti coloro che direttamente hanno a che fare con la nostra vita sportiva, allora cerchiamo un po’ di capire verso chi è rivolto il malessere cittadino  riguardo  lo sport.

Certo  in questo laconico giudizio non può essere coinvolto chi proprio, tra difficoltà di vario genere, porta avanti la propria attività agonistica, ossia gli atleti, anzi proprio dalla schiera dei praticanti si alza  più  forte il grido di allarme in quanto sono loro le prime vittime dell’incuria sportiva.

Non  posso pensare che in quel “nessuno” possano essere coinvolti i tifosi.

Pur non negando che quello che unisce i tifosi ai propri beniamini è un legame alquanto elastico, dato che la loro vicinanza  si fa più intensa, calda, passionale quando arrivano i successi, mentre si raffredda un po’ quando le cose non vanno tanto bene, non si può ugualmente affermare che siano indifferenti alla sorte delle compagini locali; quindi quell’accusa non li riguarda di certo.

Ci sarebbero tra gli eventuali destinatari dell’accusa i dirigenti; ma come è possibile  accusare di menefreghismo persone che dedicano buona parte del loro tempo – ed anche denaro – per le migliori sorti del sodalizio nel quale operano?

Allora, visto che atleti, tifosi, dirigenti sono esenti dall’accusa, chi rimane? Chi sono le persone alle quali  dello sport locale non importa niente? Il campo di ricerca non offre  tante altre alternative.

Dobbiamo rivolgere l’attenzione verso l’ultima categoria coinvolta nell’attività sportiva; ultima in fatto di ricerca, ma senz’altro prima nella possibilità di dare a questa le dimensioni e gli indirizzi migliori.

La categoria politica.

O per meglio dire coloro che dovrebbero amministrare la politica dello sport ed invece  preferiscono dedicarsi allo sport della politica.

Ecco, ecco chi si può considerare destinatario dell’accusa, loro, gli amministratori, i vari delegati, assessori,  funzionari che nel corso del  tempo hanno avuto il privilegio di sovraintendere all’efficienza sportiva locale, per la parte che gli competeva, ossia gestione, cura, affidamento degli impianti sportivi, creazione di spazi per la pratica del tanto osannato (poi dimenticato) sport sociale ed iniziative varie per la promozione dell’attività sportiva e di base.

Ma potrà essere così, saranno loro, gli amministratori,  la causa della delusione degli sportivi?

La mia lunga vicinanza al mondo dello sport mi induce a dire che sì, sono proprio loro.

Ovviamente bisogna stare attenti a non coinvolgere nell’accusa tutti quelli che hanno avuto incarichi di responsabilità di politiche sportive; questo è vero, ma pur con tutti gli sforzi di memoria possibili, non riesco ad andare oltre un paio di politici da salvare dall’accusa.

Chiaramente ogni generazione vive, conosce la propria realtà; questa  rappresenta il suo punto di riferimento per poter esprimere le proprie considerazioni, ed i confronti tra epoche lasciano il tempo che trovano; ma la scarsa considerazione (fatta eccezione come dicevo prima in paio di occasioni) di cui soffre lo sport nostrano viene da lontano, una vera politica sportiva a Civitavecchia non si è mai radicata, il concetto di sport come elemento di benessere e coinvolgimento-sociale è stato sempre carente. Ed è forse questa constatazione che induce a pronunciare frasi del tipo “dello sport non importa niente a nessuno”.

Però….. però la mia onestà intellettuale mi spinge a dire che passi avanti nella possibilità di svolgere attività sportiva in condizioni accettabili se ne sono fatti.

C’è da dire, pure senza giustificare l’attuale debolezza ed inefficienza di politica sportiva, che oggi, bene o male, pur rincorrendo sempre situazioni di completo soddisfacimento, ogni disciplina sportiva ha la sua sede, il suo impianto dove allenarsi e giocare; insomma fare sport non richiede più, o perlomeno ne richiede in quantità assai minori, vocazioni eroiche come accadeva una volta

a questo proposito, per dare un termine di paragone ed esprimere ancor meglio l’idea vorrei parlare di come si faceva sport tanti anni fa nella nostra città. Potrei portare molti esempi, ma ne scelgo uno che fotografa in maniera eloquente la situazione, quello  della palestra, anzi ex palestra comunale; quel grande “stanzone”, retaggio oltretutto dell’epoca fascista, dove i giovani in camicia nera (per l’occasione indossavano un completo bianco)  svolgevano esercitazioni ginniche; per moltissimi anni questo edificio era l’unico posto coperto della città dove praticare sport e proprio di questo voglio parlare: di come si faceva sport una volta, nella palestra comunale, che da anni non è più praticabile ed ultimamente sembra che non lo sia neanche più per i bambini delle vicine scuole elementari che lì andavano a fare educazione fisica.

A vederlo oggi, buio, tetro, fatiscente, ai giovani  non può affatto sembrare che una volta in quel luogo, i loro padri, ed anche i nonni, svolgevano la loro attività sportiva, d’altra parte se volevi allenarti d’inverno……ma non potete immaginare come, venite ve lo mostro.

Chiudete gli occhi ed immaginate di trovarvi a passare in un tardo pomeriggio d’inverno, di tanti anni fa nei pressi della palestra, vedrete un locale  pieno di luci, di rumori, incuriositi vi affacciate sulla porta e  il primo senso di stupore l’avete nel vedere quanta gente c’è che corre, salta, rotola in terra, vola in aria.

Vedendo i cestisti allenarsi all’aperto penserete: ”Fortunati questi che possono fare attività all’interno dell’edificio” (per chiamarla palestra mi devo proprio sforzare, scusate) certo il vostro pensiero è un pensiero logico, ma non so se alla fine sarete della stessa idea.

Dunque la palestra comunale appare come un’oasi dove ripararsi nelle fredde sere invernali per allenarsi e sviluppare quel rapporto sociale, componente importante dello sport.

Da questo punto di vista la palestra non viene certo meno a questo scopo, per accertarsene basta entrare.

Tanto per cominciare un grande contributo alla socialità viene dato dai locali dei  servizi igienici e degli spogliatoi,  dove  dalla vista,   dall’odorato e dal sovraffollamento si capisce subito che o sei pronto alla reciproca convivenza, oppure non ti alleni! Ma è risaputo che in  condizioni igieniche precarie e negli assembramenti la socialità trova terreno  adatto per svilupparsi.

Ma non sono certo odori e profumi vari a fermare i nostri atleti, ora però li attende una nuova prova di socialità; se vuoi spogliarti, devi  essere capace di farti largo – gentilmente – e trovare un piccolo spazio nel mini spogliatoio; qualcuno ogni tanto provava a proporre dei turni ma non si riusciva mai a mettersi d’accordo su chi dovesse entrare per primo nell’angusta stanza; venivano proposti di volta in volta criteri differenti, che venivano però sempre bocciati.

Un buon livello di allenamento alla socialità si sviluppava poi quando veniva il momento – perché veniva – di  stabilire se la finestra dovesse rimanere chiusa contro il freddo, oppure spalancarla per trovare una difesa contro l’aria appestata.

Superate queste leggere difficoltà, esci nello stanzone (ehm, palestra)  per allenarti e scopri che di colpo, saltando tutti i livelli intermedi, sei entrato all’Università della socialità.

Qui svilupperai il massimo delle tue capacità di sopportazione sociale; ma c’è un vantaggio, per un giovane desideroso di apprendere in materia di sport: la palestra rappresenta il paese della cuccagna sportiva; in dre ore e mezza dalle 18 alle 20,30 puoi assistere a: allenamenti di calcio, di atletica leggera, maschile e femminile, (sinceramente non ricordo dove le ragazze si spogliavano) della pallavolo, del basket (questo solo quando pioveva) e poi  i giocatori di rugby, quelli di pallanuoto che svolgono la preparazione invernale,  ed infine la ginnastica artistica con gli atleti agli anelli, al volteggio, alle parallele.

Tutti insieme, non so se appassionatamente.

E poi vogliamo parlare dei palloni?  Palloni da pallavolo, da calcio, da pallacanestro per finire con quelli  medicinali che si rincorrono, girano, volano nel piccolo cielo della palestra.

Avevano senza dubbio la loro utilità, sia perché servivano a sviluppare nei frequentatori colpo d’occhio e agilità per evirare di essere colpiti, sia perché era un rincorrersi  di “attento!” “occhio al pallone!”, ”Scusa!” insomma un intreccio di avvisi reciproci che senz’altro sviluppavano i rapporti interpersonali di atleti di diverse discipline.

I problemi nascevano quando un pallone raggiungeva l’altezza di chi era impegnato agli anelli, oppure cadeva nel piccolo spazio del volteggio.

Alla fine dell’inverno ogni frequentatore della palestra aveva nozioni profonde di cinque-sei sport.

E dove la mettiamo poi la massima cordialità e pazienza che dovevi avere con il custode seduto al suo tavolo (si perché c’era anche il tavolo del custode nella palestra), restio a consegnarti  oggetti ed attrezzi necessari al tuo allenamento, perché – diceva – che in giro per la palestra (ehm, stanzone) ce ne erano già troppi.

E poi ..poi arrivava uno de momenti clou della serata, uno di quei momenti che non si possono non raccontare:  il ritorno negli spogliatoi. Dal gergo che sentivi capivi subito se la doccia calda, l’unica, l’altra era fredda, funzionasse o no, l’eventualità positiva accadeva una volta su venti, questo era uno degli aspetti più irritanti ed inquietanti: se non funzionasse mai, uno lo sa, si mette l’anima in pace, si copre e se ne va a lavarsi a casa.

Ed invece no, confidando nella buona sorte nella borsa porti sempre accappatoio, sapone e quant’altro sperando che quella sera sia la sera in cui doccia funzioni.

E poi.. ecco l’emozione finale, quella che ti gratifica, che tira fuori tutta la potenzialità sociale, la pazienza e lo spirito indagatore di cui sei capace:  devi  ritrovare i tuoi  vestiti che non sono più dove li hai lasciati,  molte mani li hanno spostati per ricavare un po’ di spazio. Allora inizi a chiedere, a cercare, ad indagare, con gente che ti dice “Sono questi ?” proponendoti abbigliamento, a te che sei un leggero ginnasta, maglione e pantaloni di un lanciatore di peso. E  tu continui la ricerca, che va bene se sei tra gli ultimi a rientrare nel mini-spogliatoio.

Come si fa a non dire che lo sport non sviluppa la socialità! Ma non è finita qui.

L’attività  sopra raccontata si svolgeva a ridosso di una delle  pareti più lunghe, di alcuni armadi contenenti strumenti  musicali i cui vetri si era avuta l’accortezza di proteggere con delle sottili retine metalliche.

Infatti dovete sapere che nei giorni stabiliti, alle 20, bisognava interrompere gli allenamenti e lasciar posto alla banda musicale che lì, nella palestra, effettuava le sue prove.

Così accadeva che mentre imprecavi per la mancanza di acqua calda, ed eri intento alla ricerca dei tuoi vestiti, ti arrivano le potenti note di “O sole mio” o quelle struggenti della Bohème. Oppure, se era il periodo, quelle dolci di White Christmas e tu dopo un’ora abbondante di “socialità”, potevi finalmente rilassarti,  magari con il pensiero rivolto a quel ragazzo che mezz’ora prima, per poco, inciampando non entrava  a capofitto nella vetrina dove c’era la grancassa.

Usciamo,  il  viaggio nel passato della palestra comunale è terminato; ne faremo degli altri perché ci si renda conto che oggi i nostri atleti vivono una realtà che, seppure si presta a critiche, per i loro predecessori appariva come una chimera e poi perché non debba mai venir meno la memoria di come, pur dibattendosi tra mille difficoltà, lo sport civitavecchiese ha sempre  avuto campioni di prestigio e regalato momenti d’orgoglio alla città, come nessun’altra attività.

Comunque, davanti a quell’edificio buio, silenzioso, decrepito, che ha visto passare molte generazioni, ma che da tempo ha finito di assolvere alle sue funzioni, si prova un senso di pena e di rabbia.

Signori amministratori vogliamo dargli una morte decente?

 

STEFANO CERVARELLI