“Agorà Sportiva” a cura di Stefano Cervarelli – Marco Simoncelli
di STEFANO CERVARELLI ♦
Correva in moto, era felice di farlo, correva incontro alla vita portando la sua splendida giovinezza, la sua immagine scanzonata, fatta di esuberanza, sorrisi, coraggio, voglia di vivere, sempre riflessa sul suo volto, e con lui c’era la sua amica fidata, la 58, era conosciuta così nei circuiti di tutto il mondo dove la coppia veniva acclamata.
Lui accarezzava lei, con tenerezza, riempendola di sguardi affettuosi e di attenzioni; come poteva essere diversamente? Lei la 58 non l’aveva mai tradito.
Sempre pronta a rispondere ai suoi comandi, ai suoi richiami, sì qualche volta lei si era un po’ indispettita perché lui pretendeva da lei quasi l’impossibile: come infilarsi in spazi ridottissimi a 300 all’ora, oppure abbassarsi nelle curve sul filo estremo dell’equilibrio; lui era così, arrembante, generoso, aggressivo, tutto coraggio ed impulso ma lei alla fine era ben contenta di essere nelle sue mani, non avrebbe voluto nessun altro.
Non l’aveva mai tradito.. tranne una volta… quella volta….la prima volta….l’ultima..
Ma non per colpa sua, no! Una belva meccanica le si era avvicinata con l’intenzione spavalda di mostrargli che lei era la più forte; iniziò una lotta tra cavalli d’acciaio e fantini irriducibili; la belva affiancò la 58, lui fece un movimento improvviso verso il centro scivolando con la gomma posteriore e perdendo equilibrio; assecondando la sbandata e lasciandosi cadere sarebbe finito sul bordo della pista senza conseguenze, ma lui non voleva cadere, troppo importante quella gara, era sicuro che con un’ultra manovra avrebbe ripreso l’assetto; ci riuscì rimettendo la ruota della 58 in linea con l’asfalto.
Ma nel far questo fu costretto ad una brusca accelerazione che lo portò, ancora una volta, a cambiare traiettoria finendo, purtroppo, proprio su quella di due moto in arrivo alla massima velocità: quella di Colin Edwards e, ironia della sorte, quella del suo amico Valentino Rossi.
Naturalmente incolpevoli, i due si trovarono, purtroppo per lui, nel punto sbagliato, al momento sbagliato.
La vita di Marco Simoncelli finì lì, il 23 ottobre del 2011. Aveva 24 anni.
“Quel giorno sulla pista di Sepang, in Malesia, 300 km orari, faceva un gran caldo, ho visto che in griglia si era messo in testa l’asciugamano bagnato con il numero 58, ma, a differenza di altre volte, era posto al contrario, mi ha sfiorato un presentimento, volevo avvertirlo. Però mancavano solo 2 minuti al via. Forse non sarebbe cambiato nulla…. Forse. “ Paolo, il papà, confessa di vivere con questo rammarico e poi aggiunge: ”Marco non c’è più, non è giusto”.
Non è giusto, morire mentre ci si diverte, perché Marco (Sic per amici e tifosi ) a correre in moto si divertiva, come si divertiva da bambino sopra i go-kart; si divertiva a fare sempre tutto con l’animo di un bambino, generoso, con la stessa voglia che hanno i bambini di abbracciarti, stringerti, con la stessa voglia che hanno i bambini di giocare; gli piaceva mascherarsi con gli abiti dei personaggi di fumetti e farsi fotografare così, in posizioni buffe, sempre sorridente e pronto a farti ridere.
Dentro quei panni di ragazzo estroverso dall’aspetto fragile non riuscivi ad immaginare che, ben riposta, pronta ad uscire al momento giusto, Marco possedeva la grinta, la forza, che gli permettevano di guidare un bolide dal peso di 157 Kg. Sul filo dei 300 km all’ora!
Marco con la sua sensibilità riusciva a “sentire” la 58, avvertiva quando lei aveva qualcosa che non andava ed allora l’assecondava, non le chiedeva di più, sapendo che tanto sarebbe stato inutile. Ma quando lei stava in forma, Marco riusciva a farle sprigionare tutta la sua potenza e per i rivali era fatta, dovevano lottare per il secondo posto: come stava avvenendo quel giorno quando al secondo giro Marco era già in testa; vincendo quel 23 0ttobre 2011 sarebbe salito ai vertici della classifica della moto GP.
A detta degli esperti era destinato a diventare un grande campione.
Marco aveva coraggio, il coraggio dei piloti di razza che gli permetteva di riuscire dove gli altri tentennavano, di arrivare un attimo prima a prendere la giusta traiettoria, la posizione migliore in curva, infilarsi dove si pensava che fosse impossibile passare, Marco aveva coraggio.. il coraggio di non aver paura.
Ora è nella sua casa, a Coriano (Rn) dove, nella sua stanza, c’è l’urna con le sue ceneri, e dove gli amici, da 10 anni, non fanno mancare mai la loro presenza , accolti sempre con serenità dai genitori.
Ma non solo gli amici.
All’inizio il postino doveva fare viaggi mattino e sera per consegnare i numerosissimi messaggi, provenienti da ogni parte, di tifosi che volevano testimoniare il loro affetto, il loro dolore, la loro vicinanza. E poi la gente, la tanta gente che andava come in pellegrinaggio per lasciare un pensiero o far sentire il proprio affetto ai genitori.
Altri messaggi di ogni tipo continuano ancora ad arrivare da ogni parte del mondo alla fondazione che porta il suo nome che si trova a Riccione, coordinata da Katia, sua fidanzata di allora, e dove tutto parla di lui: tute, caschi, maglie; ci sono perfino disegni inviati da bambini che lo raffigurano in tanti modi e lettere che lei Katia non consiglia di leggere “perché- dice- troppo commoventi!”
Da due anni lei ha ricominciato a farsi una nuova vita e con il compagno hanno scelto di vivere lì, vicino al circuito che porta il nome del Sic.
Ma perché a distanza di 10 anni il ricordo di Marco è sempre vivo? Perché ancora in tutti circuiti motociclistici si vedono manifesti, gigantografie che lo ritraggono e i suoi tifosi, ancora tantissimi, continuano a sventolare i suoi loghi e colori che ricordano lui e la sua moto? Perché a lui si sono dedicate scuole, strade, piazze ma anche iniziative ed eventi come francobolli?
Sarà perché, come dice Guccini, quando lasci il mondo così presto, in modo così balordo, e sei stato eccezionale il ricordo che lasci è profondo e diventa leggenda; ma anche perché Marco sapeva arrivare al cuore della gente, sapeva essere se stesso, puro e semplice e inoltre, sarà stato per la sua capigliatura leonina per i suoi modi da personaggio di fumetto ”ambulante” che era particolarmente amato dai più giovani; a tale proposito significativo è quanto racconta la preside di una scuola media: ”I muri esterni della scuola erano sempre imbrattati di scritte e brutti graffiti, pulivamo, ma il giorno dopo erano nuovamente sporchi. Un giorno ho fatto tappezzare con le foto del Sic e da quel giorno niente più scritte e graffiti”.
Da quando Marco ci ha lasciato ogni domenica, nella piazza del suo paese, Coriano, si svolge un rito: c’è un tubo orizzontale, che ricorda il tubo di scappamento della moto, dal quale si sprigiona una fiamma che brucia per 58 secondi….
Il 23 Ottobre, decennale della sua scomparsa, nei pressi del circuito motociclistico stata piantata una quercia, simbolo di vitalità, di forza, che porta il suo nome.
Il mio ricordo, quello scritto, di Marco finisce qui.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma una in particolare: è la risposta che mamma Rossella dà a chi chiede di lui: ”Con Marco sono stati 24 anni meravigliosi. Di pura gioia. Non rimpiango nulla. Siamo stati genitori fortunati.”
STEFANO CERVARELLI
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