Parole Nomadi.
di PAOLA ANGELONI ♦
Andai in pensione e, di mattina presto, mi spinsi a camminare alla Marina. Mi trovai di fronte ad uno spettacolo per me inusuale, la luna autentica nel cielo. Quante volte nel mio insegnamento avevo nominato la luna, conchiusa in un testo. In quel momento provai un’ebbrezza di libertà, le parole, gli aforismi, le similitudini erano allontanate, Io ero di fronte alla vera Luna! In quel momento il testo era del tutto inessenziale, tutto era l’essenzialità del contesto. Vi è una libertà della parola nel lavoro dell’insegnante e vi è una prigionia, che è poi quella degli intellettuali, di rappresentare il mondo degli auctores a loro immagine e somiglianza. Perché dunque scrivere ora? Perché sono stata un’insegnante, una vestale di un mondo che, per la mia età, ora mi risulta in collisione.
“L’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e la esprime con vaghi presagi” (Simposio).
E’ l’età del solstizio che gratuitamente, senza l’occupazione del lavoro, crea lo spazio dove puoi esprimere
te stessa al di fuori di ruoli in una società tecnicamente organizzata. E’ l’età del solstizio d’ inverno in cui non si declina l’identità di ciascuno di noi solo nella mera funzionalità nel sistema di appartenenza; così sciolti, ab soluti, troviamo la misura del senso della vita nella spontaneità e nella libertà, ai limiti dell’anarchia: la nostra indole instabile e mutevole e “incompiuta” argina il regime della razionalità e recupera la frammentazione di tutti i legami attraverso relazioni amicali e redatte su di un foglio virtuale.
E’ la decostruzione a cui si accenna in questa rubrica, inaugurata da Carlo Alberto, “relegati dalla legge del giorno che nulla sa della passione della notte”( Jaspers): il solstizio d’ inverno…
De-situarci, ma quale è la prospettiva disincantata? Era quella dell’esperienza del limite con la tragedia, o con la fruizione dell’opera d’arte, ma nella vita stessa? Forse il non senso, vedere con occhi disincantati, “come se”, diceva Kant per il regno dei fini. Lukács, il filosofo, diceva che la tragedia era esperienza del limite, che gli eroi atei di Dostoevskij non vedevano altra prova di Dio che l’esistenza dell’uomo, il quale scopre la propria anima: limite, finitezza, mortalità, la necessità del non senso. Lukács vedeva nella esistenza di Gauguin il rapporto tra vita e artista: Tahiti non è la fuga, ma il traguardo. Ma Dostoevskij dirà a Lukács che l’assoluto e il senso non si danno nell’opera d’arte ma nella vita stessa; torna la categoria del “Come se”: guardare il non senso del finito con occhi “disincantati” che operano nel qui-e-ora, “ Come se vivessero in una Cultura”.
Il tema emozionale: Artemis in Scozia.
“Diana” si chiama mia nipote. Ma Artemis è anche Taurica, ricorda Aquae Tauri, l’ombelico della nostra storia di Etruschi e di Roma. Nel mito Artemis vive per il legame con la natura e per la hybris delle donne e degli uomini. Il giovane Atteone, per aver osato vedere Artemis, viene sbranato dai suoi cani. Di lui Giordano Bruno dice: “E questa caccia …per atto della quale lui si converte nell’oggetto…perché lo amore transforma e converte nella cosa amata” (Bruno, Degli eroici furori). Il mito fa ritrovare una esposizione dialogica, perché noi contemporanei, attraversati da traumi, vedi il cambiamento climatico, ritroviamo nel mito una casualità superstite, non irrigidita nella weberiana “gabbia d’acciaio” della ragione strumentale. I miti sono storie erratiche e per questo nel loro percorso tra gli umani si imbrogliavano così facilmente, noi udiamo le stesse storie raccontate con intrecci diversi, ma abbiamo perduto il segreto del mito, conservato dagli Orfici.
Di Artemis rimane la Natura oltraggiata, la hybris di ninfe e mortali e Nemesi, la Necessità al di sopra degli dei e della causalità: la ninfa Aura si rivolge alla Dea dai virginei seni: ”Nessuno penserebbe che sei inviolabile”. E Artemis ha negli occhi scintille assassine: è oltraggiata da una vergine! Nemesi le toglie la verginità, il corpo di Aura è investito dalla necessità: Dioniso la inganna con il vino e la possiede legata.
Sembra che Artemis sia una nomade, come ora le mie parole, ma la ritroviamo sempre nei boschi o verso le cascate, Natura incontaminata che una volta rise di noi: Alfeo era un cacciatore, che con la vana insolenza degli uomini, la inseguì. Ma Artemis rideva, si imbrattò il volto di argilla come le sue ninfe e Alfeo non fu sbranato come Atteone, poiché Alfeo decise di “farsi natura” (Roberto Calasso ).
Non perdiamo i contatti con il solstizio d’inverno, la notte dell’indifferenziato presocratico e di Schelling, il “cielo stellato sopra di noi” deve farci toccare i limiti dell’uomo. Ho letto di un piano alternativo affidato alla tecnologia per ridurre le emissioni: “offuscare il sole”, ossia schermare i raggi del sole. Sembra che per ridurre l’inquinamento l’organizzazione scientifica prepari un piano alternativo affidandosi alla tecnologia. Si parla di interventi ingegneristici su scala planetaria volti a schermare una parte dei raggi del sole. Spruzzare solfati nella stratosfera è un’idea appellata” Opzione Pinatubo”, in seguito all’eruzione del vulcano avvenuta nel 1991.Ci troviamo di fronte ad un quadro piuttosto fosco: non avremmo più un cielo, ma un tetto, un lattiginoso soffitto geoingegneristico che scruta dall’alto un moribondo mare acido (Naomi Klein).
Il passato ci insegna che, avviati gli esperimenti sul campo, la diffusione della tecnologia è solo questione di tempo. Hiroshima e Nagasaki sono state bombardate meno di un mese dopo il primo test nucleare di Trinity, nonostante gli scienziati del Progetto Manhattan pensassero di costruire una bomba nucleare usata solo come deterrente. Pensiamo alla proliferazione di armi biologiche, alla ricerca nel campo della eugenetica, pensiamo alla geoingegneria che potrebbe equivalere, per miliardi di persone, a un atto di guerra. Per fortuna l’ambientalismo di oggi è composto di più anime, un movimento che vuol far tremare l’industria dei combustibili fossili.
Per riprendere la “tradizione”, non solo il “cielo stellato” sopra di noi, ma anche ciò che sta ”dentro di noi”. Secondo Nozick, accanto all’ incoerenza dell’uomo contemporaneo, si è affievolito il senso di responsabilità, ci sentiamo più liberi, ma più soli. “Libertà, libertà!”, quanto sentiamo queste parole nei cortei! Sotto questo profilo, si cerca una ridefinizione di se stessi ricorrendo ad identità esterne. Non sono i media che li hanno chiamati “il popolo dei no vax”?. La ragione strumentale guarda solo ai mezzi, non ai fini e aggredisce il tessuto connettivo del “mondo della vita”, l’universo simbolico condiviso. Il deperimento della ”tradizione” con gli esiti della rivoluzione industriale non poté arginare l’esodo dalle campagne e l’allontanamento di donne e bambini dall’ambito della casa ed ora l’uso acritico dei media ha modificato il modo di sentire ed i nostri codici etici. La deregulation non investe solo i colossi energetici dell’economia neoliberista, ma anche le fonti erogatrici di norme, in altre parole, il sistema delle virtù (Etica Nicomachea di Aristotele) è traslato nel sistema delle preferenze individuali: sono le inclinazioni emotive che agiscono nella facoltà di deliberare. E” una nuova epoca di decadence, come alla fine dell’Impero Romano ed alcuni fra noi vagheggiano piccole comunità o “collettivi” che pratichino un diverso modo di pensare ed agire (Habermas).
Ancor prima la Fenomenologia aveva operato il Gran Rifiuto con l’attivazione del pensiero meditante (rammemorante-filosofico-poetico), con la ricerca del “senso” nella densità del linguaggio: le cose ed il linguaggio assorbono una patina mitica, un valore simbolico che non è il valore d’uso; è qualcosa che investe gli oggetti, un dipinto di Paul Klee, l’Angelo Nuovo, con la sua melancholia: L’Angelo Nuovo venuto a raccogliere tutte le scintille spirituali raccolte quaggiù, sedotto e irretito dall’umano (il film “Il cielo sopra Berlino”). Detto altrimenti, le cose debbono aprirsi nel dialogo, rifondarne il senso, renderle, attraverso il linguaggio, un crocevia di relazioni. Saranno infine le metafore vive prodotte dal linguaggio che getteranno arditi ponti tra nozioni che non siamo abituati a vedere unite (Heidegger).
Habermas va oltre: “I media hanno fatto un deserto e lo chiamano ragione”.
Ma non è un abuso di potere della ragione, piuttosto è un suo deficit. La desertizzazione del mondo della vita può essere colmata con l’attivare l’agire comunicativo. L’agire comunicativo svolgerebbe una funzione terapeutica nel ricostruire il mondo comune, salvandolo dall’azione ipertrofica della ragione strumentale. Potremo così superare la crisi che culturalmente chiamiamo emorragia di senso e socialmente come anomia e indebolimento dei rapporti di solidarietà. Ma l’agire comunicativo necessita di una” placenta” sociale, di vincoli con gli altri, assistiamo invece, più che ad una proiezione nella dimensione pubblica, ad un arroccamento nella sfera privata.
Mi rimangono così “Parole Nomadi”, come risposta difensiva a dosi eccessive di esperienze di sradicamento.
PAOLA ANGELONI
Bell’articolo, Paola. Denso, ponderoso e ricco di spunti. Grazie
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Grazie Ettore.
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Il dominio sul mondo è un lento risultato iniziato con Genesi. Non si abita il mondo, il mondo è un progetto. Questo pensiero dominante potrebbe essere lecito, opportuno, fin troppo ovvio. Peccato che la morte accade. Questo assurdo che che non può ancora essere sottoposto a controllo. La fine del progettare è cosa indegna. Il Grande Architetto, al quale la techne si ispira, ha commesso un errore. Noi dobbiamo provvedere, noi provvederemo un giorno. Solo questione di tempo.
Ecco il senso della frase: abbiamo fatto deserto e lo nominiamo ragione!! Ragione, però, calcolante.
Alternative? Ormai siamo a tutta velocità, difficile scendere in corsa.
Atteone sta per svelare il corpo. Che succederà dopo l’Aufhebung, il toglimento profanatore?
Noi non saremo. Entrati nella penombra oppure rientrati nel nulla dal quale uscimmo.
Preoccupati per i nostri cari inermi fanciullini? Ogni generazione che va verso il solstizio ha sempre unito alla nostalgia del passato l’amarezza per il futuro incerto delle generazioni in camino.
Nulla di nuovo sotto il sole. Almeno questo sole qui!
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Tra poco celebreremo di nuovo il Sole Invictus, “chiamato in molti modi”! Grazie Carlo.
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Che meraviglia, Paola, questa tua libertà di vagare nelle profondità del pensiero
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“ l’inverno del nostro scontento è mutato in gloriosa estate da questo bel sole dì York “ , è Riccardo di Gloucester che parla e che reputandosi inadatto ai dilettosi svaghi decide di mettere in moto le sue trame delittuose per impossessarsi del potere. Così va il mondo!
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Il nomadismo della parola alla fin fine può essere una risorsa. Se sapessimo interpretarlo potremmo dare un senso al disagio della (nella) civiltà e far contento il vecchio Sigmund. Grazie, Paola!
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Grazie Lucia, Lisa e Nicola.
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