Che anno, quel 1956!
di VALENTINA DI GENNARO ♦
Mentre nel 1956 nel corso del XX Congresso del PCUS il segretario Nikita Kruscev denuncia i crimini di Stalin, mentre a Montecarlo si celebra il matrimonio tra Grace Kelly e Ranieri di Monaco, e mentre il 1º novembre l’Ungheria esce dal Patto di Varsavia e qualche giorno dopo l’Armata Rossa entra nel Paese e i moti rivoluzionari vengono sedati con l’intervento delle forze armate sovietiche, mentre a Cuba Fidel Castro sbarca nell’isola caraibica su una piccola barca, il Granma, accompagnato da fedeli rivoluzionari, e mentre che in Italia, sempre nel 1956, alle elezioni amministrative la Democrazia Cristiana si conferma il partito di maggioranza relativa con il 38,9%; l’alleanza Partito Comunista Italiano-Partito Socialista Italiano ottiene il 35,2%, e mentre a Roma si svolge l’VIII Congresso del PCI, nonostante la crisi provocata dall’invasione dell’Unione Sovietica in Ungheria, Palmiro Togliatti viene rieletto segretario a larghissima maggioranza; prevale la linea che condanna la rivolta: 101 intellettuali comunisti firmano un documento contro l’intervento russo, ma mentre succedono tutte queste cose, nel 1956, a Civitavecchia, nel lotto delle case popolari di via Lorenzo Betti, si parla solo di chi debba pulire le scale dei portoni.
Non al primo, non al secondo, ma al terzo portone del lotto centrale, al numero 13, al terzo piano, ci abita la famiglia di mia madre. Padre portuale, madre fruttivendola, tre figlie femmine.
La maggiore è in età da marito, la mediana Ilva, poca voglia di andare a scuola e tanta di giocare, mia madre, la minore, è ancora una bambinetta.
L’annosa questione della pulizia delle scale si risolve con un turno settimanale a famiglia. La donna di casa, una volta a settimana, pulisce le scale per tutto il palazzo.
Quel giorno è il turno della signora del quarto piano.
Mia zia Ilva non la finisce proprio di fare avanti e indietro sulle scale, lascia impronte dappertutto.
La signora, stanca di trascinare il secchio di zinco e il bastone “da scivolà”, prende lo straccio da pavimenti e le dà una bella lezione pulendole la faccia e infilandole un po’ di quello straccio sudicio in bocca.
Ilva corre a casa, lo racconta alla madre. Mia nonna Assuntina si apposta dietro l’uscio della sua porta in attesa di pareggiare i conti con l’incauta massaia.
Come la signora dello straccio supera la porta di casa dei miei nonni scendendo le scale, Assuntina la sorprende alle spalle, le afferra un braccio e glielo morde con tutte le forze.
Con la calma di chi sa cosa fare, rientra in casa. Va in bagno, si sciacqua la bocca con acqua ossigenata e, così narrano le cronache del tempo, si toglie i residui di pelle della malcapitata tra i denti!
Poi, si aggiusta i capelli, li tira all’indietro e li raccoglie in una crocchia sulla nuca, si infila il cappotto buono, mette la borsa di cocco nera sull’avambraccio ed esce di casa annunciando in direzione della casa della vicina ferita: “E mo, te vado a denuncià pe quello che hai fatto alla cratura”.
Per tutto viale Giacomo Matteotti, il marito della vicina la rincorre raccomandandosi: “Esse bona Assuntì!, nun ce roviná!”.
Mia nonna, si ferma, fa cenno di sì con la testa mostrando falsa comprensione, ritorna a casa.
Per giorni, per il lotto di via Lorenzo Betti, non si parla d’altro.
Di quando cioè mia nonna, passò dalla ragione al torto e, magicamente, di nuovo alla ragione!
VALENTINA DI GENNARO
Gustoso!
"Mi piace""Mi piace"