La transizione energetica green è l’unica scelta possibile per il futuro di Civitavecchia e dell’Alto Lazio
di ALESSIO GISMONDI ♦
Se parliamo di transizione energetica, non possiamo limitarci al solo aspetto economico. Pensare ad una transizione che vada nella direzione delle energie rinnovabili, significa pensare al domani delle generazioni che verranno, significa pensare ai nostri figli, ai quali abbiamo il dovere di consegnare un mondo migliore. Significa ascoltare le voci che salgono dal basso, le voci dei 50.000 ragazzi che hanno manifestato a Milano per le giornate per il clima, le voci che arrivano dalla miriade di imprese costrette ad affrontare aumenti dei costi dell’energia sempre meno sostenibili.
E ascoltare le voci che vengono dal basso, quelle che spesso i grandi tendono ad ignorare, è un dovere. Se qualcosa è cambiato dopo la pandemia, il merito è soprattutto di tutti quei “piccoli” che con sacrificio e spirito di abnegazione hanno abbassato la testa e spinto il nostro Paese a riconquistare in Europa una posizione che fino a poco tempo prima non era pensabile.
Eravamo il Paese destinato a seguire lo stesso sofferto percorso della Grecia per superare la crisi, e invece nel giro di pochi mesi siamo tornati ad essere il terzo lato del triangolo economico trainante dell’Europa.
Questo non è certo merito della politica o almeno lo è solo in parte.
Ora la situazione è cambiata, in Italia arrivano soldi, tanti soldi, che non ci vengono regalati perché siamo stati bravi: si tratta di risorse che servono per fare investimenti e che arriveranno se saranno approvate le riforme necessarie all’Italia per cambiare, per non essere più come prima.
È importante questo passaggio. Abbiamo un’occasione unica. Non dobbiamo pensare che, finita la pandemia, la normalità alla quale dovremmo ritornare sia quella che vivevamo prima del Covid. Abbiamo il dovere di cambiare, per noi e per le generazioni future, lo dobbiamo ai nostri figli.
Abbracciare la transizione energetica correndo verso una politica green, vuol dire non dover essere dipendenti dai Paesi fornitori di materie prime (combustibili fossili). Se ciò fosse accaduto anni addietro, oggi non saremmo costretti a subire un rincaro di oltre il 30% nei prezzi delle forniture elettriche. Purtroppo, il grido di allarme di scienziati esperti del clima non è stato ascoltato, pochi studi sono stati compiuti sull’utilizzo delle energie alternative e solo di recente c’è stata una forte accelerazione.
Non dimentichiamo che quando l’industria crede nell’opportunità di un investimento, riesce a sviluppare idee che diventano prodotto in brevissimo tempo. L’esempio, lo abbiamo avuto con la pandemia. In meno di un anno è stato prodotto un vaccino che ci sta permettendo di affrontare il problema con meno preoccupazione.
A oggi, riguardo la transizione green, di armi da mettere in campo per la produzione di energie alternative ne abbiamo.
Dal 2020 in Europa le rinnovabili hanno superato i combustibili fossili come prima fonte di energia attestandosi al 38% e sono convinto che se la ricerca fosse sostenuta come merita e potesse operare in modo più deciso, si potrebbe fare ancora meglio.
Dall’energia prodotta dall’uso del sole, dell’acqua e del vento, si può partire per preparare un futuro che ha bisogno di prendere una direzione diversa rispetto al passato. Quella dell’eolico offshore è una delle vie per la produzione di energia tra le più performanti: in Europa sono ad oggi installate 5.000 turbine che producono 25 GW, l’ambizione della Comunità Europea è arrivare ad una produzione di 60 GW entro il 2030 e 300 GW entro il 2050.
Qui a Civitavecchia abbiamo il mare, che aiuta a rendere le pale per la produzione, meno impattanti dal punto visivo, in quanto posizionate a largo della costa, anche se ci sono parchi eolici, soprattutto situati in mare, che non deturpano affatto il paesaggio.
E, cosa più importante, abbiamo il vento. Certo, dagli studi risulta che alcuni luoghi, come la vicina Sardegna, hanno condizioni di vento migliori della nostra, ma gli stessi studi ci dicono che un parco eolico nel mare di Civitavecchia è possibile.
Deve essere chiara la necessità di modificare la posizione della città riguardo la produzione di energia.
Abbiamo dato molto al Paese: 70 anni di servitù che hanno impattato in modo pesante sull’ambiente, che ci hanno regalato il primato di una delle città con il più alto tasso di malattie legate all’inquinamento atmosferico.
E’ ora di voltare pagina, di porre mano al risanamento ambientale della città, a tutela del diritto dei cittadini alla salute,
tramite un progetto capace di:
coniugare ambiente e sviluppo economico e sociale.
Dalle scelte che compiremo oggi dipende cosa sarà nei prossimi decenni Civitavecchia, il ruolo che avrà nell’economia del Paese.
Quali strade abbiamo di fronte?
Il futuro che ci viene prospettato per la produzione di energia a Civitavecchia è legato a un altro combustibile fossile, il gas.
Se ragioniamo sull’occupazione relativa a questo tipo di riconversione, dobbiamo considerare che porterà a un taglio importante dei posti di lavoro.
Saranno sufficienti appena 40 unità per operare all’interno di una centrale alimentata a turbogas.
L’affare vero per l’Ente proponente il turbogas sta nel capacity market, che garantirà 75.000 euro per ogni megawatt prodotto, a meno che non intervenga la politica a bloccare questo scempio che la politica stessa aveva autorizzato nel 2019 tramite il PNIEC appena prorogato.
Quella del turbogas non è la nostra opzione.
Tornando sull’impianto eolico a Civitavecchia – per inciso, il successo dell’eolico dipenderà dal suo prezzo, che negli ultimi anni grazie all’innovazione delle tecnologie è diminuito del 75% – proviamo a ipotizzare degli scenari futuri, guardando anche a realtà neppure troppo lontane da noi. In Portogallo, per esempio, è stato realizzato un impianto eolico offshore galleggiante in grado di produrre 2 MW, secondo in Europa, in ordine di grandezza, a quello attivo in Norvegia, di 2,3 MW. La turbina è stata assemblata a terra e trasportata tramite rimorchiatori.
Siamo a parlare qui al Porto di Civitavecchia, un Porto in crisi che come più volte ci è stato detto, ha bisogno di ripensare la propria funzione.
Riproporre un’esperienza come quella portoghese nel Porto di Civitavecchia, potrebbe aprire opportunità cui guardare con interesse da parte dell’organo competente.
Nel nostro Porto abbiamo un mostro di acciaio ormai fermo da anni che occupa spazio e per il quale non si riesce a individuare un possibile utilizzo futuro.
Non è forse giunto il momento di credere in una nuova economia e di valorizzare le potenzialità del Porto, la cui attività, come CNA ha sostenuto nel documento sulla transizione green presentato all’inizio dell’anno, è in piena sintonia con il ricorso a un sistema decentrato ed autosufficiente di produzione di energia?
Quanto all’occupazione, ce lo dicono i tecnici più qualificati, economisti del calibro di Jeremy Rifkin: ogni posto di lavoro occupato per le energie prodotte da combustibili fossili equivale a 10 posti di lavoro nell’ambito delle rinnovabili. Parliamo di posti di lavoro per i quali si richiedono profili professionali qualificati.
Vorrei si ponesse attenzione su questo aspetto. In generale la transizione green, come sottolineava anche John Kerry, inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, in una intervista di qualche giorno fa al Corriere della Sera, “creerà milioni di posti di lavoro nella costruzione di reti intelligenti, di energie rinnovabili, nella ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie”.
Questa delle rinnovabili è una sfida vincente sul versante dell’occupazione. Certo, va trattato con urgenza il tema della formazione delle competenze e delle abilità necessarie ad affrontarla: dobbiamo farlo con la consapevolezza che la formazione è un investimento per il futuro. Preparare le risorse umane, i giovani che dovranno essere parte attiva nella realizzazione dei nuovi processi – la rivoluzione verde, la digitalizzazione – e nella gestione degli impatti che essi avranno, è tanto più importante in questa fase di profonda trasformazione del lavoro, in cui, molti dei lavori attuali sono destinati a scomparire o comunque a vivere una evoluzione entro il 2030.
E’ evidente che gli obiettivi sono ambiziosi, ma non esistono alternative. La transizione energetica deve essere occasione per lo sviluppo sostenibile di Civitavecchia e dei territori dell’Alto Lazio.
Per cambiare la prospettiva.
Il progetto dell’eolico off-shore, che dovrebbe prevedere anche un polo produttivo di turbine per l’eolico, risponde a questa necessità.
Dalla nostra posizione, quella dei corpi intermedi, abbiamo il dovere di guardare avanti.
Abbiamo costi della bolletta che sono i più cari d’Europa e ciò ci penalizza.
Le nostre aziende, a differenza dei colossi industriali, non beneficiano di tariffe agevolate per l’energia, che viene prodotta in Italia da pochi e grandi impianti, il destino dei piccoli, che, non dobbiamo dimenticarlo, rappresentano oltre il 90% della forza lavoro del Paese, è quello di consumare senza poter influire su modalità di produzione, fonti e prezzi.
L’idea che le piccole e medie imprese possano liberarsi dalla dipendenza energetica tramite comunità che sfruttano materie prime come vento e sole, che non costano nulla, è un obiettivo da inseguire. Certo va tenuta in debita considerazione la distribuzione, alla quale nei momenti di bisogno potrebbe pensare Terna; in fondo la sta già facendo, gestendo 800 mila impianti di fonti rinnovabili sul territorio nazionale.
Sono questi i temi importanti su cui lavorare, ma dobbiamo fare presto. Bisogna passare ai fatti il prima possibile. Il mondo non aspetta.
ALESSIO GISMONDI
Se non ricordo male il contributo del ‘capacity market’ é per il potenziale di energia producibile, ovvero pee la potenza dell’impianto, non per l’energia effettivamente prodotta. In altre parole ENEL incasserebbe a prescindere dal fatto che la centrale produca oppure no. L’importante è che possa, in caso servisse, produrre quella quota di energia. Ciò detto ringrazio per il contributo che segue il mio articolo sulle comunità energetiche. Pare che siamo davvero in un periodo di reale transizione e ciò lo si evince dal fatto che molti attori si stanno interessando realmente a questi temi. La conferenza sul parco eolico offshore lo conferma. Speriamo che questo interesse si tramuti in realtà, che ognuno faccia la sua parte. Intanto molti milioni di euro del PNRR sono o saranno stanziati per l’elettrificazione delle banchine…. sarà davvero il tempo della svolta?
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Sono certo che le cose espresse ottimamente da Alessio debbano essere riaffermate, ridette e ripetute in pubblico e in tutte le sedi possibili e fatte entrare nella mente e nella coscienza di tutti finché non si raggiungano concrete certezze. Concordo poi con Ettore, con una piccola ma importante riserva: ci sono luoghi in cui anche le silenziosissime (?) pale non possono essere collocate. Lo spazio c’è per tutto, ma ogni cosa nel posto giusto.
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Le pale eoliche, a mio avviso, non solo non deturpano il paesaggio, ma addirittura lo rendono attraente e spettacolare. Confesso che quando mi è capitato di vederle in lontananza nel sud dell’ Andalusia o sulle colline daune percorrendo la Napoli-Bari, ho provato una grande emozione estetica e non solo per l’inevitabile richiamo letterario al Don Chisciotte. Il paesaggio non è solo natura, è interazione armonica fra opera dell’uomo e natura: le pale eoliche rispondono a questo requisito.
Argomentazioni condivisibili, Alessio.
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